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 2010  ottobre 28 Giovedì calendario

SUMMIT AD ALTA TENSIONE: È ROTTURA SUL NUOVO PATTO - C’è

chi scommette che finirà con un rinvio a dicembre. Che il vertice dei capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, come già anticipato ieri dal Sole 24 Ore, finirà per affidare alla task-force guidata da Herman Van Rompuy il «mandato per esplorare possibilità e necessità di procedere alla modifica del Trattato di Lisbona» presentando le conclusioni al prossimo vertice di Bruxelles in dicembre, appunto.

Quasi certamente finirà così perché, quando di mezzo ci sono governance economica dell’area euro e riforma del patto di stabilità, con i mercati eternamente all’erta e la crisi del debito sovrano sempre sotto traccia, più di tanto nessuno, nemmeno la Germania di Angela Merkel, può permettersi il lusso di litigare.

Detto questo, era da anni che non si avvertiva un’atmosfera così incandescente alla vigilia di un incontro tra i leader europei, presente anche Jean-Claude Trichet, il presidente della Bce. Sono volate parole grosse, ieri. Molto grosse. La solita Viviane Reding, il commissario lussemburghese che aveva trovato visibilità assimilando le espulsioni francesi dei rom al nazismo, è tornata alla carica accusando Francia e Germania di «irresponsabilità» per aver previsto con il patto di Deauville di riaprire la riforma dei Trattati.

Il suo premier Jean-Claude Juncker, le cui frasi di sicuro pesano di più anche perché è il presidente dell’Eurogruppo, ha definito «inaccettabile» quel patto, «per lo stile impossibile della bozza che cade dall’alto» nonché per i contenuti: sanzioni meno credibili rispetto alle proposte di Bruxelles da una parte e dall’altra modifica del Trattato per sospendere in Consiglio i diritti di voto dei reprobi. «Non passerà», ha tagliato corto Juncker.

La Merkel non è stata a sentire: «Non è ancora un accordo europeo ma senza l’accordo tra Francia e Germania si può fare ben poco in Europa». Messi i puntini sulle "i", dopo il lungo intervento al Bundestag prima di partire per Bruxelles, il cancelliere si è messa al telefono, consultando tra gli altri anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Perché l’Italia è la terza economia dell’euro, tutta la partita sarà decisa all’unanimità e il nostro consenso è ineludibile su un’operazione che ci coinvolgerà da vicino visto l’alto tasso di indebitamento nostrano (118% contro la regola del 60% al massimo).

Merkel sa che oggi al vertice dovrà misurarsi con un ambiente ostile. Con la Commissione che ha esplicitamente affermato di essere contraria. Con più della metà dei leader seduti intorno al tavolo che hanno incassato malissimo il patto di Deauville per il suo profumo di direttorio, meglio per quella sua miscela di debordante egemonia tedesca in salsa franco-opportunista. Per quella proposta di sospendere i diritti di voto, un attentato alla loro sovranità nazionale.

«Il nuovo meccanismo anti-crisi deve essere giuridicamente sano e questo è possibile solo cambiando il Trattato, perché anche con le sanzioni più dure del mondo non si possono escludere in futuro altre crisi estreme che minino la stabilità dell’intera area euro» spiega la Merkel. E minaccia: niente via libera sul Trattato, allora niente via libera alla riforma del patto di stabilità. Dentro il meccanismo permanente anti-crisi Berlino insiste per introdurre anche la possibilità del fallimento ordinato di uno Stato super-indebitato con il coinvolgimento anche dei creditori privati, banche in primis.

Non è detto però che quest’ultima idea alla fine passerà: per l’opposizione che suscita ma anche perché rischia di complicare la modifica dei Trattati. Che tutti vogliono, se inevitabile, ridurre all’osso per non inciampare in incidenti di ratifica. Paventati dalla stessa Merkel, la quale nel 2013 andrà alle elezioni. Il tempo dunque stringe per tutti. L’ipotesi per ora più accreditata prevede la procedura di modifica abbreviata (già usata per correggere il numero dei seggi all’europarlamento): modifica dell’art.126 per eliminare il divieto di bail out, aggiunta all’art.7, che prevede la sospensione dei diritti di voto per i paesi che violini i diritti fondamentali, anche di quelli che violino ripetutamente le regole del patto.