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 2010  ottobre 29 Venerdì calendario

È MORTO IL WEB, VIVA LE APPLICATION, PER VOCE ARANCIO


“The Web Is Dead. Long Live the Internet” (“Il web è morto. Lunga vita a internet”: titolo principale del numero di settembre di Wired).

Quando Chris Anderson, direttore dell’edizione americana della rivista che è il punto di riferimento internazionale per l’informatica e internet, ha scritto il suo pezzo, si aspettava probabilmente il polverone che ha scatenato. La sua tesi si basa sull’assunto che in internet, negli ultimi dieci anni, la percentuale di banda impegnata per la navigazione è crollata, mentre è aumentata quella utilizzata per la fruizione di video, per programmi di condivisione di file, per tutto ciò che si può fare sulle applicazioni.

Web infatti non è sinonimo di internet. Se per internet si intende una piattaforma costituita da un’infrastruttura di host, router e collegamenti, il web altro non è che una applicazione che “sfrutta” la piattaforma internet. Il world wide web (www) è stato creato solo nel 1991 come primo browser per andare online, mentre si parla di internet già dagli anni Sessanta. «Il web è un complesso di tecnologie, servizi e contenuti, partiti più o meno 18 anni fa con l’ipertesto di Tim Berners-Lee e il browser di Marc Andreessen: circa 250 milioni di siti e 126 milioni di blog, secondo RoyalPingdom, i negozi come eBay e Amazon, le destinazioni come Wikipedia e Wikileaks, il motore di ricerca di Google e il social network di Facebook. Ma il protocollo internet, molto più antico, è usato anche per la posta elettronica (90mila miliardi di messaggi nel 2009), per lo scambio di file musicali, per vedere la televisione digitale, per telefonare con Skype, per giocare a World of Warcraft, per usare applicazioni con l’iPhone e l’iPad:cose che non si fanno con il web, ma che viaggiano su internet. E che nell’insieme crescono di più del web» (Luca De Biase, studioso di new media, giornalista del Sole 24 Ore).

Capire la distinzione tra web e internet è fondamentale per cercare di approfondire la questione presentata da Anderson ed evitare stupite reazioni. La sua tesi è stata comunque immediatamente contestata, per esempio da quelli di BoingBoing, che riportando altre statistiche sostengono che il traffico sul web è passato da 10 terabyte al mese nel 1995 a un milione di terabyte nel 2006. Non propriamente una diminuzione insomma.

Oltre il titolo a effetto, l’editoriale di Wired si concentra soprattutto su come usiamo oggi internet e quali sono le prospettive.

«Ti svegli e controlli la posta sull’iPad, con un’applicazione. Mentre fai colazione ti fai un giro su Facebook, su Twitter e sul New York Times, e sono altre tre applicazioni. Mentre vai in ufficio, ascolti un podcast dal tuo smartphone. Un’altra applicazione. Al lavoro, leggi i feed RSS e parli con i tuoi contatti su Skype. Altre applicazioni. Alla fine della giornata, quando sei di nuovo a casa, ascolti musica su Pandora, giochi con la Xbox, guardi un film in streaming su Netflix. Hai passato l’intera giornata su internet, ma non sul web. E non sei il solo» (Chris Anderson su Wired).

Quello su cui pone l’accento Anderson è un modo diverso di utilizzare internet, sempre più mediato dalle applicazioni. Si va verso un aumento di piattaforme che usano internet come mezzo di trasportare dati e poi funzionano in maniera indipendente. Le applicazioni sono infatti sempre più semplici da usare, e iPhone e iPad stanno ridisegnando il modo di usare web e internet.

«Le app ricostruiscono un contesto, il filo di un discorso. Mentre sul web sorvolavamo velocemente su tutto, ora ci soffermiamo più a lungo nell’assorbire i nostri contenuti preferiti sull’iPhone. Siamo in una transizione dall’era del multi-tasking, in cui facevamo troppe cose alla volta (telefonavamo guardando lo schermo del computer) a un mono-tasking. La nuova generazione di tavolette, i lettori digitali, ci spingono alla concentrazione. O per dirla con una battuta: passiamo meno tempo a cercare, e più tempo a trovare» (Anderson a Federico Rampini, su Repubblica).

Il linguaggio html, quello con cui si costruiscono le pagine web, sarebbe quindi destinato a diventare uno strumento desueto, anche se chiaramente non a scomparire (come non sono scomparsi i telefoni fissi anche se ci sono i cellulari). Inoltre gli utenti della rete stanno invecchiando e diventando tecnologicamente più maturi. Il desiderio della scoperta non è più fondamentale come per la prima generazione di internauti, adesso in molti scelgono anche di pagare, per esempio per scaricare brani musicali che prima si ottenevano gratuitamente (ma in maniera illegale).

