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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

L´INCANTESIMO DEL COLLE

Con i suoi 57 metri e 20 centimetri sul livello del mare, il Colle più alto non è in realtà il più alto, essendo il Quirinale di poco sottostante all´Esquilino. E già questa superiore inferiorità geologica, questo virtuoso dislivello spiegano lo specialissimo potere che tra l´equivoco e il paradosso la «Reggia della Repubblica» seguita a esercitare sulla politica italiana.
Trentuno papi ha ospitato nei secoli il grande palazzo, quattro sovrani della dinastia Savoia e undici presidenti: quanto basta perché tra le mura antiche e i magnifici giardini si accumulassero storie, miti, leggende e sortilegi. «Ca´ preive», la casa dei preti, definì in piemontese il Quirinale Vittorio Emanuele II con malcelato disdegno per i precedenti inquilini. Ma si può credere che il suo giudizio fosse anche dettato da quella specie di anatema malaugurante con cui, una volta cacciato di lì, Pio IX volle evocare il numero crescente «dei flagelli ai quali, dopo la funesta breccia di Porta Pia, sembra che Iddio abbia permesso libero corso».
Ci furono in effetti dopo il 20 settembre 1870 cataclismi, alluvioni, epidemie, al punto da accreditare presso Andreotti l´esistenza di una vera e propria «maledizione del Quirinale»; che col tempo fu estesa anche ai presidenti della Repubblica, però solo a quelli provenienti dal partito cattolico, la Dc.
Per cui Gronchi, che pure a corte dovette spassarsela, fu politicamente contestatissimo dal suo ex partito; e se Segni, fin troppo intimorito dagli spioni sulle conseguenze dell´apertura a sinistra, dovette mollare dopo un drammatico coccolone, Leone venne praticamente cacciato via all´indomani di una logorante campagna di stampa.
A conferma dell´incantesimo del Colle va aggiunto che chi lo desidera troppo non lo ottiene: vedi Fanfani, Moro, Spadolini e lo stesso Andreotti. Anche di Cossiga, penultimo Capo di Stato dc, non si può dire che lassù ebbe vita facile. Certo presentì e fece il massimo sforzo per pilotare, fra le massime incomprensioni, la fine della Prima Repubblica. Tra una picconata e l´altra scoprì che nei sotterranei del palazzo c´era ancora il trono dei Savoia (in verità appartenuto a Maria Luisa d´Austria) e lo fece restaurare.
Ma a quel punto il modello presidenziale era inesorabilmente mutato; come del resto lo stile che contrassegna la vita dei vari settennati: dalla frugalità di Einaudi che chiedeva ai commensali chi volesse dividere con lui una pera (incerta tra Flaiano e Montanelli la paternità del racconto) alle fastose «cacciarelle» al cinghiale e al massivo consumo di champagne Krug dell´era Saragat.
Dal punto di vista del comando, molto incisiva, oltre che profetica per quanto riguarda l´odierno dominio degli spettacoli politici, è da considerarsi la presidenza Pertini - che ricevendo a colazione quelli de Il Male decisi a fumarsi uno spinello al Quirinale, li scoraggiò ancor prima che ci provassero brontolando: «Droghe leggere o pesanti, io darei a tutti la pena di morte». Di Scalfaro, il «Pertini bianco», si può dire che ruppe l´incantesimo di Pio IX impartendo a Berlusconi la prima, seria e unica sconfitta campale e istituzionale che meriti rammentare; mentre del settennato di Ciampi è ancora fresco il ricordo di solido equilibrio, impeccabile accortezza ed esemplare sobrietà.
Nei mesi scorsi, colto da impulso savonaroliano, l´ex portavoce di De Mita, Giuseppe Sangiorgi, ha proposto in un libro (Rivoluzione Quirinale, Gaffi) che la presidenza della Repubblica abbandoni lo storico palazzo per trasformare in museo nazionale il Colle più alto, che poi non è il più alto, ma nei secoli è come se lo fosse.