ATTILIO BOLZONI, la Repubblica 28/10/2010, 28 ottobre 2010
TAGLI DEI FONDI PUBBLICI E VINCOLI ALLA SPESA. E LO STATO CHE SI DEFILA PER LASCIARE SPAZIO AI MERCANTI COSÌ IN TUTTA ITALIA MUOIONO I MUSEI DESTINATI ALLE OPERE CONTEMPORANEE
Un respiro sempre più pesante, che ora minaccia di diventare paralisi. Mentre le forbici di Stato lavorano ai fianchi piccole e grandi istituzioni culturali radicate sul territorio, quello che sembra profilarsi per l´arte contemporanea in Italia non è solo uno tsunami. Ma qualcosa che somiglia al suo più perfido contrappasso: la mancanza di futuro per l´arte in movimento, l´agonia inflitta a un linguaggio in perenne evoluzione, il C´era una volta applicato al racconto futuribile per eccellenza.
Gli ultimi vincoli imposti dal patto di stabilità hanno vibrato il colpo decisivo. Sui musei pubblici d´arte contemporanea - 26 gli italiani più rinomati, con un milione di visitatori in un anno e un trend generalmente in crescita - si è abbattuta la scure dei tagli, dal 30 al 50 per cento, inflitti già a monte agli enti pubblici da cui dipendono, Comuni, Regioni e Province. In più, ecco la norma della finanziaria che da gennaio impone a tutti i centri espositivi di non spendere, per mostre ed eventi culturali, più del 20 per cento di quanto si sia destinato a tali attività nell´anno precedente.
Al museo Mambo di Bologna, di proprietà del Comune, la falce rischia di spezzare molte attività in corso. Lo racconta con tono dolente Gianfranco Maraniello direttore di una realtà che ormai unisce cinque sedi, un dialogo intessuto con le scuole, il territorio perfino con alcuni ospedali. La falce manderà in tilt un pezzo di vita del museo. «Siamo passati da un milione e 200 mila euro di fondi a un budget di 471mila euro. Il paradosso è che pur essendo riusciti a recuperare un milione e 450 mila euro da sponsor e risorse esterne, non riusciamo a spenderli - spiega Maraniello - perché l´ormai nota norma della finanziaria ci impone di non destinare alle mostre e all´offerta culturale più del 20 per cento di ciò che è stato previsto nell´anno precedente. È questa falce indiscriminata che ammazza i musei, e che colpisce persino i processi virtuosi, la capacità di reperire altrove i fondi utili a fare innovazione, a costruire la qualità».
Senza dire che va a farsi benedire la retorica sulla maggiore efficacia del modello misto pubblico-privato. Aggiunge Maraniello: «Sono cresciuto con questa "canzone", e ora arriva la beffa dell´agonia istituzionale».
È con l´acqua alla gola anche il Madre di Napoli, già simbolo del rinascimento bassoliniano, anche per questo - oltre che per una controversa rendicontazione - oggi in cima al passato da abbattere, o da rigenerare, da parte della nuova giunta regionale di centrodestra. «Abbiamo subìto il taglio totale dei fondi - spiega il suo direttore, Eduardo Cicelyn - Ci hanno sottratto 9 milioni e 400mila euro di finanziamenti europei. E allo stato non sappiamo nulla dei fondi gestionali in arrivo dalla Regione che non ci paga la rendicontazione del 2009 e del 2010. Diciamo che se la crisi riguarda tutti, noi del sud siamo le prime cavie a morire». Il Madre sta pagando a rate un maxidebito di energia elettrica (160mila euro) e attende ancora di saldare i conti del telefono. Una lunga querelle oppone ormai Cicelyn all´assessore Caterina Miraglia, lo scultore Mimmo Paladino ha lasciato un drappo nero su una delle sue opere più famose per protestare contro l´indifferenza in cui va in coma l´arte contemporanea.
