VARIE, 28 ottobre 2010
SCHEDONE SPATUZZA-NARRACCI:
Lorenzo Narracci, funzionario dell’Aisi (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), indagato dai pm di Caltanissetta nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi mafiose del 1992, sarebbe stato riconosciuto dal pentito Gaspare Spatuzza, seppur con un certo grado di incertezza, come «il soggetto estraneo a Cosa Nostra visto nel garage mentre veniva imbottita di tritolo la Fiat 126 usata nell’attentato al giudice Paolo Borsellino». Nel 1992 Lorenzo Nardacci era in servizio presso il Sisde di Palermo, alle dipendenze di Bruno Contrada.
Secondo il killer di Brancaccio, accusato di sei stragi e di 40 omicidi e condannato a sei ergastoli, l’ex funzionario del Sisde il giorno prima della strage avrebbe assistito in un garage di Caltanissetta alla preparazione della 126 fatta poi saltare in aria con 100 chili di tritolo in via d’Amelio a Palermo. Nell’attentato del 19 luglio 1992 morirono il giudice Paolo Borsellino (che allora aveva 52 anni) e gli agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta. A Caltanissetta tra Spatuzza e Narracci c’è stato un confronto all’americana, a dividerli c’era un vetro schermato (i due non si vedevano). Al procuratore di Caltanissetta, Sergio Lario, e ai pm Nico Gozzo e Nicolò Marino che gli hanno chiesto se lo 007 fosse «la persona esterna alla mafia» che avrebbe partecipato ai preparativi della strage di via D’Amelio, il pentito avrebbe risposto «è lo stesso che mi avevate mostrato in foto».
Gli inquirenti nisseni hanno però precisato che Spatuzza ha parlato di «somiglianza»: pur avendo indicato tra le cinque persone che gli erano state messe di fronte il funzionario Narracci, Spatuzza ha poi precisato che lo 007 «somiglia» e «potrebbe essere, ma non ne sono certo», la persona «estranea a Cosa nostra» da lui vista nel garage in cui si preparava l’auto usata nell’attentato a Borsellino. All’Adnkronos il procuratore Nari ha spiegato: «Non esiste alcuna certezza perché Spatuzza si è limitato a dire che forse c’è una somiglianza tra il funzionario e quell’uomo presente nell’officina per un attimo, visto appena per un momento». L’ex boss di Brancaccio aveva detto le stesse cose alcuni mesi fa quando gli erano state mostrate le foto di Narracci e di altre persone a lui somiglianti. In estate Spatuzza aveva detto di aver riconosciuto una somiglianza tra una foto dell’agente, mostratagli dagli inquirenti, e la persona intravista per pochi istanti nel garage. Ieri ai pm ha confermato che l’uomo visto nei mesi scorsi in foto è Narracci, ma tra l’individuo che era accanto alla 126 e l’agente ci sarebbe solo una somiglianza. «Spatuzza - ha spiegato il legale di Narracci, l’avvocato Michele La Forgia - ha precisato di non essere in grado di riconoscere la persona avvistata "per pochi attimi" nell’autorimessa, limitandosi a confermare che il dott. Narracci corrisponde all’uomo già individuato in fotografia come "somigliante" con quella persona».
Con le sue rivelazioni negli ultimi anni Spatuzza ha permesso di riscrivere la fase preparatoria dell’attentato del 19 luglio del 1992, originariamente raccontata, tra conferme e smentite, dall’ex pentito Vincenzo Scarantino. Spatuzza si è auto-accusato, nonostante non fosse mai stato indagato per la vicenda, di aver rubato la 126 che poi venne imbottita di tritolo e usata per uccidere il magistrato palermitano. Rivelazioni che smentiscono in pieno la versione di Scarantino. Con la chiusura dell’indagine su Spatuzza potrebbero accorciarsi i tempi della richiesta di revisione dei processi, già conclusi con sentenze definitive di condanne all’ergastolo, a carico di almeno quattro persone accusate da Scarantino.
