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 2010  ottobre 29 Venerdì calendario

LA RIESUMAZIONE SHOW DEL BANDITO GIULIANO


MONTELEPRE - Lì dentro, qualcosa intanto l´hanno trovata: un mucchio di ossa. Se poi saranno davvero quelle di Salvatore Giuliano, ce lo diranno i medici legali. In questa Italia dove la storia è fatta sempre di misteri e mai di certezze è una notizia per nulla scontata: la bara dove avevano (o avrebbero) sepolto il bandito non è vuota.
Per vederla scoperchiare da muratori e fabbri, con scalpelli e fiamme ossidriche, nel paese di Montelepre sono arrivati sopravvissuti della strage di Portella della Ginestra, separatisti del Movimento indipendentista siciliano, turisti francesi, curiosi venuti da Palermo, parenti vicini e lontani, e un esercito di investigatori e procuratori richiamati su questo pizzo di montagna per assistere alla più inattesa e insieme più ovvia - visto come sono andate certe cose fra mafia e Stato - delle riesumazioni. E qui, nel piccolo camposanto, sessant´anni dopo e per un giorno, Montelepre è tornata «capitale» della Sicilia.
Tutto è stato surreale, a cominciare da quel Corrado Tarantola partito all´alba da Partinico vestito proprio come il bandito, stivaloni, giacca di velluto, bisaccia, cartucciera e al collo il foulard rosso-giallo simbolo della Trinacria, un moderno sosia di Salvatore Giuliano rimasto in posa tutto il giorno per foto e riprese tivù. Tutto è stato drammaticamente vero, a cominciare dal professore Livio Milone quando ha segato un pezzo di tibia e se l´è portata via mentre appuntava sul suo taccuino la «probabile altezza» dell´uomo finito in quel feretro e intanto sul vialetto passava in quel momento Rosalia Pisciotta, la sorella di «Aspanu», Gaspare Pisciotta, il cugino-traditore che vendette il suo capo e poi finì avvelenato con un caffè alla stricnina all´Ucciardone. Fantasmi che si aggirano nel cimitero di Montelepre, la cappella della famiglia Giuliano in fondo, a neanche dieci metri la cappella della famiglia Pisciotta.
Passato e presente, mescolato in una fredda mattina d´autunno con il cielo nero che si schiaccia sulle colline di Sagana, quello che fu il quartiere generale del «colonnello» dell´Esercito per l´Indipendenza della Sicilia Salvatore Giuliano, eroe popolare che però sparava sui contadini, Robin Hood nostrano che però si faceva manovrare dai mafiosi, pericolo pubblico numero uno che però era corteggiato e protetto dagli sbirri. Passato e presente, trattative antiche e moderne, dalle scorribande per «una Sicilia ai siciliani» all´estate del 1992, sempre lo stesso schema, sempre a braccetto boss e generali, sempre lo stesso schifo decennio dopo decennio e strage dopo strage.
Di chi è quello scheletro? «Al 100% non è di Salvatore Giuliano perché lui è morto quattro anni fa in Canada», risponde Albino Giuliano, uno dei suoi cugini ancora in vita, nato nel 1922 come Turiddu. Di chi è quello scheletro? «Spero che sia quello del bandito perché così nessuno possa screditare ancora l´operato dello Stato», risponde il sindaco di Montelepre Giacomo Tinervia. Di chi è quello scheletro? «È di un uomo, già sottoposto ad autopsia, con fratture ossee in alcuni punti compatibili con colpi da arma da fuoco», risponde il procuratore aggiunto della Repubblica Ingroia che il 5 luglio scorso ha riaperto l´inchiesta sulla morte del bandito dopo che gli storici Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino avevano inviato alla Questura di Palermo una richiesta di «approfondimento» sull´identità del cadavere.
Il corpo nella tomba è «in buono stato di conservazione» nonostante i sessant´anni trascorsi, comunque il procuratore Ingroia - che davanti alla tomba era in compagnia dei sostituti Lia Sava e Paolo Guido, Marcello Viola e Francesco Del Bene - spiega che «dovrebbero esserci elementi tali che permetterebbero al medico legale di poter effettuare l´eventuale comparazione del Dna anche se al momento non ci sono certezze».
Le certezze (o le quasi certezze) sull´uomo seppellito a Montelepre al momento le hanno soltanto i nipoti, tutti schierati intorno alla cappella. Salvatore Gaglio, Pino Sciortino, Salvatore Giuliano. Sì, Salvatore Giuliano proprio come lo zio, stessi occhi e stesso sorriso, stesso mento e stessa fronte. «Noi speriamo che nostro zio si sia rifatto una vita lontano», dicono lui e suo cugino Pino che in paese ha un albergo-ristorante, il «Giuliano´s Castle», dove arrivano ammiratori del bandito da tutto il mondo. Mangiano costolette di cinghiale e ricotta e poi lui li porta cento metri più giù, in via Castrenze Di Bella numero 191, la casa dove è nato Salvatore Giuliano e dove oggi in un piccolo museo il nipote conserva il cinturone dello zio. Sopra la pelle c´è una borchia con su stampata un´aquila a sinistra, la Trinacria al centro e un leone rampante a destra. Era il simbolo di Salvatore Giuliano: con l´astuzia dell´aquila e il coraggio del leone lui voleva conquistare la Sicilia.