Alla battaglia per non morire, partecipa da mesi l´Amaci, l´associazione che riunisce i 26 centri musei di arte contemporanea italiani. La presidente Gabriella Belli non usa toni concilianti. «La ricaduta drammatica di questa erosione di risorse sui musei non riguarda solo la produzione di mostre ed eventi culturali di qualità, ma anche la crescita e il radicamento di una vera e propria economia che aveva costruito rapporti solidi non solo con artisti e designer, ma con artigiani, tecnici, case editrici». Ogni giorni un sos a Milano come a Torino, a Roma come a Bologna. «Si colpisce in questo modo la credibilità di istituzioni che hanno lavorato per anni con musei stranieri e che oggi rischiano di non poter più fare programmazione»
Perché accade ora? Per dirla con l´analisi di un autorevole e ironico esperto, Achille Bonito Oliva, «questo nuovo clima non è dovuto soltanto alla crisi che imperversa in Europa e nel mondo. L´arte contemporanea, in particolare, è un linguaggio che provoca domande e talvolta sgomento. Ed è quanto di più lontano si possa immaginare, culturalmente prima che ideologicamente, dagli obiettivi di formazione di un centrodestra che ha bisogno di promuovere un gusto consolatorio, narcotizzato, soporifero». S´infiamma, Bonito Oliva. «Viviamo in un´epoca di peronismo mediatico, di monopolio dei media - avverte il padre di "Contemporanea" - e figuriamoci se a una tale categoria di conservatori fa comodo avere un luogo dove costruire un gusto collettivo che sia critico, maturo. Ma i musei perché nascono, in fondo? Per essere la palestra in cui viene sollecitato continuamente quel muscolo che rischia l´atrofizzazione: il cervello». E poi, sostiene ancora: «Chi l´ha detto che la crisi sia necessariamente portatrice di morte per l´arte? Guardiamo all´esempio di Roosevelt, il presidente americano che, mentre il Paese era travolto dagli effetti della grande depressione del 1929, investì sull´arte, fece nascere la fotografia documentaristica, e ci ha lasciato la testimonianza di un tempo e di un clima durissimo, grazie a quell´intuizione».
I tagli come bavaglio alle inquietudini, museruola alle domande - non solo pop, non più smaccatamente edoniste e spettacolari, come negli anni Ottanta - che scavano nelle nebbie del reale. E il paradosso, racconta Cristian Valsecchi, segretario generale di Amaci, è che «questi tagli affossano un panorama di produzione culturale proprio quando tutti i trend segnalano una netta crescita di visitatori nei musei pubblici, di interesse per gli eventi dedicati al settore. L´ultima Giornata nazionale dedicata all´arte contemporanea, del 9 ottobre scorso, ha segnato un boom di presenze». Precisa Valsecchi: «Si è passati dai 170 aderenti dell´edizione del 2005, tra gallerie, centri, musei, ai 110 aderenti di qualche giorno fa. Con un coinvolgimento di circa 170mila visitatori in una giornata». Valsecchi ha un´immagine per sintetizzare la situazione italiana. «Se si crede veramente al "giacimento culturale", il giacimento lo si sfrutta, con gli investimenti. Esattamente come si fa con il petrolio. Nei Paesi in cui non si coltiva l´ipocrisia o la parola insignificante, come in Francia, il Beaubourg riceve risorse per 75 milioni. Che, in fondo, fanno il doppio di quanto ottengano, tutti insieme, i 26 musei pubblici associati in Amaci».
Un mercato consistente, stimato qualche anno fa da un´analisi Nomisma in 400 milioni di euro, anche quello della compravendita di opere d´arte, benché gravato da una normativa fiscale penalizzante. Sempre aziende private e grandi gruppi mostrano attenzione per il contemporaneo. Mentre in Italia continuano a crescere le gallerie dedicate a questo settore: almeno un migliaio, di cui oltre cento sono officine di ricerca.
Sui tagli, fa eccezione l´accoglienza clamorosa e il boom di presenze che continua a collezionare il Maxxi, inaugurato a Roma. Eppure il suo direttore, Anna Mattirolo, non si sottrae all´allarme. «È la cosa più drammatica che possa capitare a un Paese. Non importa che ora i tagli tocchino più l´uno che l´altro. Se il sistema funziona, siamo in piedi culturalmente. Se il sistema va a rotoli, dobbiamo preoccuparci per tempo. E tutti».