Felice Cavallaro, Corriere della Sera 28/10/2010, 28 ottobre 2010
SPATUZZA E LO 007 «SOMIGLIA ALL’UOMO DELL’AUTOBOMBA —
C’era forse uno 007 dei servizi segreti del Sisde, nel garage dove fu imbottita di tritolo l’autobomba della strage di via D’Amelio. Parola di Gaspare Spatuzza, il pentito che ha smantellato tutti i processi celebrati finora e che ieri, durante un confronto all’americana, ha puntato il dito contro Lorenzo Narracci, il funzionario sotto accusa: «Somiglia all’estraneo presente nel garage dove fu preparato l’attentato...».
Ma quando ieri sera agenzie, tv e siti online hanno dato per certo che Spatuzza aveva riconosciuto lo 007 del Sisde, per tanti anni in servizio in Sicilia, come il «dottore» visto nel garage a Caltanissetta, negli uffici del procuratore Sergio Lari più di un magistrato ha avuto un moto di fastidio.
«Perché non esiste alcuna "certezza". Perché Spatuzza si è limitato a dire che forse c’è una somiglianza fra il funzionario e quell’uomo presente nell’officina per un attimo, visto appena per un momento», spiega una fonte autorevole nel tentativo di arginare l’ondata dei mass media.
Dopo il controllo di una foto e il confronto all’americana, seppure «non certo», avvenuto dietro un vetro oscurato, senza essere visibile al funzionario, si conferma comunque il ruolo centrale dell’ex imbianchino di Brancaccio, l’assassino di don Pino Puglisi e del piccolo Giuseppe Di Matteo, nella riscrittura di oscure pagine di una storia in cui sempre di più la mafia si intreccia con ambienti della politica, delle istituzioni e dei servizi deviati.
Il coinvolgimento diretto di Narracci addirittura nell’officina in cui la cosca di Brancaccio (la stessa dei fratelli Graviano) preparava l’autobomba finirebbe per riaprire anche il «caso Contrada», visto che il numero 3 del Sisde, che ormai invecchia (ai domiciliari) con la sua condanna a dieci anni, era proprio il capo del funzionario più volte interrogato a Caltanissetta.
La tesi difensiva è un ostentato e totale diniego da parte di questo 007, che tanti ricordano nei primi anni Novanta nella sede del Sisde, allora nella centrale via Roma, l’attico di un pa lazzo quasi di fronte all’Hotel des Palmes. Era l’ombra di Contrada, frequentato anche fuori ufficio. Non a caso all’ora della strage, attuata per eliminare Paolo Borsellino a meno di due mesi dal massacro di Capaci, Narracci era in barca con il suo capo. Un dettaglio spesso richiamato per escludere l’ipotesi e l’insinuazione sulla presenza di Contrada sulla scena del crimine.
Adesso le parole di Spatuzza potrebbero fare echeggiare vecchi sospetti. Narracci proprio ieri ha avuto un confronto a Caltanissetta con Massimo Ciancimino, il rampollo di «don Vito». Il figlio dell’ex sindaco in rapporti diretti con Riina e Provenzano conferma un’accusa verbalizzata da alcuni mesi: «Narracci incontrò mio padre a casa...». Non è l’unica accusa mossa da Ciancimino junior che ha puntato il dito anche contro un altro agente dei servizi, il capitano Rosario Piraino, «James» per i suoi colleghi dell’Aisi, interrogato sempre ieri dai magistrati di Palermo.
L’effetto complessi v o di questo turbinio di dichiarazioni e confronti porta gli stessi magistrati a preparare una revisione di processi celebrati fino in Cassazione con condanne all’ergastolo ormai traballanti. Soprattutto per via D’Amelio. Vizio determinato dalla credibilità attribuita a un depistatore trasformato in pentito doc, Vincenzo Scarantino. Un collaboratore manovrato, secondo accuse tutte ancora da formalizzare e provare, da alcuni funzionari guidati addirittura dall’ex capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, il questore poi coinvolto nei fatti di Genova del G8 e deceduto per una malattia.
È questo intreccio fra uomini dello Stato e boss della cosca di Brancaccio che diventa materia di analisi. E di polemica. Come altri pentiti, anche Spatuzza viene infatti ritenuto pilotato e non credibile da quanti subiscono l’accusa del boss soprannominato u tignusu, perché senza capelli.
Felice Cavallaro