Joseph Halevi, il manifesto 26/10/2010, 26 ottobre 2010
GUERRA DEI PROFITTI DIETRO LO SCONTRO SULLE MONETE
La riunione dei ministri delle finanze dei G20 questo weekend in Corea non ha prodotto un accordo su come affrontare gli squilibri nei conti esteri dei vari paesi, primi fra tutti, quelli degli Usa, in deficit, e quelli della Cina, Giappone e Germania in surplus. L’importanza del problema risiede nel fatto che un paese in eccedenza con l’estero esporta una parte della propria disoccupazione ai paesi in deficit e realizza sul mercato estero una quota dei propri profitti. A cogliere quest’aspetto delle relazioni economiche internazionali fu, negli anni trenta, Michal Kalecki, grandissimo economista polacco influenzato da Rosa Luxemburg. Un calo del saldo con l’estero senza un corrispondente aumento delle attività dirette al mercato interno non fa che incrementare la disoccupazione. Così è successo alla Germania e al Giappone nel 2009, nonché massicciamente in Cina a cavallo tra il 2008 e il del 2009 quando la crisi Usa, e il conseguente crollo dell’export cinese, comportò il rientro nelle campagne di oltre venti milioni di lavoratori immigrati nelle città. Pertanto anche riducendo i surplus esteri la disoccupazione può aumentare globalmente.
La riduzione delle eccedenze estere si ripercuote invece direttamente sulla ripartizione dei profitti tra le varie zone del mondo. L’export netto contribuisce alla formazione dei profitti nella misura in cui svincola la vendita delle merci dalla creazione di domanda aggiuntiva interna. Quest’ultima può provenire solo da maggiori salari e stipendi, che sono dei costi quindi, dagli investimenti e dalla spesa pubblica in deficit. In condizioni di crisi di mercato i paesi eccedentari si aggrappano più che mai alle esportazioni perché ne vanno di mezzo i profitti. Per gli Usa, da trentanni paese deficitario per antonomasia, si tratta invece di recuperare fette di profitto. Fino allo scoppio della crisi gli Stati uniti, usando il ruolo globale del dollaro, avevano aggirato il problema attraverso la finanziarizzazione che ha creato la spesa in debito delle famiglie. In tal modo il capitalismo Usa, grazie al subappalto, alle catene di valorizzazione in Cina e altrove, approfittava dei bassi costi salariali esteri. Contemporaneamente l’indebitamento interno creava domanda addizionale senza aumenti salariali sul piano nazionale. Perfetto, ma ciò ha portato alla crisi e il gioco non si può ripetere.
La lotta per la ripartizione dei profitti è la vera natura dello scontro sulle monete. L’esperienza storica insegna che rivalutazioni e svalutazioni operano solo occasionalmente, in casi limitati e mai sistematicamente, per il riequilibrio dei conti esteri.