Luca Indemini, La Stampa 27/10/2010, 27 ottobre 2010
ALGORITMI DI AVATAR
Guru del cinema 3D, premio Oscar per il contributo offerto agli effetti speciali del thriller «Furnace», Simon Robinson ha un’esperienza quasi ventennale nell’industria del cinema e della tv. Dopo aver mosso i primi passi all’IBM Research, passa alla Digital Pictures, pionieristico centro di produzione con sede a Londra, dove inizia l’avventura legata alla stereoscopia. Nel ‘96 fonda la compagnia The Foundry - leader nel campo degli effetti speciali - con cui ha sviluppato i programmi Nuke e Ocula, fondamentali nella fase di post-produzione di «Avatar». Proprio per svelare i segreti e il dietro-le-quinte delle tecnologie impiegate nella realizzazione del capolavoro di James Cameron, Robinson è stato invitato all’11ª edizione di View Conference, quest’anno incentrata su «Il futuro è in 3D».
Mr. Robinson, cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo futuro?
«Una grande quantità di piccoli miglioramenti nella fase di produzione e post-produzione in 3D stereo: sono quelli che renderanno l’esperienza visiva più confortevole, abbasseranno i costi di produzione e stimoleranno la nascita di nuove idee nel racconto per immagini. Non ci accorgeremo di queste piccole rivoluzioni mentre stanno avvenendo, ma tra 5 anni ci stupiremo di quanta strada è stata fatta».
Foundry sta scrivendo pagine importanti di questo futuro, con la messa a punto delle tecnologie Nuke e Ocula, preziose per realizzae la stereoscopia di «Avatar». Quale sarà il loro impatto sull’utilizzo degli effetti 3D stereo?
«Oggi sono molto importanti nella realizzazione degli effetti speciali, ma continueranno a esserlo solo se sapremo adattarle alle evoluzioni della post-produzione. Si tratta di un campo altamente tecnologico, che si innova costantemente e non è credibile che prodotti come questi rimangano invariati anche solo per un breve periodo. Dobbiamo trasformali in qualcosa di nuovo, adattarli alle nuove richieste e dobbiamo anche capire meglio come gli algoritmi del 3D stereo, che sono alla base di Ocula, possono svilupparsi e integrarsi con altre fasi della produzione e della post-produzione. Si tratta di piccole parti di un puzzle molto più ampio e in evoluzione».
Dalla tv al cinema, passando per altri supporti quali pc, laptop o touch screen: come cambiano queste tecnologie il nostro modo di vedere le immagini e i film? E con quale interfaccia ci dovremo confrontare?
«Non credo che il 3D cambierà il nostro modo di interagire con gli apparecchi. Offre grandi possibilità, tanto nel campo dello “story-telling” quanto nell’educazione, ma non vedo trasformazioni nelle interazioni con i media. Perché questo accada ci vorrà un’ulteriore rivoluzione che non possiamo ancora prevedere. Forse, ci saranno dei “true 3D display”, vale a dire schermi con forma tridimensionale».
Lei si è classificato al 52° posto nella lista delle 100 persone più creative nel mondo degli affari stilata dalla Fast Company. In un’epoca in cui il termine è spesso abusato che cosa significa essere veramente «creativi»? E che cosa suggerisce a un giovane con buone idee che vuol provare a far crescere un progetto?
«Per quanto riguarda la prima domanda, non lo so... Quel che so è che la crescita di un’idea avviene in modo diverso per ogni persona. Per The Foundry il successo è stato lento e cauto. È fondamentale essere onesti e cooperativi con i propri clienti e nel campo dei media creativi è importante tenere a mente che probabilmente il tuo cliente è molto più intelligente e creativo di quanto tu non potrai mai essere: vietato, quindi, bluffare. C’è poi bisogno di un ottimo staff, il più possibile coinvolto nel business, tanto nei rischi quanto nel successo del progetto. Ovviamente ci vogliono le buone idee e molta fortuna».
Scherza, ma non troppo, Simon Robinson, e conclude con un suggerimento di umiltà: «Per la mia esperienza alla Foundry, elemento chiave del successo è sempre stata la capacità di riconoscere quando un tuo collaboratore è un manager migliore di te, o un miglior programmatore, o più creativo. In quel caso bisogna lasciarlo fare, senza voler per forza mantenere tutto sotto il proprio controllo».