Sulle piattaforme mobili come iPad e iPhone si paga per molti servizi: leggere quotidiani, usare application di vario genere, ecc.

«Internet sta entrando in una nuova fase rivoluzionaria. Le rivoluzioni industriali hanno dei cicli, e per la rete se n’è chiuso uno» (Anderson a Rampini).

Massimo Mantellini, uno dei più influenti esperti di internet italiani, ha scritto su Anderson un articolo molto critico, che si chiude così: «L’ondivago Chris ci spiega che le applicazioni sono quello che desideriamo e contemporaneamente ci dice, senza dirlo, che si era sbagliato, che l’economia dell’abbondanza non esiste e che anzi, oggi esattamente come 50 anni fa, sarà l’economia della scarsità, indotta a forza dai cancelli degli aventi diritto, a far quadrare i conti del suo editore (e incidentalmente anche i suoi). Tutto molto bello, tutto molto americano, luccicante e vero come il Canal Grande a Las Vegas». (http://www.ilpost.it/massimomantellini/2010/08/19/tutte-le-giravolte-di-chris-anderson/)
Il problema è infatti che queste applicazioni non sono libere e di tutti, ma di proprietà di qualcuno, e conseguentemente sono spesso a pagamento. Come mai allora si abdica alla propria libertà? La risposta di Anderson è chiara: «È il consumatore a decidere, e il consumatore sta dicendo che vuole un servizio veloce, facile, da attivare con la punta dei polpastrelli. Entro cinque anni il numero di utenti che avranno accesso a internet dai loro telefonini avrà superato il numero di chi usa il computer. Il verdetto è chiaro. Per quanto possiamo amare la libertà di scelta, vogliamo avere la vita facile, vogliamo dei servizi efficienti e affidabili a portata di mano».
Secondo alcuni critici, ci sarebbe anche un conflitto di interessi nell’articolo di Anderson. Infatti Condé Nast, editore di Wired, punta molto sui magazine come application.

I tablet occupano attualmente il 6% del mercato dei pc: il dato è però in forte crescita. Secondo Forrester Research nel 2012 i tablet supereranno i netbook, e nel 2015 probabilmente anche i pc desktop che passeranno dal 45% del mercato del 2008 al 18% tra cinque anni.

A maggio, dopo sessanta giorni dal lancio, erano già stati venduti un milione di iPad.

Nello stesso numero di Wired, accanto all’editoriale di Anderson, anche Michael Wolff sostiene che il web è morto, ma per ragioni diverse. Il problema è strettamente economico, e riguarda la concentrazione crescente di capitali in pochi siti che dominano la rete. Ad esempio, meglio puntare su Facebook con i suoi 500 milioni che sperimentare sponsorizzazioni ad altri social network più piccoli. «Secondo la società di analisi Compete – scrive Wolff – nel 2001 i primi dieci siti più visitati negli Stati Uniti producevano il 31 per cento del traffico totale, il 40 per cento nel 2006, il 75 per cento nel 2010».

Wired Italia ha chiesto a Leandro Agrò, uno dei maggiori esperti italiani di interaction design, se il web è veramente morto: «Il web non ha mai rappresentato tutte le forme di rete (Ftp, Gopher, Telnet, altri sistemi alternativi ad internet), e tanto meno questo ruolo può essere ricoperto dai browser. Ci sarà sempre un SecondLife, un Ftp, una applicazione che esiste fuori dal browser e/o fuori dal web. Con questa consapevolezza e la certezza che la rete continuerà a evolvere alimentando le sue biodiversità, possiamo azzardare questa previsione: i browser si adatteranno più facilmente a contesti a lento cambiamento, mentre le applicazioni (soprattutto quelle monofunzione) schizzeranno fuori dai browser sino a fondersi con quel nuovo mondo di piccoli device sempre connessi che – spero – contribuiranno a costruire la nuova frontiera della rete».

Al netto delle previsioni profetiche e dei titoli a effetto, quello su cui tutti o quasi sembrano d’accordo è che il mondo di internet sta cambiando, lentamente si sta erodendo l’egemonia del web, dell’uso dei browser, verso un uso con sempre più applicazioni (e anche con più cose anche a pagamento). Piano piano capiremo se queste applicazioni a pagamento scalzeranno del tutto il web gratis o, come è più probabile, convivranno e verranno usati per scopi diversi.