Mercoledì pomeriggio sempre a Caltanissetta Narracci è stato riconosciuto anche da Massimo Ciancimino. Il figlio di don Vito aveva prima indicato un’altra persona, mostrando molti dubbi. Poi, appreso che non era Narracci, ha indicato la persona giusta. Nel corso di un successivo confronto Ciancimino ha sostenuto, di fronte all’agente segreto che negava, che Narracci avrebbe incontrato suo padre. Il figlio di don Vito, che è stato interrogato per nove ore, è iscritto da mesi nel registro degli indagati ma ha ricevuto un avviso di garanzia soltanto lunedì perché i pm Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Paolo Guido ritengono di aver trovato, grazie soprattutto alle consulenze grafologiche che hanno confermato l’autenticità o la «non alterazione» della quasi totalità dei documenti da lui prodotti, conferme alla sua attività di intermediario tra il padre e gli ambienti mafiosi e istituzionali.
Lorenzo Narracci è l’ex numero due del Sisde a Palermo e oggi lavora all’Aisi. È indagato da mesi, ma a piede libero, per concorso nella strage di via D’Amelio. Di lui si sarebbe parlato anche durante l’audizione del direttore dell’Aisi, Giorgio Piccirillo, al Copasir. In quell’occasione alcuni componenti del Comitato per la sicurezza della Repubblica avrebbero chiesto la rimozione del funzionario dai Servizi, e in particolare dall’Aisi. La sua rimozione, inoltre, era stata sollecitata nel luglio scorso, quando il Comitato affrontò il caso di fronte a Gianni De Gennaro, direttore del Dis (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza). La notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati è stata confermata nel luglio scorso dal presidente della Commissione nazionale antimafia, Beppe Pisanu. A seguito dell’avvio di indagini a suo carico, Narracci sarebbe stato allontanato dal suo precedente incarico e destinato ad altri compiti, sempre però all’interno dell’Aisi.
Nella serata di mercoledì i pm palermitani e nisseni hanno interrogato un altro agente dell’Aisi, Rosario Piraino, chiamato in causa da Massimo Ciancimino, che ha raccontato di aver ricevuto la sua visita a Palermo, mentre era agli arresti domiciliari, e a Bologna, quando fu rimesso in libertà. Rosario Piraino è indagato per violenza aggravata dall’avere favorito Cosa Nostra. Lo 007 avrebbe intimato a Massimo Ciancimino che sta svelando i retroscena della presunta trattativa tra Stato e mafia di non fare agli inquirenti il nome del premier Silvio Berlusconi. Durante l’interrogatorio Piraino ha smentito ogni accusa.
NOTIZIE SU GASPARE SPATUZZA:
Palermo 8 aprile 1964. Mafioso. Pentito • «Era il reggente del quartiere palermitano di Brancaccio. È stato condannato per strage e per l’omicidio di don Pino Puglisi. Per molti anni in carcere ha pensato di pentirsi. Per questo più volte in passato aveva parlato con i magistrati della procura nazionale antimafia. Poi, nel 2009, la vera collaborazione che ha portato a scoprire come l’inchiesta sull’attentato di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino fosse stata depistata da un falso pentito: Vincenzo Scarantino. L’autobomba usata per la strage era infatti stata rubata da Spatuzza e non da Scarantino. E l’ex boss di Brancaccio lo ha potuto dimostrare fornendo agli investigatori particolari che non erano noti al pubblico. Ma Spatuzza sa anche dell’altro. Da una parte è convinto che gli autori materiali dell’attentato a Borsellino siano i fratelli Graviano, nel 1992-93, capimafia di Brancaccio, poi arrestati a Milano nel 1994. Dall’altra rivela che i Graviano, registi anche delle stragi del ”93, erano in ottimi rapporti con l’ex fattore di Arcore, Vittorio Mangano e soprattutto con Bernardo Provenzano, il boss terminale ultimo della trattativa con lo Stato» (’Il Fatto” 22/10/2009).
