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 2010  ottobre 29 Venerdì calendario

SORPASSO DI PECHINO SUGLI USA. PIU’ BREVETTI E SUPERCOMPUTER —

Negli Stati Uniti l’incubo della Cina — fabbrica della gran parte degli oggetti che riempiono le case degli americani e sempre più arrogante nei rapporti col governo Usa, suo grande debitore — si arricchisce di una nuova dimensione: quella tecnologica. Da tempo molto economisti mettevano in dubbio che nell’ era dell’economia digitale e globalizzata, coi Paesi emergenti e a basso costo del lavoro che investono massicciamente nella tecnologia e nelle scuole d’eccellenza, i Paesi più ricchi potessero continuare a prosperare semplicemente applicando la regola del vantaggio competitivo enunciata per primo da Adam Smith nel Settecento: abbandonando, cioè, le produzioni tradizionali e spostandosi verso quelle tecnologicamente più sofisticate.
L’ultimo colpo a questa teoria l’ha dato il Tianhe-1A, il "supercomputer" cinese che da ieri ha detronizzato le più avanzate macchine americane, conquistando il record mondiale di velocità di calcolo. Il nuovo sistema, costruito nel National Supercomputing Center di Tianjin, è gestito congiuntamente dal ministero della Difesa e da quello della Pubblica Istruzione ed è 1,4 volte più potente del «campione» americano: il supercalcolatore costruito nei laboratori nazionali del Tennessee.
Gli Stati Uniti hanno in cantiere macchine ancora più veloci, ma la loro messa a punto richiederà anni. Il computer della potenza asiatica utilizza ampiamente componenti americane — soprattutto i microchip Intel e Nvidia — ma il sistema è stato completamente disegnato e costruito da scienziati e tecnici cinesi. Un vero smacco per gli americani, battuti anche in un campo, quello del calcolo digitale, nel quale si erano sempre sentiti dominatori assoluti (in realtà nel 2002 c’era stato un sorpasso giapponese, ma dopo due anni gli americani avevano reagito, riconquistando stabilmente la leadership).
Nemmeno il fatto che il Tianhe-1A sia imbottito di chip Intel e Nvidia è particolarmente consolatorio: intanto perché la vicenda ripropone il dilemma di come comportarsi coi Paesi che usano la tecnologia americana come trampolino per scavalcare l’America e poi perché, comunque, i cinesi stanno sviluppando i loro microcircuiti: secondo gli analisti tra due o tre anni potrebbero non aver più bisogno di quelli di Intel.
Quella dei supercomputer non è una gara fine a sé stessa: sono macchine che servono a risolvere problemi critici per qualunque Paese nelle aree della difesa, della gestione ottimale delle risorse energetiche, della finanza, del progresso scientifico.
Del resto l’allarme, per gli americani, non viene solo da questo tipo di centri di calcolo. Qualche giorno fa è stato pubblicata, senza che facesse troppo rumore, una ricerca della Thomson Reuters dalla quale emerge che l’anno prossimo la Cina scavalcherà gli Stati Uniti e il Giappone anche per numero di brevetti depositati. Un quadro tutt’altro che confortante completato dal calo della spesa Usa per ricerca e sviluppo e dalla crisi del sistema scolastico americano soprattutto per quanto riguarda l’insegnamento della matematica e delle altre discipline scientifiche, mentre la Cina moltiplica il numero dei suoi laureati.
Gli Stati Uniti cominciano a reagire, ma per adesso le loro mosse sono più offensive che difensive: Obama promette un New Deal basato sulla rivoluzione dell’energia pulita, ma fin qui sono stati i cinesi a investire massicciamente e a conquistare la leadership produttiva nel solare e nell’eolico, con Washington che ha reagito denunciando davanti al Wto le sue pratiche anticompetitive e i sostegni governativi illegittimi dati alle industrie del settore. Gli americani stanno, poi, intensificando la sorveglianza anche contro lo spionaggio industriale: di certo è anche per questa via che hanno perso la leadership in alcune tecnologie. Ma i l dat o più frustrante per gli Usa è che sono costretti a utilizzare le loro energie più per contenere che per costruir e : nel l a pr i mavera scorsa è stato arginato il tentativo del gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei di sbarcare negli Usa costruendo in California un laboratorio di ricerca reclutando centinaia di ingegneri americani. Ora, però, la stessa compagnia ha fatto al "carrier" telefonico Sprint-Nextel un’offerta conveniente per la fornitura di apparecchiature di tlc wireless del valore 3 di 3 miliardi di dollari. L’azienda è interessata ma l’affare, oltre a far entrare un gigante asiatico nel cuore del mercato tecnologico americano, suscita anche dubbi politico-strategici, visto che l’America rischierebbe di trovarsi con un "orecchio" cinese nel bel mezzo del suo sistema di comunicazione. Alzare le difese è giusto, ma per rilanciare la produzione e l’export di tecnologia ci vuole anche molto altro.
Massimo Gaggi