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 2010  ottobre 30 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 1 NOVEMBRE 2010

Domani si terranno negli Stati Uniti le elezioni legislative di mid-term. Oggi i democratici possono contare sulla maggioranza sia alla Camera (255 a 178) sia al Senato (59 a 41). I sondaggi, tutti, segnalano la perdita di consensi del partito del presidente Barack Obama, cui il il voto costerà quasi sicuramente la maggioranza alla Camera con un probabile spostamento a destra del Senato. [1] Federico Rampini: «Donne, cattolici, elettori indipendenti, ceti medio-bassi: intere fasce di elettorato che diedero un appoggio decisivo a Obama nel 2008 oggi voltano le spalle ai democratici». [2] Risultato: il presidente potrebbe presto trovarsi nella situazione in cui si trovò Bill Clinton nel 1994, quando i repubblicani portarono il governo al cosiddetto shutdown (chiusura di fatto di tutti i ministeri), rifiutandosi di approvare la legge di budget. [3]

Alla fine della settimana scorsa New York Times-Cbs davano i repubblicani al 46%, i democratici al 40, gli indecisi al 12. Maurizio Molinari: «Per Gallup il distacco è ancora più netto: fra i circa 40 milioni di elettori che andranno alle urne il 55 per cento è repubblicano contro appena il 40 di democratici e il 4 di indecisi. Pesa il fatto che la popolarità di Obama fra i bianchi è precipitata al 37 per cento mentre fra gli afroamericani è al 91. Sono numeri che consentono ai repubblicani di sentire già in tasca la vittoria alla Camera e di sperare anche in un bis al Senato, dove la maggioranza si gioca su un pugno di seggi ancora in bilico in Pennsylvania, Colorado, Illinois, West Virginia, Washington e Nevada». [4]

La percentuale di elettori che si reca alle urne raramente raggiunge il 40%. Ferdinando Salleo: «In altri termini, le elezioni saranno determinate dalla capacità di mobilitazione degli elettori che i candidati per il Congresso sapranno mettere in atto. Si spiega così sia l’attivismo di Obama verso i liberal delusi dai compromessi che la Casa Bianca ha dovuto accettare, sia il valore di aggregazione dei Tea Party e persino di Sarah Palin (due anni fa candidata repubblicana alla vicepresidenza, ora stella del Tea Party, ndr) e, in certo senso, l’importanza delle ali estreme dei due schieramenti. L’atmosfera politica è fortemente polarizzata: raramente il centro moderato è stato così poco determinante». [5]

Il Tea Party è un movimento conservatore diventato l’evento più importante nella politica Usa degli ultimi dieci mesi. Non ha una data di nascita ufficiale: le prime manifestazioni furono organizzate nella primavera 2009, quando i conservatori e gli anti statalisti manifestarono tutta la loro ostilità alla politica economica di Obama, in particolare i salvataggi pubblici delle grandi banche d’affari. Secondo un’indagine del Public Religion Research Institute, la stragrande maggioranza degli americani che si identificano nel Tea Party (80%) è bianca, 81 su 100 si dicono cristiani, 57 su cento rivendicano l’appartenenza al movimento cristiano conservatore. [6]

63 su 100 contro l’aborto, 82 su cento contro i matrimoni gay, 60 su cento contro la concessione di documenti validi agli immigrati illegali, quel che contraddistingue i simpatizzanti del Tea Party è soprattutto la concezione del governo federale: 83 su cento ritengono che il governo sia cresciuto troppo e che si occupi di cose che spettano invece ai singoli. Antonio Carlucci: «Ne discende il rapporto con le tasse: solo 35 su cento (la media americana è 56 su 100) pensano che chi guadagna oltre un milione di dollari paghi troppe poche tasse, e solo 18 su cento ritengono di pagare personalmente la quantità di tasse giuste (la media americana è 37 su 100)». [4]

Obama chiede alla coalizione di afroamericani, donne, giovani che l’ha spinto alla Casa Bianca nel 2008, di «continuare quel viaggio verso il cambiamento» e «non lasciare che l’America torni indietro». Alberto Simoni: «Senza nascondere le difficoltà del momento, il Presidente ha addossato le colpe della crisi economica ai repubblicani. “Fra il 2001 e il 2009 - attacca - i redditi sono scesi del 5%”. “Sono le loro scelte politiche che ci hanno portato qui”, sottolinea Obama difendendo invece la sua politica fiscale e le riforme per la classe media, la vera destinataria degli appelli presidenziali, varate finora. Riforme in pericolo se i repubblicani conquisteranno il Congresso». [7]

