Salvatore Padula, Il Sole 24 Ore 28/10/2010, 28 ottobre 2010
SE IL FISCO PUNISCE CHI SI FIDA DEI CONDONI
Caro contribuente, benvenuto nel paese dell’assurdo. Un paese che, troppo spesso, non solo non riesce a far pagare le tasse a chi le evade, ma che addirittura ne pretende di nuove dopo aver concesso, nero su bianco, il salvacondotto del condono. Pratica sempre riprovevole ma non per questo ritrattabile a piacimento.
È ciò che capita, come abbiamo raccontato sul Sole 24 Ore di ieri, a molti contribuenti che, pur avendo fatto ricorso al condono Iva del 2003 e avendone pagato regolarmente il conto (non salatissimo, in verità), vedono ora l’agenzia delle Entrate, la Guardia di finanza e talvolta le commissioni tributarie disapplicare la vecchia sanatoria. Il condono non vale più!
I motivi? La Corte di giustizia Ue ha stabilito, due anni fa, che il condono Iva è incompatibile con il diritto comunitario (e quindi non produce gli effetti desiderati). Ancora prima, nel 2006, sono stati raddoppiati i termini per gli accertamenti, in presenza di comportamenti che configurino potenzialmente violazioni di tipo penale. È la sindrome del "combinato disposto": quanto basta per indurre molti uffici del fisco a riaprire vecchi e polverosi faldoni (siamo agli anni di imposta 2001-2002) a caccia di un po’ di gettito aggiuntivo per dare ancor più smalto alle statistiche sulla lotta all’evasione.
Il risultato di questo mix è davvero un brutto colpo per l’immagine del fisco. In primo luogo, perché non si può biasimare chi ha semplicemente applicato una legge dello stato (era la finanziaria del 2003, la legge 289/02), peraltro voluta e sostenuta proprio dal governo dell’epoca.
Ma, soprattutto, perché in questo modo si finisce per rafforzare l’idea che - tra dichiarazioni annuali, versamenti mensili, fatture, ricevute, scontrini fiscali fino ad arrivare ai (detestati ma popolarissimi) condoni - dalle tasse è sempre meglio stare alla larga. Il solito vecchio adagio che preferiremmo non sentire più. Senza scomodare la certezza del diritto, è come se, in un attimo, si frantumassero anni di lavoro - dall’arrivo dello Statuto del contribuente in poi - per impostare il rapporto fisco-cittadini su un piano di equità, di rispetto reciproco, di non prevaricazione.
Come si è arrivati a questa situazione? La prima considerazione riguarda le modalità con cui l’Italia ha difeso il condono Iva in sede europea. Una difesa forse poco convinta, certamente tardiva, complice anche l’avvicendarsi dei due ministri incaricati della "pratica" (Giulio Tremonti al momento del varo delle sanatorie; Vincenzo Visco quando da Bruxelles sono arrivare le prime contestazioni; poi ancora Tremonti).
Inoltre, c’è il nodo della disposizione che allunga i termini di accertamento (nel Dl 223 del 2006): una norma - già rinviata alla Consulta - che potrebbe giustificarsi solo a patto di escludere le annualità non più accertabili. In pratica - come hanno sostenuto Abi, Ania, Assonime e Confindustria in un documento congiunto - se il fisco fa un controllo sul periodo di imposta 2005 e trova anche documenti riferiti all’anno 2002, già prescritto, non deve poter utilizzare la norma che allunga i termini di accertamento. La Corte costituzionale ci darà presto una risposta che, ci si augura, potrebbe risolvere alla radice il problema dei vecchi condoni Iva.
Infine, l’atteggiamento di agenzia e Gdf. È naturale che le (nuove) leggi debbano essere rispettate, ci mancherebbe altro. Ma siamo sicuri non ci sia accanimento? Che non si stia esagerando? Siamo sicuri che questo pasticcio non possa essere gestito con un minimo di buonsenso? Anche perché molti ricorderanno quando, nel 2003, per convincere il maggior numero possibile di contribuenti ad aderire ai condoni (che alla fine raccolsero oltre 20 miliardi di euro) l’amministrazione minacciava una campagna straordinaria di controlli proprio contro chi il condono non lo avrebbe fatto. Ora siamo al paradosso, alla beffa, con i controlli che puntano - guarda un po’ - su chi aveva scelto la via della sanatoria sicuro di evitare l’insistenza dei controlli.Come dire, non proprio un bel messaggio: fidarsi è bene...