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 2010  ottobre 27 Mercoledì calendario

IL DUCE DOTTORE SENZA LAUREA


«Non voglio più sentir parlare di questo argomento!». Il Du­ce batté i pugni sul tavolo. Que­sto capitava a chi osava parlargli di quella laurea honoris causa in Giurisprudenza a Bologna. E quello che segue è il tentativo di ricostruire una vicenda ormai di­menticata e mai approfondita.

Nel 1924, dopo aver mobilitato un ateneo per la cerimonia e pre­teso di esporre una tesi, Mussoli­ni mandò tutto all’aria e la perga­mena di laurea rimase per sem­pre senza firma né data. Anzi il Duce – e cercheremo di capire perché – pretese e ottenne il si­lenzio: troppe critiche e ironie, infatti, si erano addensate su quella laurea, incluse quelle del suo acerrimo avversario, Giaco­mo Matteotti. La vicenda inizia il 20 ottobre 1923: i giornali annun­ciano che appena 9 giorni dopo sarà consegnata una laurea ho­noris causa a Mussolini in occa­sione di una visita a Bologna per il primo anniversario della mar­cia su Roma. L’onorificenza sem­bra più un’idea di Dino Grandi che una scelta dei professori. A darne l’annuncio con un’intervi­sta è infatti il gio­vane gerarca bolo­gnese. Un anno dopo, il quotidia­no cattolico di op­posizione Il Popo­lo spiegherà l’of­ferta come frutto della feroce riva­lità tra lo stesso Grandi e il segre­tario provinciale del Fascio Gino Baroncini. Se que­st’ultimo s’ingra­zia Mussolini con una cittadinanza onoraria, Grandi sponsorizza per il Duce una laurea in Legge. Ma si può organizzare una laurea «lampo»? No. Servono il voto del Consiglio di Facoltà e un decre­to di Vittorio Ema­nuele III. Non solo. Il rettore dell’uni­versità di Bologna, Vittorio Puntoni, ha probabilmente appreso la notizia dalla stampa, tanto che raggiunge in treno il Duce per spiegare gli ostacoli: lui è a fine mandato, può fare solo ordinaria amministrazione e 9 giorni sono pochi. Così arriva il primo rinvio e Mussolini a Bolo­gna ci va solo per la cittadinanza e il suo bagno di folla. Tocca quindi a Pasquale Sfameni, retto­re dai primi di novembre, propor­re subito la laurea honoris causa al Consiglio di Facoltà di Giuri­sprudenza: il 13 novembre c’è il voto unanime. Il benestare del Re giunge il 31 dicembre: il Duce sarà «Dottore» e la cerimonia vie­ne fissata per il 22 marzo 1924.
Vengono invitati rettori da tutta Italia, si forma un comitato stu­dentesco in onore del prossimo «dottor Mussolini», si pensa di scolpire una lapide che ricordi l’evento. Il Duce pretende per quella data di esporre una sua te­si su Machiavelli (anche se per le lauree onorifiche non era prevista tesi): «Solo in que­sto modo mi sen­tirò degno dell’al­tissima ricompen­sa », dice il capo del governo al ret­tore. Ma il 9 mar­zo, a meno di due settimane dalla laurea, arriva la doccia fredda: la cerimonia è rin­viata ancora (uffi­cialmente) per im­pegni dovuti alle elezioni imminen­ti. E col secondo rinvio inizia l’atte­sa imbarazzante: aprile, giugno, poi ottobre. Niente. E cominciano anche i paradossi di una «laurea a metà»: per esempio Sfa­meni non sa se in­serire Mussolini tra i laureati nel­l’Annuario (per questo convoca il Senato accademico), e a luglio il Duce viene addirittura iscritto in un’associazione di laureati. Così, quando anche il Corriere della Se­ra di Luigi Albertini il 21 ottobre 1924 si occupa della vicenda, il rettore scrive a Grandi per implo­rare di essere tolto dal ridicolo e per proporgli l’idea di una laurea «a distanza». L’università «sarà fiera e lieta di accogliere più tardi il suo insigne Dottore». Purché il Duce si laurei. Ma Mussolini non gradisce le lamentele. Così invia un telegramma (ritrovato in Ar­chivio