Per la prima volta da quando gli exit polls misurano le differenze di voto tra i due sessi (1982), i repubblicani potrebbero vincere il voto delle donne. Una liberal newyorkese: «Ce l’hanno col governo. Sono arrabbiate, sono indietro col mutuo o stanno perdendo casa e lavoro». Maria Laura Rodotà: «Secondo un sondaggio più cauto del Wall Street Journal, quest’anno democratici e repubblicani sono quasi alla pari (45 contro 44 per cento) tra le donne a tasso di istruzione più basso. I democratici continuano a stravincere (56 per cento contro 36) solo tra le laureate. Quelle che guadagnano di più, che hanno l’assicurazione sanitaria, che rischiano meno in tempi di crisi. Ma che se cercano di convincere le vecchie amiche rimaste in Wisconsin, vengono bollate come elitiste. La solita pancia del Paese si entusiasma per altre donne: le femmine alfa conservatrici, che potrebbero convincere anche molte giovani a votare per i repubblicani». [8]

Per invogliare gli indipendenti e gli indecisi a dare di nuovo il voto ai candidati democratici, il 13 ottobre la first lady Michelle Obama, ancora molto popolare, è partita per un tour elettorale. [9] I repubblicani contano invece sul sostegno di quelle che la Palin chiama “Grizzly Moms”, mamme-orso “pronte a tutto per dare sicurezza ai propri piccoli”. Maurizio Molinari: «Se nelle presidenziali del 2008 i democratici di Barack Obama potevano contare sulle “Soccer Moms”, che accompagnano i figli a giocare a calcio come fa Michelle, e quattro anni prima i repubblicani di George W. Bush vinsero la Casa Bianca con una coalizione che includeva i “Nascar Dads” appassionati di auto da corsa e le “Security Moms” preoccupate della minaccia del terrorismo sulle proprie famiglie, le “Grizzly Moms” hanno in comune la grinta nel voler “ricostruire l’America” per impedire che debiti, disoccupazione e pignoramenti condannino le nuove generazioni a vivere in povertà». [10]

I volti delle “Grizzly Moms” sono quelli delle candidate di maggior spicco che guidano i repubblicani nella campagna di Midterm. Molinari: «Paladine del “Tea Party” come Sharron Angle e Cristine O’Donnell, candidate al Senato in Nevada e Delaware; top manager come Meg Withman e Carly Fiorina in California; volti etnici come l’indiana Nikki Haley e l’ispanica Susana Martinez, in gara per diventare governatori in South Carolina e New Mexico; voci del Midwest come Michelle Bachmann, deputata uscente in Minnesota. A conti fatti sono circa 60 le “Grizzly Moms” candidate alla Camera e sei al Senato - quasi tutte sostenute dai comizi di Sarah Palin - che si riconoscono nella definizione di Sharron Angle: “Non vi mettete fra me e i miei piccoli, o finirete nei guai”. L’idea di fondo è che il “governo liberal invadente” negli ultimi due anni ha adoperato Congresso e Casa Bianca per “decidere quali lampadine comprare, quali wc usare, quale auto guidare e perfino quale cibo dare ai nostri figli quando vanno a scuola”». [10]

Quest’anno le spese per gli spot elettorali sono aumentate del 500 per cento rispetto al 2006. La disparità finanziaria è enorme: per ogni dollaro speso dai democratici, i repubblicani ne tirano fuori sette. L’espresso: «La pioggia di denaro di questa campagna elettorale ha un’origine precisa. Una contesa giudiziaria tra la Citizens United, una organizzazione non profit di stampo conservatore, e la Federal Election Commission, l’agenzia federale che controlla le spese per la politica e la provenienza dei finanziamenti. La Citizens lamentava la legge sul tetto ai finanziamenti per le grandi società, i sindacati e le lobby. La suprema corte ha dato loro ragione con un voto 5 a 4. Il giudice Anthony Kennedy, relatore di maggioranza, ha fondato la motivazione sul diritto di opinione: “Se il primo emendamento ha una sua forza, proibisce al Congresso di multare o incarcerare i cittadini o le loro associazioni per il solo fatto di voler parlare di politica”». [3]

A meno di un mese dalle elezioni del 2006, lobby, gruppi di pressione, sindacati e associazioni avevano speso 16 milioni di dollari, quest’anno sono arrivati a 80. L’espresso: «Il record è della neonata associazione non profit dello Iowa American Future Fund che ha speso sette milioni di dollari (800 mila a favore di un solo candidato). Questa organizzazione, come tutte le altre, ha anche il diritto di non rivelare la provenienza del denaro proprio in quanto gruppo non profit». [3] Molinari: «Chris van Hollen, regista della campagna democratica per la Camera dei Rappresentanti, accusa i repubblicani di “accumulare ingenti donazioni anonime da parte di gruppi di interesse fedeli a George W. Bush e Dick Cheney che vogliono bloccare le riforme iniziate da Obama”. L’obiettivo dei suoi attacchi è Karl Rove, l’ex guru di Bush, considerato il regista di “American Crossroad”, una delle associazioni che sta registrando maggiori successi nella raccolta». [11]