Soprannominato “u tignusu” (il calvo), stretto collaboratore di Filippo e Giuseppe Graviano e uomo di fiducia del capomafia corleonese Leoluca Bagarella, Spatuzza è stato arrestato il 20 giugno del 1997 grazie alle dichiarazioni di Salvatore Grigoli, il killer che con lui uccise don Pino Puglisi. Collabora con la giustizia del giugno del 2008. In carcere si è messo a studiare teologia. Nel giugno 2010, con una decisione giudicata “senza precedenti” dai pm di Caltanissetta e di Palermo, la Commissione Centrale del Viminale ha stabilito che Spatuzza non può essere ammesso al programma di protezione, essendo decorso il limite di 180 giorni entro cui un pentito è tenuto a riferire di fatti gravi di cui è a conoscenza. La proposta di protezione era stata fatta contestualmente dalle procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo che indagano sulla strage di via d’Amelio e sulle bombe del 1992 e 1993. Per Spatuzza la Commissione ha invece confermato «le ordinarie misure di protezione ritenute adeguate al livello specifico di rischio segnalato». Dopo la decisione del Viminale il pentito ha scritto in una lettera a L’Espresso: «Tutta la criminalità organizzata [...] certamente sta gioendo e magari brindando a questa vittoria», confermando comunque l’intenzione di continuare a collaborare.
NOTIZIE SU LORENZO NARRACCI:
«All’epoca della strage di via D’Amelio era un agente del Sisde di Palermo, amico di Bruno Contrada, funzionario chiave del servizio in Sicilia, arrestato per concorso esterno con la mafia il 24 dicembre del 1992, cinque mesi dopo la strage di via D’Amelio, sei mesi dopo le rivelazioni del pentito Gaspare Mutolo su Contrada a Borsellino. Nel processo Contrada, al quale Lorenzo Narracci ha partecipato come teste della difesa, si ricostruì il suo rapporto con l’imputato. Narracci era nella squadra per la caccia ai latitanti (che secondo i giudici non produsse grandi risultati) ed era un uomo talmente fidato che quando Contrada doveva consegnare una lettera delicata al giudice Falcone, la affidava al postino Narracci. Il giorno della strage di via D’Amelio, Narracci era su una barca con Contrada e altri amici e sempre con Contrada giunse sul luogo del delitto. Inoltre Narracci fu attenzionato anche per altre due coincidenze: un appunto con il suo numero di telefonino trovato sulla collina dalla quale Giovanni Brusca spinse il pulsante del telecomando della strage di Capaci ed era sempre lui il funzionario dei servizi titolare di un’automobile posteggiata in via Ruggero Fauro a Roma, luogo dell’attentato a Maurizio Costanzo. Narracci abitava lì mentre l’appunto era stato perso da un suo collega. Ora che Narracci rientra nel girone dei mille sospetti, proprio quel bigliettino di Capaci deve far pensare. C’era scritto Nec P300 portare in assistenza e si indicava il nome di una società dei servizi di Roma. Si trattava di un modello di cellulare noto per la facilità di clonazione e non a caso alcuni Nec p300 furono trovati nel covo degli autori dell’attentato a Falcone. Alcuni investigatori ipotizzarono allora che che quel bigliettino potesse essere letto al contrario: come la prova di un tentativo di depistaggio. Ecco perché la pista del riconoscimento di Spatuzza va presa con le pinze. Il pentito aveva già parlato all’inizio della collaborazione di un uomo, non appartenente a Cosa nostra, presente nel garage nel quale si imbottiva di tritolo la Fiat 126. Ma aveva aggiunto di avere abbassato lo sguardo di fronte a lui. Ora che Spatuzza si è convinto della volontà dei pm di andare in fondo, come nel caso dei riferimenti a Dell’Utri e Berlusconi, aggiunge nuovi particolari. Prima però di mettere all’indice un funzionario dello Stato che potrebbe essere semplicemente somigliante a qualcun altro o addirittura vittima di un depistaggio, i pm procederanno a tutte le verifiche del caso. Stiamo parlando di un riconoscimento su carta a distanza di 20 anni. E c’è da augurarsi che lo scenario peggiore non sia vero. Anche perché sarebbe da brividi: una parte dei servizi avrebbe partecipato addirittura alla realizzazione della strage di via D’Amelio. Un’ipotesi difficile anche solo da pensare. Più ancora da provare» (Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano 28/5/2010)