Raffaello Masci, La Stampa 27/2010; Stefano Delfino, La Stampa 27/10/2010; Fabio Poletti, La Stampa 27/2010;, 27 ottobre 2010
DOSSIER IMMIGRATI
I NUOVI ITALIANI SONO 5 MILIONI
Meno male che ci sono gli immigrati che ci pagano la sanità e la pensione. E su questo fronte ci saranno di grande aiuto per almeno altri 15 anni, dopo di che invecchieranno anche loro e questo vantaggioso scambio diventerà un po’ meno favorevole. Il dato che salta all’occhio - esaminando il Ventesimo Dossier sull’Immigrazione presentato ieri dalla Caritas - è proprio questo: le spese che affrontiamo per gli immigrati, in termini di sanità, scuola, servizi sociali, sfiorano i 10 miliardi l’anno, mentre le entrate che questi lavoratori versano nelle casse dello Stato superano gli 11 miliardi tra contributi previdenziali e fiscali, e sono relativi a un reddito dichiarato di 33 miliardi di euro, pari all’11% del prodotto interno lordo.
Oggi, inoltre, a prendere la pensione è solo 1 immigrato su 30, mentre tra gli italiani siamo a 1 su 4. Le cose non andranno sempre così, beninteso, ma anche in una prospettiva estesa al 2025, ce la passeremo meglio solo grazie agli stranieri: tra 15 anni - rileva il Dossier Caritas - i pensionati stranieri saranno circa 625 mila, e cioè 1 su 12, ma allora il rapporto tra gli italiani sarà di 1 a 3. E non è tutto: la retribuzione netta mensile degli immigrati nel 2009 è stata di 971 euro - dice la Caritas - rispetto ai 1.258 euro degli italiani, con una differenza a sfavore degli immigrati del 23%, che diventa del 28% per le donne.
Sono numeri su cui converrà riflettere prima di sbraitare sulla crescita degli stranieri nel nostro Paese, che pure è stata esponenziale, tant’è che in 20 anni il loro numero è decuplicato e ha toccato ora i 5 milioni di presenze, pari al 7% dei residenti. A questa crescita ha corrisposto anche un forte processo di integrazione, dice la Caritas, che tuttavia non ha rimosso i pregiudizi e non ha impedito il dilagare di paure e sospetti. Del tutto ingiustificati se è vero, come dice il Rapporto, che «il ritmo d’aumento delle denunce contro cittadini stranieri è molto ridotto rispetto all’aumento della loro presenza, per cui è infondato stabilire una rigorosa corrispondenza tra i due fenomeni». E ancora: secondo i dati ufficiali, «gli italiani e gli stranieri in posizione regolare hanno un tasso di criminalità simile».
Ma tutto questo, evidentemente, conta poco, soprattutto in quelle aree d’Italia in cui la concentrazione degli stranieri è particolarmente rilevante: solo in Lombardia, per dire, si addensa il 23% di tutta la popolazione immigrata, ma proprio lì si concentrano anche due milioni di anziani, che diventeranno tre milioni nel 2015 «con un fabbisogno esponenziale di assistenza». Un fenomeno analogo riguarda il Lazio, il Veneto, l’Emilia.
Interi settori economici resterebbero a secco senza gli immigrati, rileva il Dossier. Coldiretti - commentando i dati della Caritas - fa notare che sono quasi 100 mila i lavoratori stranieri in agricoltura: nell’area del parmigiano reggiano, specifica, è indiano un lavoratore su tre, tra i pastori dell’Abruzzo il 90% è costituito da macedoni. Ma i lavoratori extracomunitari - fa notare la massima organizzazione agricola - sono diventati decisivi nella raccolta delle mele in Val di Non, nella produzione del prosciutto di Parma e della mozzarella di bufala campana, così come nella raccolta delle uve destinate a vini di qualità. A questo dato il Dossier aggiunge che a Roma o a Milano ci sono più pizzaioli egiziani che napoletani.
Nell’annunciare la novantasettesima giornata del Migrante e del Rifugiato (che si terrà il 16 gennaio prossimo) anche il papa è intervenuto sui temi dell’immigrazione, facendo notare che la Chiesa dice no a «ogni egoismo nazionalista» e riconosce quello a emigrare come «un diritto di ogni uomo», ma la necessità dell’accoglienza va coniugata con quella di «una vita dignitosa e pacifica» sia per i migranti che per gli abitanti dei Paesi di arrivo.
Raffello Masci
IL COMUNE PIÙ MULTIETNICO È SENZA EXTRACOMUNITARI -
AIROLE (Imperia). E’ il Comune più multietnico d’Italia: su 493 residenti, quelli stranieri superano il 31 per cento, un dato emerso ieri a Roma, in occasione della presentazione del Dossier Caritas Migrantes. Non solo, ma appartengono a diciotto Paesi, come, lasciata la statale 20 del Tenda, segnalano altrettante bandiere issate sui pennoni all’inizio della strada che sale tra gli ulivi.
Airole, paesino arroccato in Val Roja, a una manciata di chilometri dalla costa di Ventimiglia e dal confine francese, è una babele di lingue, e il fatto curioso è che la maggior parte di questi immigrati arrivano dall’Unione Europea, soprattutto olandesi e tedeschi, mentre gli extracomunitari (Perù, Ecuador, Cile, Usa) sono pochissimi e, tra di loro, c’è anche il parroco Francis Sijan Vazhapilly, di nazionalità indiana.
