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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

COSÌ IL PRETE RICICLAVA SUL CONTO IOR

Era don Orazio, prelato trentacinquenne della curia di Roma, il fulcro del riciclaggio di somme truffate alla regione Sicilia che, passando per un conto dello Ior, vedevano come terminale finale lo zio Vincenzo condannato a Catania per mafia.

La familiarità con internet e le nuove possibilità che oggi l’informatica consente con l’home banking, nelle intenzioni del giovane prete avrebbero dovuto rendere particolarmente "opaco" il meccanismo di riciclaggio agli occhi degli organi di vigilanza e di controllo dei movimenti finanziari.

Ma non è bastato. Con il provvedimento di sequestro preventivo della procura di Catania, infatti, emerge il complesso meccanismo di truffa messo in atto dal titolare di un’azienda agroittica – Antonino Bonaccorsi, 61 anni, padre di don Orazio – svelato in tutti i suoi passaggi (si veda la ricostruzione qui a fianco) dalla Guardia di finanza di Catania.

Le Fiamme gialle – attivate su segnalazione dell’Uif (Unità di informazione finanziaria) della Banca d’Italia – partendo da un finanziamento regionale sono arrivate a denunciare 6 persone e sequestrare beni per oltre 4 milioni di euro. Attraverso fatture false emesse da società costituite ad hoc, secondo l’accusa Antonino Bonaccorsi era riuscito a ottenere 600mila euro finanziati nell’ambito del Por Sicilia, per la realizzazione di un impianto di piscicolturta. Per portare avanti la truffa e ottenere l’erogazione del contributo pubblico e delle relative quote maturate nel tempo, Bonaccorsi ricorreva alle fatture per operazioni inesistenti effettuate dalla ditta chiamata a realizzare l’impianto di allevamento di trote e di pesca sportiva. Inoltre, sempre secondo la ricostruzione e gli elementi raccolti dalla Gdf, Bonaccorsi ricorreva alle false certificazioni del tecnico responsabile del progetto esecutivo e delle relative corrispondenze contabili dei lavori. A chiudere il cerchio della truffa e indurre l’assessorato alla cooperazione commercio, artigianato e pesca all’erogazione dei fondi c’erano le certificazioni del direttore dei lavori sullo stato di avanzamento.

Sospetti, inoltre, anche i tempi di rilascio del finanziamento: appena un giorno tra da data di presentazione della richiesta e l’erogazione delle prime due tranche di denaro. Ottenuti i fondi, l’imprenditore li "spezzettava" su vari conti correnti per impedirne la rintracciabilità. Parte del denaro fraudolentamente ottenuto veniva girato, tramite bonifico, sul conto corrente intestato al figlio di Bonaccorsi, don Orazio, residente a Roma. Nella causale del versamento veniva precisato "beneficenza".

A questo punto scattava l’operazione di riciclaggio delle somme truffate alla regione. Secondo la Procura, infatti, don Orazio (risultato titolare di un conto corrente cointestato con lo zio Vincenzo condannato per associazione mafiosa come appartenente al clan Nardo) sostituiva o trasferiva il denaro proveniente dalla truffa con operazioni «tali da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa». In sostanza riceveva presso un conto corrente della Bnl di Roma un bonifico della prima quota del finanziamento indebito pari a 250mila euro proveniente dal conto della banca Popolare di Novara filiale di Catania intestato al padre. Successivamente dal proprio conto della Bnl emetteva un assegno da 245mila euro, trattenendo per se o per beneficenza 5mila euro, accreditandolo successivamente su un altro conto intrattenuto presso la Banca di Roma dallo Ior. Con nove distinti bonifici e sfruttando i codici dell’home banking il prete li rinviava a Catania sul conto del padre. Quest’ultimo, infine, chiudeva il giro delle somme trasferendole al fratello condannato per mafia per riacquistare la quota societaria a lui intestata.

Nell’ambito dell’operazione denominata "Gold fish", infatti, la guardia di finanza ha accertato che quote dell’azienda ittica al centro delle indagini, erano state fittiziamente intestate a prestanome per riuscire ad ottenere i finanziamenti pubblici che sarebbero stati negati all’effettivo titolare, Vincenzo Bonaccorsi, condannato in via definitiva per mafia.

Secondo la Procura il giro di soldi sull’asse Catania-Roma-Vaticano-Catania sarebbe servito a rendere non rintracciabile la provenienza dei soldi e a fare diventare irrecuperabili i fondi regionali in caso di contenzioso. «Lo Ior non ha sportelli in Italia e opera aprendo conti bancari come se fosse un singolo cliente – spiega il procuratore capo Vincenzo D’Agata – e tutto quanto arriva sul suo conto si confonde e non dà la possibilità di essere ricondotto ai singoli soggetti che hanno operato. E questo rappresenta, secondo la nostra ipotesi, una violazione delle norme bancarie e delle leggi antiriciclaggio».