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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

COMBUSTIBILE SOLARE

La rivista New Scientist l’ha inserita tra le 50 innovazioni destinate a cambiare il mondo, e osservando gli investimenti che diversi paesi le stanno dedicando (tra i quali 35 milioni di dollari all’anno gli Stati Uniti, 40 la Danimarca) c’è da crederci: la foglia artificiale potrebbe davvero consentire, in un futuro non lontano, la svolta decisiva per le fonti energetiche non inquinanti. E il motivo lo si capisce nella battuta che il suo padre naturale, il chimico inglese James Barber, ama di più: «La luce solare che cade in un’ora sulla terra, se opportunamente sfruttata, potrebbe soddisfare il fabbisogno energetico di tutto il pianeta per un anno intero».

Il punto è dunque come utilizzare al meglio tutta questa energia imitando il processo più antico del mondo: la fotosintesi. Un obiettivo ambizioso, perché la machinery fotosintetica è una delle più complicate che la natura abbia escogitato e ancora oggi rifugge dalle imitazioni. E allora perché cercare proprio lì l’energia che manca? Risponde Barber, a Genova per tenere un seminario nell’ambito del Festival della scienza, che inizia domani: «Senza fotosintesi non ci sarebbe la vita come la conosciamo, anzi, probabilmente non ci sarebbe quasi vita perché è dagli organismi fotosintetici che otteniamo cibo, combustibili, acqua e ossigeno. È quindi ovvio cercare di riprodurla, e il primo passo è capirne il funzionamento». In tal senso la scelta della foglia e non, per esempio, delle alghe o dei cianobatteri fotosintetici, non è casuale. Spiega il chimico: «In realtà si studiano tutti gli organismi fotosintetici, e tra questi le alghe si coltivano senza problemi e hanno un genoma elementare, facile da manipolare. Tuttavia, le piante rappresentano il vero modello da seguire, perché costituiscono la stragrande maggioranza della biomassa terrestre e compiono la maggior parte della fotosintesi».

Lo studio delle diverse fotosintesi e, soprattutto, di quelle di piante elementari come l’Arapidopsis, ha già portato a risultati molto importanti, il principale dei quali è stata l’identificazione, proprio da parte del gruppo di Barber, delle molecole chiave per tutto il processo: «Siamo arrivati a capire – e stiamo continuando a studiare, anche con il Politecnico di Torino – che le reazioni fotosintetiche sono possibili solo se c’è un enzima chiamato Fotosistema II o PsII, che contiene la clorofilla e un centro catalitico composto da manganese e calcio. Siamo riusciti poi a isolare e cristallizzare PsII, definendo la sua struttura atomica e iniziando così ad avere gli strumenti per riprodurla». Questo lavoro, sottolinea Barber, ha avuto una notevole accelerazione negli ultimi anni grazie alle biotecnologie e alle nanotecnologie, al punto che la "pianta artificiale di foglie artificiali" non è più solo una sorta di desiderio onirico. E non è neppure una versione high tech dei pannelli solari, come spiega l’esperto: «Stiamo cercando di sfruttare le proprietà degli ossidi di ferro e silicio come semiconduttori e, insieme, quelle dei catalizzatori ottenuti imitando PsII; lo scopo è avere energia sotto forma di forti legami chimici, come avviene nelle piante e non, come accade nei pannelli solari attuali, energia difficile da immagazzinare se non in minima parte e con materiali costosi come il platino. Il prodotto finale dovrebbero quindi essere foglie – anzi, alberi di foglie – efficienti, che possano funzionare anche in zone dove non sono disponibili altre fonti energetiche né metalli preziosi, e che siano a impatto zero, come accade nella fotosintesi».

In tutto il mondo, conclude Barber, si stanno mobilitando intelligenze provenienti dai più diversi settori: dalla chimica all’ingegneria, dalle nanotecnologie alle scienze ambientali, dalla biologia alla matematica, perché la sfida è tutt’altro che velleitaria. Al contrario, è vicina alla meta. Come dice Barber: «Se lo può fare una foglia, lo possiamo fare anche noi. Con uno sforzo comune».