Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 29 Venerdì calendario

«SE SI LIBERA FELTRI LO PRENDO IO»


Uno pensa a chissà quali complesse ricerche di mercato, a grandi riunioni tra manager esperti. E invece fu la sua nipote di 16 anni, con un sms, a suggerirgli la strategia vincente per il lancio di Dipiù tv nel 2005. E un libro sui cani lo condusse a Sandro Mayer, il direttore che ha segnato i successi più clamorosi della sua casa editrice.

Urbano Cairo presidia il territorio a partire dal bar di fronte alla Cairo Editore, in corso Magenta a Milano: vicino al bancone dei caffè, infatti, sono in vendita solo i suoi settimanali, in esclusiva. La carta stampata va bene, la raccolta per la tv vola con i recenti record di ascolti di La7. Ma c’è la questione Torino calcio, dove l’imprenditore Cairo, dal 2 settembre 2005, ha già messo 40 milioni di euro. La società, che in serie B ha perso l’ultima partita in casa col Frosinone, sarebbe anche in vendita, se si trovasse un compratore serio. Intanto non tramonta l’idea di un quotidiano. Enrico Mentana, ormai, si è accasato a La7, ma se Vittorio Feltri dovesse lasciare Il Giornale...

Domanda. Se Enrico Mentana, a suo tempo, avesse accettato la carica di direttore, lei sarebbe partito col quotidiano popolare?

Risposta. Mentana è un numero uno. Ci siamo incontrati nel 2004, ma c’erano dei dubbi reciproci, e la cosa non è mai decollata. Nel senso che lui ha un côté politico molto sviluppato, mentre io pensavo a un quotidiano popolare. A Mentana la politica piace molto, abbiamo visto come è partito col Tg di La7, cavalcando la cronaca politica in una maniera bipartisan intelligente. Quindi, tornando alla domanda, noi due non siamo mai stati così avanti nel progetto da dire: beh, se viene Mentana partiamo. E secondo me Mentana non condivideva molto l’idea di un giornale senza politica.

D. Quindi niente pentimenti per non aver lanciato il quotidiano?

R. Non ho dato corso alla mia idea-progetto sette anni fa, quando forse aveva più senso. Ora lo spazio per i quotidiani si è ulteriormente ristretto. Diciamo che in quegli anni per me il salto da editore di mensili a editore di quotidiani era eccessivo. Ho dato forma a quelle mie idee nei lanci dei settimanali. E poi c’era il rischio-paese Italia, dove il quotidiano popolare non ha mai avuto successo.

D. Allora è rammaricato di essere uscito dalla avventura di Libero, di non averci creduto fino in fondo?

R. Feltri è stato bravissimo a Libero e molto bravo ora al Giornale. A fine 2000 l’operazione con Libero era partita in un certo modo, poi qualcosa non ha funzionato. E sono uscito. Libero, però, è andato molto bene e faccio i complimenti a Feltri.

D. Proprio Feltri, nelle scorse settimane, pareva scalpitare. Se dovesse lasciare Il Giornale, potrebbe rientrare nei suoi piani?

R. Feltri è bravo, quindi mai dire mai. Anche se lui ha una forte predilezione per la politica che cavalca come pochi in Italia.

D. Quindi le sue voglie di popolare le ha tradotte nei settimanali. Perché ha scelto Sandro Mayer, che in molti, nel 2003, davano a fine corsa?

R. Con lui avevo già avuto contatti nel 1999. Però era impegnato con Gente, io avevo appena iniziato a fare l’editore, e, oltretutto, avevo in concessione la raccolta pubblicitaria di Oggi. Quindi i tempi erano prematuri.

D. E poi?

R. Nel dicembre 2003 ricevo in regalo un libro di Mayer, uno dei suoi libri con protagonisti i cani, con una dedica simpatica per me. Lo richiamo subito per ringraziarlo, e ci accordiamo per un pranzo. Ci vediamo il 12 dicembre in un ristorante a Milano. Parliamo dei miei progetti. E ritorniamo poi sul progetto di lancio di un familiare di nuova generazione. Tutto va veloce, e il 24 dicembre del 2003 firmo il contratto con lui per cinque anni, che poi abbiamo rinnovato per un altro quinquennio.

D. Mayer in gennaio si mette al lavoro su Dipiù, ma in azienda si rallentano un po’ i tempi...

R. È vero. Lui fa un paio di numeri zero, ma vede che la struttura della casa editrice è un po’ macchinosa nel partire. È irrequieto, mi chiama, mi espone le sue apprensioni. Io rispondo: «direttore, il giornale mi piace, fissiamo la data di uscita e stop». E infatti Dipiù esce il 19 aprile del 2004, di lunedì, stravolgendo le abitudini della concorrenza. Tra l’altro il 19 è il mio numero fortunato.

D. Anche per la nascita di Dipiù Tv c’è qualche rallentamento in azienda...

R. Iniziamo a pensarci nel luglio del 2004. Poi, sotto Natale, escono voci sul mercato, e la concorrenza, che per Dipiù ci aveva un po’ sottovalutati, si impegna a contrastarci con nuovi prodotti. Tanto che sia Mondadori sia gruppo Espresso, nel gennaio 2005, portano in edicola due quindicinali, Tv Magazine e Due Tv, con tiratura monstre di un milione di copie, e un settimanale, Star+Tv, con 600 mila copie. Hanno un prezzo di copertina di 50 centesimi e anche grandi campagne pubblicitarie per il lancio. Noi siamo in ritardo, ci siamo fatti anticipare, mi rammarico di aver perso tempo e sono preoccupato...

