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 2010  ottobre 30 Sabato calendario

DAL RACKET 5,4 MILIARDI ANNUI - A

maggio, anziché lo Stato, poteva contribuire la ’ndrangheta al salvataggio della Grecia. Per il portafoglio delle cosche calabresi, sempre più ricco, sarebbe cambiato poco. Per i conti pubblici, dal quale sono stati prelevati 5,4 miliardi destinati a quel paese a rischio bancarotta, sarebbe invece cambiato molto. Secondo lo studio Bcc Mediocrati-Demoskopika presentato ieri a Cosenza, è esattamente di 5,4 miliardi annui il business per le cosche da estorsioni, usura e appalti pubblici. È questo l’aspetto più appariscente di una ricerca che lascia poche speranze a chi coltiva sogni d’impresa in Calabria. Basti pensare che, per un imprenditore calabrese su quattro, il fatturato potrebbe registrare un incremento fino a 20 punti percentuali in assenza della ’ndrangheta. Una mancata crescita e una perdita della ricchezza prodotta quantificabile in circa 3 punti percentuali del Pil calabrese.

I ricercatori hanno focalizzato l’attenzione sulla provincia di Cosenza che, con il 36,8% del tessuto imprenditoriale regionale, è quella più sensibile agli sviluppi dell’aggressività mafiosa sul territorio. In questa provincia oltre il 27% degli operatori economici non si sente infatti al sicuro ma se si aggiunge il 50% di quanti sentendosi abbastanza sicuri fanno comunque rilevare che le attività criminali sono evidenti anche se rare, si arriva ad un totale di 76,5% di imprenditori che non si sente completamente al sicuro. Se questa è la situazione nella provincia di Cosenza, figurarsi quale può essere lo stato di insicurezza o peggio, di paura, nella quale vivono gli operatori economici reggini o crotonesi.

Ce n’è abbastanza per affermare che il lento e progressivo depauperamento dell’economia sana a vantaggio di quella criminale prosegue senza sosta. «Nonostante gli sforzi compiuti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura – ha dichiarato il presidente della Bcc Mediocrati, Nicola Paldino – si registra una scarsa propensione ad investire da parte degli imprenditori anche per la paura dei condizionamenti imposti dalla criminalità organizzata. Le organizzazioni criminali e mafiose, infatti, oltre a scoraggiare gli investimenti produttivi da parte dei privati contribuiscono al mantenimento di un’immagine negativa a livello nazionale e internazionale dei nostri territori, costituiscono un incentivo alla fuga di risorse umane qualificate e alimentano, infine, la crescita dell’economia illegale e sommersa. Il sistema bancario deve avere il coraggio, nel suo insieme, di rifiutare categoricamente il mafioso dal colletto bianco che apre un conto corrente appetibile, di annientare conseguentemente i tentacoli dell’usura e favorire l’accesso al credito alle imprese sane dei nostri territorio».

Non senza contraddizioni le risposte degli imprenditori sui fenomeni del racket e dell’usura ma questo verosimilmente si spiega con il fatto che neppure l’anonimato di un questionario è in grado di rassicurare chi, ogni giorno, ha a che fare direttamente o indirettamente con le cosche. Il 40,2% ritiene che nella propria zona il fenomeno usuraio sia inesistente, mentre un terzo degli intervistati ne rileva la presenza (32,6%), anche se per il 14,3% è abbastanza (11,5%) o molto (2,8%) diffuso, e per il 18,3% esiste pur essendo piuttosto raro. Infine, il 27,2%, dichiara di non sapere o di non volersi pronunciare. Per quanto riguarda il racket il 36% degli imprenditori ritiene che il fenomeno non sia "per niente diffuso" (36%) ma il 40,1% ne denuncia la presenza. Il resto del campione preferisce non pronunciarsi.