Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 29/10/2010, pagina 96, 29 ottobre 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
3 settembre 1982
«Non siamo stati noi!»
Una calda sera d’estate un tassì si ferma davanti al palazzo della prefettura a Palermo e ne scende un giornalista che viene lasciato passare senza difficoltà dai due agenti che sorvegliano l’ingresso. Dentro non ci sono altri controlli, il giornalista non vede nessuno, sale le scale, attraversa una serie di sale e salette e, quando arriva in un grande salone, ecco finalmente un uomo venirgli incontro. È Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei carabinieri, e il giornalista è il più prestigioso inviato della Repubblica, Giorgio Bocca. Ma non è stato lui a cercare l’intervista, è il generale che vuole, attraverso i giornali, tentare un’ultima volta di scuotere i politici romani che pure l’hanno voluto alla prefettura della città. Dalla Chiesa è famoso perché è riuscito in pochi anni a debellare il terrorismo rosso. Con una squadra di fidatissimi e metodi investigativi pazienti ma sempre più stringenti, ha ottenuto i primi arresti, le prime ammissioni, le prime confessioni, la scoperta dei covi e dei documenti. Ma in Sicilia, dall’inizio dell’anno, ci sono state più di cento vittime della mafia, una guerra di bande che ha toccato anche politici, giornalisti ed estranei. A Dalla Chiesa viene offerto l’incarico non certo di eliminare la mafia, ma di «contenerla», come dirà egli stesso a Bocca. Ma quali poteri ha il prefetto antimafia? Nessuno. Non può procedere nelle investigazioni indipendentemente da tutti, non può richiamare in servizio il suo gruppo di fedelissimi, non può trasferire dai suoi uffici diverse persone sospette. Gli resta solo il coraggio personale, farsi vedere in giro, per esempio al mercato ittico, noto covo mafioso, senza scorta, per dare l’immagine di uno Stato che non teme le cosche, che non teme nessuno. E protesta con i suoi referenti politici: perché affidargli quel compito senza poi dargli i mezzi per portarlo a buon fine? La mafia ha ucciso il democristiano Piersanti Mattarella, dice a Bocca, quando ha capito che era rimasto solo. E lo stesso avverrà con me - lascia intendere - se non mi danno quel che mi serve.
L’intervista non cambia minimamente le cose. E la mafia capisce e colpisce. Su una vetturetta bianca, guidata da un carabiniere, il generale e la giovane moglie Emanuela, che da poco l’ha raggiunto a Palermo, escono dalla prefettura e si dirigono verso casa. Nessuno conosce i loro programmi per la serata, ma la mafia arriva con due motociclette e fa una strage. Ai funerali nella chiesa di San Domenico arriva tutta Roma, dal presidente Pertini al consiglio dei ministri al completo. Quando escono, la folla li fischia, li insulta, li copre di monetine e bottigliette. Una donna del popolo urla singhiozzando alla figlia del generale: «Non siamo stati noi!». (68. continua domenica)