Rove ha definito «ipocrite» le affermazioni di van Hollen «perché quando in passato questo tipo di donazioni hanno favorito i democratici, consentendogli di aiutare la corsa presidenziale, Obama si è ben guardato da sollevare obiezioni». Molinari: «Rove ammette che l’attuale sistema di raccolta dei repubblicani “prende esempio dal successo dei democratici nel 2008” quando fu David Plouffe il regista delle donazioni milionarie. “Li stiamo combattendo con le loro stesse armi ed ogni mezzo è lecito per mandare a casa una classe politica che sta affondando l’economia”». [11] Non saranno comunque i soldi a decidere le elezioni. Rampini: «Alla povertà di mezzi i democratici ne aggiungono una che si sono fabbricati in casa: la povertà di idee, di spinte al cambiamento, di ricambio nel personale politico». [12]

I repubblicani assaporano da tempo la rivincita. Jeb Bush, ex governatore della Florida (figlio dell’ex presidente George H., fratello dell’ex presidente George W.): «Sa perché martedì Obama verrà punito dagli americani? Perché hanno capito che in quattro anni di presidenza creerà un debito pubblico pari a quello di tutti i predecessori messi insieme. E la gente, che è senza lavoro, non lo accetta». [13] Salleo: «La crisi economica non è finita e la disoccupazione resta su livelli elevati; il disagio delle classi medie è marcato mentre gli effetti sociali della riforma sanitaria sui più poveri non possono ancora farsi sentire». [5]

I democratici sperano che l’affermazione dei demagoghi dei Tea Party finisca in futuro con l’alienare il centro moderato, gli indipendenti e soprattutto l’elettorato tradizionale repubblicano. [5] Il fattore etnico potrebbe rivelarsi determinante: in una nazione sempre più ispanica, iniziative come quella del senatore Russell Pearce, star dei Tea Party in Arizona che ha promosso l’abrogazione dell’emendamento che garantisce la cittadinanza americana a chiunque nasca sul suolo degli Stati Uniti, potrebbero allontanare la parte della popolazione che cresce più in fretta, condannando i repubblicani ad essere minoranza. [14] È per questo che il trentanovenne Marco Rubio, figlio di un cameriere fuggito da Cuba e di una donna delle pulizie, in corsa in Florida per un posto al Senato (bello, bravo e carismatico, lo chiamano l’“Obama dei repubblicani”), pur vicino alla Palin non ha aderito ai Tea Party. [15]

Negli Usa ogni scadenza elettorale è anche il momento nel quale gli americani sfogano la loro passione per forme di democrazia diretta. Massimo Gaggi: «Tra referendum e proposte di iniziativa popolare, oltre al voto di midterm gli elettori di 37 Stati esprimeranno la loro preferenza su 160 ballots. Dentro c’è un po’ di tutto: in Missouri si vota per migliorare il trattamento dei cani negli allevamenti, imponendo parametri rigidi ai loro gestori mentre in South Carolina si deciderà se dare valore costituzionale a una norma che impone votazioni a scrutinio segreto da parte dei lavoratori prima dell’ingresso dei sindacati in un’azienda. Il ballot più controverso è quello proposto da un deputato repubblicano in Oklahoma: una norma costituzionale che vieta ai tribunali di basare le loro decisioni sulla sharia, la legge islamica». [16]

Le battaglie più rilevanti si combattono in California. Se passasse la liberalizzazione della marijuana per chi ha più di 21 anni, altri otto Stati (Arizona, Ohio, Pennsylvania ecc.) potrebbero seguirne l’esempio creando un conflitto col governo federale: Obama ha deciso di continuare a considerare un reato il consumo. Lo scontro più duro è quello sull’ambiente: le industrie petrolifere hanno finanziato un referendum per accantonare i nuovi limiti anti-inquinamento (emissione di gas serra) fissati nel 2006 per iniziativa del governatore Arnold Schwarzenegger. Gaggi: «Curiosamente una lobby che nel resto d’America in genere appoggia i repubblicani contro il partito democratico, sulla costa del Pacifico attacca una figura celebre del fronte conservatore». [16]

Note: [1] Antonio Carlucci, L’espresso 4/11; [2] Federico Rampini, la Repubblica 29/10; [3] L’espresso 21/10; [4] Maurizio Molinari, La Stampa 29/10; [5] Ferdinando Salleo, la Repubblica 14/10; [6] A. C., L’espresso 4/11; [7] Alberto Simoni, La Stampa 24/10; [8] Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera 30/10; [9] Antonio Carlucci, L’espresso 21/10; [10] Maurizio Molinari, La Stampa 26/10; [11] M. Mo., La Stampa 25/10; [12] Federico Rampini, la Repubblica 25/10; [13] Marco Bardazzi, La Stampa 30/10; [14] Federico Rampini, la Repubblica 10/10; [15] La Stampa 30/10; [16] Massimo Gaggi, Corriere della Sera 28/10.