D. E cosa succede?

R. Capita che vado a pranzo con i miei familiari. Si chiacchiera di varie cose, parlo anche di questa vicenda. C’è pure la mia nipotina, che all’epoca aveva 16 anni. Qualche giorno dopo ricevo un sms da lei, che mi dice: zio, tu sei preoccupato che loro sono usciti in edicola prima di te. Ma perché non provi a vendere il nuovo giornale televisivo a 20 centesimi?

D. Un prezzo bassissimo...

R. Infatti, a me il giornale costava almeno il doppio, quindi una bella perdita. Però lo considero un investimento promozionale, e decido di seguire il consiglio della mia nipotina: per tre numeri Dipiù Tv a 20 centesimi. Lo dico solo a Mayer, che strabuzza gli occhi, e poi mi abbraccia. Manteniamo il segreto più totale in azienda, temevamo fughe di notizie. Siamo a fine gennaio. Al distributore lo diciamo al giovedì sera. La concorrenza lo viene a sapere al venerdì mattina, quando non può fare più nulla. Usciamo in edicola al lunedì. Tre numeri a 20 centesimi: 950 mila copie vendute. Poi passiamo a 50 centesimi, e cresciamo man mano fino a un euro. Il giornale piace e si stabilizza a 500 mila copie.

D. Mentre i tre prodotti Mondadori ed Espresso hanno tutti chiuso...

R. Infatti.

D. Lei è un editore piuttosto giovane. Però il mondo nel quale si è formato, quello dei Tatò, dei Rusconi, dei Biondi, degli Occhipinti e degli Scalfari, sembra un po’ sul viale del tramonto. Che ne pensa?

R. Penso a uno come Mayer, grande direttore degli anni 80 e 90, e che poi è riuscito ad avere un ruolo altrettanto importante negli anni 2000. Tramontano solo i protagonisti che non hanno saputo adattarsi e che non hanno intercettato le novità e i gusti dei lettori.

D. I periodici sono il mezzo che soffre di più quanto a raccolta pubblicitaria. Come vede il futuro di questo comparto?

R. Beh, la nostra casa editrice ha oltre il 65% dei ricavi da edicola, e meno del 35% da pubblicità. Nel 2010 chiuderemo con un fatturato editoria di circa 120 milioni di euro, e siamo ormai il secondo editore di settimanali, con 1,7 milioni di copie vendute ogni sette giorni. I gadget e i prodotti collaterali valgono solo il 2%. In Italia abbiamo un canale straordinario, quello delle 35 mila edicole. E quel canale dobbiamo cavalcare e sfruttare al massimo.

D. Lei ha sempre detestato le politiche legate ai collaterali. Perché?

R. Per alcuni motivi. Innanzitutto, se vendi delle copie con gadget o con prodotti collaterali, non capisci realmente quante copie stai vendendo. Non cogli gli eventuali campanelli di allarme, e non rinnovi il giornale per tamponare cali reali di vendite. Poi, quando un periodico ha tante opzioni di gadget, e ce ne sono alcuni che ne hanno anche cinque o sei, devi ridurre la tiratura di copie nude per fare spazio alla tiratura di copie con gadget. Quindi arrivi al paradosso che perdi lettori fedeli, che vogliono solo il giornale e basta. E li perdi perché in edicola non trovano il giornale nudo, ma solo quello con gadget che a loro non interessa. Non ti comprano, e magari si disaffezionano. I gadget, l’ho sempre detto, sono la rovina del comparto editoriale. E vengono usati da alcuni manager in una logica di breve periodo.

D. Veniamo alla raccolta di La7. Con la crescita di ascolti in settembre e ottobre, il 2011 si preannuncia scoppiettante...

R. A fine 2008 abbiamo firmato un contratto triennale con La7, impegnandoci a un minimo garantito di 120 milioni lordi annui. Nel 2009 siamo arrivati a 121 milioni, risultato eccezionale in un mercato della pubblicità televisiva che perdeva il 10%. Nel 2010 faremo sicuramente meglio. E nel 2011, se la media di La7 si attesterà al 3,5-3,6% di share, faremo ancora di più. Ricordo solo che nel 2002, quando abbiamo preso il contratto di concessione, La7 aveva un’audience del 2% e fatturava 36 milioni di euro. Nel 2009 gli ascolti erano del 3% e il fatturato era a 121 milioni. Quindi lo share, in questi anni, è salito del 50%, mentre i ricavi pubblicitari sono più che triplicati. Un grande lavoro della concessionaria guidata da Uberto Fornara.

D. Questione dolente: la squadra di calcio del Torino. Lei rileva la società a costo zero il 2 settembre 2005. A fine 2010 sarà sotto di 40 milioni di euro. Se trova qualcuno che le versa 50 milioni di euro, vende?

R. A febbraio dissi che ero disposto a vendere a qualcuno più bravo o più ricco di me. Si è fatto avanti solo il signor Antonio Tesoro, presidente della Pro Patria (che, tra l’altro, un mese fa si è dimesso dall’incarico, ndr). Nessun altro ha fatto offerte. Quindi vorrei anche dire ai tifosi: io non voglio restare presidente e proprietario del Torino a vita. Ma ora non ho nessuno a cui venderlo. Quindi la contestazione non serve a nulla, cerchiamo di stare uniti, di non invelenire l’ambiente e creare clima negativo per la squadra, e andiamo avanti. Vorrei solo ricordare che nell’editoria il mio primo successo è arrivato con Dipiù dopo cinque anni e due mesi che facevo l’editore. E nel calcio i cinque anni e due mesi di presidenza del Torino li compio solo tra qualche giorno.