ANTONIO CASSESE, la Repubblica 28/10/2010, 28 ottobre 2010
IL CASO WIKILEAKS TRA ETICA E DIRITTO
Le rivelazioni di Wikileaks circa le atrocità (torture, esecuzioni sommarie, stupri) commesse da militari iracheni contro insorti iracheni e civili, nonché casi singoli di tortura di iracheni da parte di militari statunitensi o britannici, mostrano da una parte la debolezza del diritto e, dall´altra, la forza dell´etica e dell´opinione pubblica nelle relazioni internazionali.
Cosa prevede il diritto? Quelle atrocità, singole o su larga scala, sono crimini di guerra, perché commesse nel corso di un conflitto armato e legate a quel conflitto. Gli iracheni avevano dunque l´obbligo di perseguire e punire i perpetratori iracheni; gli americani e gli inglesi dovevano fare altrettanto con i propri militari. In più, gli americani, che erano al corrente dei crimini commessi dalle truppe irachene, non dovevano stare a guardare. Dovevano esigere dai comandi iracheni la punizione dei colpevoli e, in caso di risposta negativa, fare passi ufficiali energici presso il governo di Baghdad. Ciò è richiesto dall´Articolo 1 delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, in virtù del quale ogni Stato contraente ha l´obbligo e il diritto di rispettare e far rispettare il diritto internazionale umanitario, e cioè di esigere tra l´altro la tutela dei civili, nonché la punizione dei crimini di guerra, da parte dello Stato cui appartengono i perpetratori. Gli Usa avevano dunque il diritto e l´obbligo di chiedere agli iracheni di punire i colpevoli. E dovevano anche informare il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Oltre a ciò, tutti e tre gli Stati in questione dovevano rendere pubblici i rapporti concernenti quelle atrocità nonché gli eventuali procedimenti penali instaurati.
Cosa è successo invece? Tutto è stato tenuto segreto, gli americani hanno fatto finta di non vedere, e gli obblighi giuridici esistenti sono rimasti lettera morta, per mancanza di efficaci meccanismi internazionali di garanzia.
Per fortuna è subentrata l´etica. Un giovane militare americano, probabilmente spinto da un impulso di ribellione e rischiando la galera, ha fatto avere circa 400.000 rapporti militari segreti a Wikileaks, che li ha resi pubblici. Indubbiamente questo è un modo inusitato e irrituale di far conoscere crimini. Ma è un modo che può essere giustificato moralmente, quando i vertici militari colposamente tengono celati quei crimini, e purché vengano adottate le dovute garanzie per proteggere i nomi degli informatori.
Ora l´Alto Commissario dell´Onu per i diritti umani ha formalmente chiesto a Stati Uniti e Iraq di aprire inchieste rigorose. L´Alto Commissario è un organo internazionale che non dispone di poliziotti, eserciti o giudici, ma ha il compito di far valere istanze morali, quando vengono commesse violazioni dei diritti umani così gravi da ledere valori fondamentali della comunità internazionale.
Accanto all´etica si sta muovendo la politica. Il vice primo ministro britannico, Nick Clegg, ha ordinato un´inchiesta per accertare le colpe dei militari britannici, implicitamente esortando gli Stati Uniti a fare altrettanto. Non sarebbe opportuno che anche il Governo italiano e tutta l´Unione europea sostenessero la richiesta dell´Alto Commissario dell´Onu e facessero sentire la propria voce agli americani e agli iracheni?
Sarebbe anche necessario che l´opinione pubblica si rendesse conto che ancora una volta le colpe maggiori non ricadono sulla "bassa forza", sui soldati o caporali che commettevano gli abusi. Responsabili sono soprattutto i comandanti che ordinavano o consentivano quegli abusi. Nel caso poi delle atrocità commesse dagli iracheni, i soldati statunitensi le hanno sempre riferite dettagliatamente ai loro capi. Ma sono questi che hanno voluto ignorarle. Il problema dunque non è giudiziario (processare e punire i leader militari, cosa poco realistica nel mondo attuale) ma politico: introdurre nella condotta della guerra moderna principi etico-politici inderogabili. Problema, come si vede, di assai ardua soluzione. Resta dunque disponibile un´unica sanzione: l´opinione pubblica internazionale, che ha la forza di stigmatizzare i governi ed imporre loro che assumano le proprie responsabilità.