FRANCESCO ERBANI, la Repubblica 29/10/2010, 29 ottobre 2010
L´UOMO CHE SOGNA GAUDÍ "COSÌ FINISCO LA SUA OPERA"
Come le cattedrali gotiche alle quali assomiglia e la cui costruzione si prolungava per secoli, la Sagrada Familia è ancora un cantiere aperto, nonostante siano trascorsi centotrent´anni dalla posa della prima pietra. Ma ora l´imponente tempio barcellonese al quale Antoni Gaudí dedicò oltre quarant´anni del suo fantasioso ingegno d´architetto, è ad una svolta: verrà consacrato da Benedetto XVI il prossimo 7 novembre. La data del suo completamento, però, è ancora incerta. Altri vent´anni, dice qualcuno. Jordi Bonet non si sbilancia: «Siamo al settanta per cento del lavoro, ma il trenta che ci manca dobbiamo realizzarlo ad un´altezza tale che previsioni non si possono fare».
Jordi Bonet è l´architetto che da venticinque anni guida il cantiere della Sagrada Familia. Un cantiere che si aprì nel 1882, sotto la guida di Gaudí e che non si chiuse con la morte del maestro nel 1926. Dopo tante traversie e l´interruzione durante la guerra civile, nel 1944 il lavoro ha ripreso a marciare e lentamente è andato avanti, soprattutto per la parte scultorea. A metà degli anni Ottanta la mano è passata a Bonet e il cammino si è fatto più spedito (come documenta Gaudí un volume ricchissimo di immagini, al quale ha lavorato lo stesso Bonet e che uscirà presso Jaca Book - pagg. 300, euro 90).
Ma non sono mancate le polemiche intorno a questo geniale prodotto in puro stile neogotico e contemporaneamente figlio del modernismo e dell´art nouveau: in molti si sono domandati se fosse giusto proseguire l´edificio che Gaudí lasciò incompiuto, con l´abside alta cinquanta metri, sormontata da guglie e contrafforti, e le torri affusolate che sembrano termitai. Non è anche perché incompiuta che la Sagrada Familia emana il suo fascinoso mistero? Secondo Josep Maria Llop, che per anni ha diretto l´Ufficio urbanistico del comune di Barcellona, «Gaudí non ha lasciato un progetto tanto dettagliato da consentire che venisse proseguito». Aggiunge l´architetto: «Io credo che la Sagrada Familia fosse "la sua opera", alla quale Gaudí dedicò la propria vita e tutto il proprio tempo. Inoltre come i grandi asceti, consegnò interamente la sua creatività a quest´opera, che, a prescindere dalla fedeltà documentale, è il simbolo della sua spiritualità».
Per Bonet, invece, «il desiderio di Gaudí che il tempio da lui sognato fosse completato è del tutto evidente e più volte manifestato. L´architetto sapeva che non ce l´avrebbe fatta a portarlo a termine e lasciò molte indicazioni su come proseguire, senza possibilità di equivoci». In particolare fissò una serie «di leggi geometriche che dovevano solo essere applicate. Ha usato forme come la linea retta che chiedono unicamente di essere continuate». Dalla morte di Gaudí sono trascorsi più di ottant´anni, sono cambiate tecniche costruttive, stili architettonici, tecnologie e metodi di lavoro. Ma tutto questo non spaventa Bonet: «Le grandi chiese, diceva Gaudí, non sono mai state frutto di un solo architetto. Gli edifici religiosi, scrisse, possono essere concepiti nell´arco di molti secoli senza che cambino le esigenze». Per la copertura del tempio Gaudí aveva escluso il cemento armato e Bonet ha seguito la prescrizione: «Abbiamo deciso di usare pietra e ceramica».
Secondo alcuni, l´incompiutezza della Sagrada Familia ha una sua storicità, che in qualche modo andrebbe tutelata. «C´è bellezza in un edificio come la Sagrada Familia, anche se lo si lascia così. Ma un´architettura che impiega secoli ad essere terminata genera il desiderio di vederla finita. E c´è molta bellezza anche nel vedere una costruzione che cresce, di settimana in settimana e che prende forma sempre nuova».