Franco Giubilei, La Stampa 27/10/2010, 27 ottobre 2010
ESAME DNA PER LUIGI XVI
Dopo che la testa di Luigi XVI fu mozzata dalla ghigliottina, molti cittadini presenti all’esecuzione vollero intingere il loro fazzoletto nel sangue del monarca di Francia per conservare un macabro souvenir di quella storica giornata. Uno di quei fazzoletti fu messo in una zucca, finemente istoriata con i ritratti dei protagonisti della Rivoluzione – vittime e carnefici compresi - e con una scritta che ne avrebbe raccontato la storia ai posteri.
Un anno fa i proprietari attuali dell’oggetto, una famiglia romagnola ben decisa a mantenere l’anonimato, ha consegnato la zucca ai ricercatori dell’Università di Bologna, perché analizzassero i residui di una sostanza di colore scuro depositata sul fondo. Dopo mesi di esami sofisticati sul Dna, il team di antropologi molecolari e genetisti forensi dell’ateneo bolognese, in collaborazione con lo studioso spagnolo Carles Laluela-Fox, ora è arrivato a stabilire che sì, la polvere rinvenuta lì dentro potrebbe veramente essere ciò che resta del sangue del sovrano decapitato a Parigi il 21 gennaio del 1793.
La punta arroventata
A mettere gli esperti su questa pista sono state, in primo luogo, le decorazioni incise con una punta metallica arroventata – la tecnica si chiama pirografia – dall’artista parigino Jean Roux, come spiega l’antropologo molecolare Davide Pettener, che insieme con Donata Luiselli, Susi Pelotti e Carla Bini ha lavorato sulla zucca: «Fra le altre, ci sono le effigi di Robespierre, Danton, Marat, Guillotin (colui che inventò l’échafaud, cioè la famosa macchina di morte che funzionò senza sosta durante il periodo del Terrore, ndr) e, nella parte superiore, quelle di Luigi XVI, di Maria Antonietta e del Delfino. Le scritte, poi, riportano il nome di colui che bagnò il fazzoletto nel sangue del re, un tale Maximilien Bourdaloue». Ma non finisce qui, perché la zucca, sempre se quel che è inciso a fuoco sulla buccia dell’ortaggio è realmente avvenuto, sarebbe stata venduta per 500 franchi dell’epoca a un personaggio indicato semplicemente come «l’aigle», l’aquila, soprannome giovanile di colui che allora era soltanto un ufficiale, Napoleone Bonaparte.
In che modo e seguendo quale percorso sia poi passata di mano in mano fino ad arrivare ai suoi proprietari attuali, oggi non è dato saperlo: un alone di segretezza circonda gli ultimi passaggi del reperto, riservatezza giustificata dal fatto che si tratta di un oggetto estremamente prezioso. E’ infatti interessante conoscere la quotazione della zucca, il cui valore sarebbe stato quantificato in circa mezzo milione di euro. Nessuna notizia e nessun residuo, invece, del famoso fazzoletto imbevuto del sangue reale di cui, in tono freddo e didascalico, il possessore originario parla nell’iscrizione incisa a fuoco: «Maximilen Bourdaloue le 21 de Janvier de cette annéè imbiba son mouchoir dans le sang de Louis XVI après sa decollation» (Maximilen Bourdaloue il 21 gennaio di quest’anno imbevette il suo fazzoletto nel sangue di Luigi XVI dopo la dua decapitazione, ndr).
L’altro mistero - parallelo - è quello su cui si sono concentrati i ricercatori dell’Università di Bologna: sono riusciti a stabilire un nesso fra la polvere marrone raccolta nella zucca e il sangue del re giustiziato. «Dalle nostre prime analisi abbiamo accertato che era sangue umano di un individuo di sesso maschile – aggiunge Pettener –. Poi siamo andati avanti in parallelo con i colleghi del Consiglio superiore di investigazioni scientifiche di Barcellona e abbiamo ottenuto gli stessi risultati». Uno degli elementi riguarda gli occhi: l’individuazione del gene HERC2, che determina l’azzurro, ha portato alla prima coincidenza, dato che anche Luigi XVI, secondo i ritratti dell’epoca, aveva gli occhi di quel colore. L’esame del Dna mitocondriale e del cromosoma Y ha in seguito evidenziato due linee genetiche molto rare e difficili da rintracciare negli individui del nostro tempo.
Per avere la certezza assoluta che si tratta proprio del sangue dell’ultimo sovrano di Francia, però, adesso serve la prova definitiva. «Soltanto confrontando i dati in nostro possesso con il profilo genetico ricavato dal cuore del figlio di Luigi XVI, il Delfino Luigi XVII, che è custodito nella Basilica di Saint-Denis a Parigi, potremo essere sicuri. Se non venisse confermato dal confronto, il dubbio resterebbe comunque, perché non è certissimo che Luigi XVI fosse il suo vero padre...
Linea materna
L’altra strada, invece, è quella del riscontro sul Dna mitocondriale, che si trasmette per linea materna e che nel nostro caso presenta un assetto genetico rarissimo: dovremmo confrontarlo con il Dna dei discendenti di Luigi XVI per linea femminile».