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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

“Nessun rimpianto sull’Iraq Sunniti e sciiti ce la faranno” - Condoleeza Rice, ex segretario di stato americano, ha appena pubblicato un libro di memorie, «Extraordinary, Ordinary People» sulla difficoltà di crescere nel Sud razzista

“Nessun rimpianto sull’Iraq Sunniti e sciiti ce la faranno” - Condoleeza Rice, ex segretario di stato americano, ha appena pubblicato un libro di memorie, «Extraordinary, Ordinary People» sulla difficoltà di crescere nel Sud razzista. La sua carriera è stata un successo: che ruolo ha giocato la sua famiglia? «Quando mi fanno questa domanda rispondo che dovreste conoscere John e Angelena Rice. I miei genitori erano per molti versi persone ordinarie, mia madre faceva la maestra, mio padre era un insegnante di scuola guida, ministro presbiteriano e più tardi amministratore all’università. Non credo che in due abbiano mai guadagnato sessantamila dollari. Ma in qualche modo in quegli anni difficili a Birmingham, Alabama, durante il razzismo, hanno sempre creduto che magari non potevamo entrare a prendere un hamburger da Woolworth ma avremmo potuto diventare presidenti degli Stati Uniti». È stato più difficile combattere il razzismo o il sessismo nella sua carriera? «Negli Stati Uniti la questione della razza è una ferita aperta che non credo si chiuderà mai completamente ma i neri oggi possono diventare senza problemi medici, segretari di stato, adesso presidenti. Per quel che riguarda le donne, è ancora un problema. Come segretario di stato certo sei al riparo dalle offese, ma per le donne sul campo è ancora dura. C’è una lunga via da percorrere verso la parità». L’Iraq è sempre un punto dolente: centomila iracheni morti e quattromila americani. Ha qualche rimorso sull’invasione? «Non ho assolutamente nessun rimorso per aver rovesciato Saddam Hussein, anche se naturalmente avrei preferito che le cose andassero meglio. Sono stati fatti molti sacrifici in questa guerra, e chi come me ha aiutato il presidente Bush a prendere certe decisioni soffre per le perdite e sarà sempre perseguitato dal loro ricordo. Ma l’arco della storia è lungo, non corto. Non possiamo giudicare i grandi cambiamenti storici alla stregua di fotografie istantanee. Adesso non stiamo parlando delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein o dell’invasione del Kuwait, ma se sunniti e sciiti possono trovare il modo di formare un governo. Pensi solo a cosa questo potrebbe significare per il Medio Oriente, uno stato arabo multi confessionale, il più importante strategicamente». Qualcuno potrebbe dire che la guerra ha destabilizzato il Medio Oriente e ha reso l’Iran più potente. «Non sono d’accordo. Sono molto preoccupata dell’armamento nucleare dell’Iran ma penso che sia più debole oggi che in qualsiasi momento dopo la rivoluzione. Dopo le elezioni del 2009 l’economia sta crollando sotto il peso delle sanzioni e delle cattive decisioni di Ahmadinejad. I paesi della regione sono preoccupati. Uno stato debole può essere pericoloso. Ma l’Iraq farà da contrappeso all’Iran. Gli sciiti iracheni non sono persiani ma arabi. Non hanno nessuna intenzione di lasciare che l’Iran li domini». E l’Afghanistan? Questa campagna è stata indebolita dalla guerra irachena? «Non è vero. Abbiamo speso un sacco di tempo sia in Afghanistan che in Iraq. È stata una decisione cosciente quella di avere un approccio morbido all’Afghanistan nei primi anni, perché la maggior parte del combattimento fosse condotta dagli afghani. Quando le cose sono andate male sui confini del Pakistan che erano diventati un ricettacolo di terroristi, la strategia è dovuta cambiare. In Afghanistan è sempre stata dura, ma adesso è un posto dove c’è la Costituzione, le ragazze vanno a scuola, le donne non sono giustiziate in uno stadio di calcio come accadeva sotto i taleban. Questo non significa che la democrazia sia arrivata, ma certo è un posto migliore del 2001». Il linguaggio politico americano è cambiato. I Tea Party hanno cambiato il gioco? «Lo spero. È un movimento di base preoccupato da quel che vede a Washington. Un sacco di persone pensano che il potere federale si stia espandendo troppo. Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di governo piccolo molto più dei nostri alleati occidentali. Penso anche che quel che accade a Washington non sia quello che accade nel resto del paese». Per cosa vorrebbe essere ricordata? «Spero che saremo ricordati per aver affermato l’idea che nessun uomo, donna o bambino debba vivere nella tirannia. Sono cresciuta nell’Alabama razzista quindi non considero gli Stati Uniti un luogo ideale. Malgrado ciò penso che sia una società libera e vitale. La democrazia ha bisogno di tempo, ma ne vale la pena».