Centrale di Stato), al pre­fetto di Bologna: «Dino Grandi mi comunica (il) testo (della) let­tera indirizzatagli (dal) rettore (dell’)università (a) proposito (della) mia oramai troppo famosa laurea ad honorem. Voglia comu­nicare senza indugio (al) rettore che (il) conferimento sia rinviato sine die ». È il 7 novembre 1924 e sulla laurea cala il silenzio. Per­ché questo rifiuto? Lo storico Renzo De Felice dice che ci sono «contrasti» nel corpo accademico e per questo la laurea va a monte, datando la cancellazione non ol­tre l’aprile 1924. In realtà, come già visto, fino a novembre il retto­re ci spera ancora e della laurea si parla anche sui giornali. A soste­gno della teoria dei «contrasti» anche Alessandro Ghigi, rettore dell’Ateneo tra il 1930 e il 1943, parla di un docente contrario: Giuseppe Brini. Questo professo­re avrebbe sostenuto che Musso­lini «non aveva alcun titolo per u­na laurea honoris causa » e il Du­ce, comprendendo il malumore, avrebbe preferito lasciar perdere, senza troppo clamore. Ma su questa opposizione non si sono trovati documenti ufficiali e va ri­cordato che Brini nel novembre precedente ha votato a favore della laurea in Consiglio di Fa­coltà. Ma c’è un’altra ipotesi, che non esclude per forza le prece­denti. Se fossero state anche le reazioni alla sua tesi di laurea a far cambiare idea a Mussolini? A fine aprile, infatti, il Duce fa pub­blicare un brano della sua disser­tazione sul mensile Gerarchia con il titolo «Preludio al Machia­velli ». «Accadde che un giorno – scriveva il Duce – mi fu annun­ciato da Imola il dono di una spa­da con inciso il motto di Machia­velli ’Cum parole non si manten­gono li Stati’. Ciò troncò gli indu­gi e determinò senz’altro la scelta del tema che oggi sottopongo ai vostri suffragi». La tesi, per la sua superficialità e anche per le idee sull’uso della forza, scatena le critiche e le ironie delle opposi­zioni e della Chiesa. Mussolini non deve esser stato contento dell’accoglienza. Di più: anche Matteotti lo critica, potremmo dire «post mortem». Il deputato socialista, ucciso da sicari del re­gime il 10 giugno 1924, scrive in­fatti il suo ultimo articolo (intito­lato «Machiavelli Mussolini and Fascism») proprio partendo da u­na critica alla tesi di laurea, per approdare a una gravissima ac­cusa al fascismo. Comparso po­stumo a luglio sulla rivista londi­nese English Life e riscoperto 15 anni fa dallo storico Mauro Cana­li, l’articolo dimostra che Mat­teotti sapeva dell’affarismo che si annidava nel regime: «Alti fun­zionari possono venir accusati di tradimento e corruzione, ovvero del più ignobile peculato», scrive­va Matteotti. Mussolini lo ha let­to? Sì, quasi certamente, visto che ne giunse subito notizia in I­talia. E se non si può dire che quell’articolo fu la causa del rifiu­to – che forse era già maturato anche per la situazione politica sfavorevole che si era venuta a creare dopo il delitto – potrebbe essere stato uno dei motivi per cui in seguito, a partire dal tele­gramma del novembre 1924, Mussolini si mostrerà irritato al solo accenno alla questione.
Quella tesi criticata e dileggiata diventa imbarazzante e come ci dice oggi lo storico Canali «rievo­cava troppo direttamente la re­plica di Matteotti sulla corruzio­ne del suo governo». Sulla laurea calò poi il silenzio tanto che, an­cora nel 1942, il rettore Ghigi rac­conta che il Duce «espresse il de­siderio che si soprassedesse».
Provarono a offrire a Mussolini quella laurea ancora negli anni Trenta (al culmine del consenso), ma l’ordine era di non dare «pub­blicità alcuna ai documenti esi­stenti presso questa Università e che si riferiscono alla Sua perso­na ». Della laurea era vietato par­lare.