Che sia un luogo cosmopolita, lo si capisce sin dalla piazza dei Santi Filippo e Giacomo, isola pedonale con fontana zampillante, che porge il benvenuto a chi giunge nel centro storico: il bar Val Roja è gestito da un tedesco, Thomas Hartge, di Monaco di Baviera; il ristorante U Carugiu, nell’adiacente via Roma, è condotto da francesi; e nell’altro ristorante, U Vegiu Defisiu, una tavolata di olandesi è alle prese con specialità come i ravioli di borragine, il coniglio con le olive e la torta verde.
Ricorda Massimo Scibilia, assessore ai Lavori pubblici: «Tutto è cominciato una quarantina di anni fa, con l’arrivo di due artisti olandesi, il pittore Hermanus Gordijn, e la scultrice Ondina Buytendorp, che ancor oggi vive qui. Affascinati dal paese di pietra, sono stati i primi a recuperare alcune delle antiche case diroccate. Sulla loro scia, altri connazionali hanno fatto rotta su Airole e tra di essi mio suocero Bernhard, Berto per gli amici, che per anni ha avuto il Bar Amsterdam».
Il «passaparola» ha portato poi qui, anche sulle ali di un cambio allora favorevole, tedeschi, francesi, inglesi, svizzeri, svedesi e finlandesi. Hanno acquistato quelli che erano considerati ruderi o poco più, li hanno sistemati e sono venuti ad abitarci: «Sono stati loro a salvare il cuore del borgo. Via Roma era transennata perchè inaccessibile. Adesso nel centro storico vive una decina di famiglie del posto, tutti gli altri sono stranieri», spiega il giovane sindaco Fausto Molinari, di professione geometra.
Ai «pionieri» si sono aggiunti in seguito, magari perchè attratti da prospettive di lavoro, cittadini turchi, polacchi, russi, moldavi, romeni e spagnoli. Ma a che si deve la progressiva e pacifica «invasione»? Risponde ancora il sindaco Molinari: «Oltre alla tranquillità del luogo e alle bellezze naturali, è probabilmente la posizione strategica e baricentrica ad esercitare una forte attrattiva. Siamo vicini al mare, alle piste da sci di Limone Piemonte, raggiungibili con facilità anche in treno sulla linea Ventimiglia-Cuneo, e alla Costa Azzurra, in particolare a Montecarlo e all’aeroporto di Nizza».
Nei vicoli di Airole si notano qua e là ponteggi e cantieri edili. Il mercato immobiliare è praticamente saturo, gli appartamenti vanno a ruba. «I prezzi si aggirano sui 2.000 euro a metro quadro ma molto influisce la presenza o meno di balconi, garage o altro», precisa Molinari. E aggiunge: «Abbiamo approvato il Progetto Colore per ripristinare le facciate. La Regione Liguria ha concesso 30 mila euro di contributo, ora speriamo che i privati raccolgano il nostro invito».
Sulla piazza, muratori sono all’opera in un vecchio palazzo. Lo stanno ristrutturando, ospiterà le cantine di un’azienda agricola: lassù sulla collina, sullo sfondo della chiesa parrocchiale, A Trincea produce Roccese, un vino rosso e bianco, che deve il nome al suolo roccioso sul quale sono state piantumate 45 mila viti. Sciamano intanto i bambini all’uscita della scuola. Tra di essi Amala e Muniboy. La madre Jennifer è del Colorado: «Li porto qui da Brunetti, frazione di Ventimiglia, non solo per comodità, ma anche perchè così hanno altri compagni stranieri».
Stefano Delfino
CASTIGLIONE, CINQUE CONTINENTI IN UN QUARTIERE -
E’ un quartiere di case sgarrupate tutte uguali. Sui balconi crescono le parabole puntate a Sud, molto più a Sud di Mantova. Lo chiamano «Cinque continenti» ma a guardare bene devono essere pure di più. L’unica cosa di Occidentale è l’indirizzo, via Kennedy. E il viso del Nino che abita qui dal Sessantotto e giura che adesso è tutto un quarantotto: «Una volta questo era un quartiere rispettabile. Poi sono venuti i meridionali. Adesso gli extracomunitari». Benvenuti a Castiglione, 23 mila abitanti, 5 mila extracomunitari. Benvenuti in via Kennedy, cinque palazzine, solo il Nino che parla italiano.
«Io non ho amici italiani. Non vi capisco. Non vi capisco quando parlate», dice questo ragazzone indiano del Punjiab che si fa chiamare Prince, 16 anni e nemmeno la voglia di guardare oltre la siepe. «L’integrazione è mica facile. Qui in oratorio vengono gli stranieri. Ma solo se non ci sono gli italiani», ammette don Cristian, la parrocchia su al Castello che guarda questo paesone, il più ricco della provincia, fabbriche che spuntano come funghi e la manodopera è quasi sempre straniera. «Qui ci sono circa 70 nazionalità. Però si vive abbastanza bene», ci tiene a pulire i panni in famiglia il sindaco Fabrizio Paganella, indipendente del Pdl al secondo mandato. E meno male che la Lega è all’opposizione perché sono dolori già così. «Possibile che il 20 per cento degli abitanti di Castiglione, cioè gli stranieri, si prenda il 51% dei sussidi comunali? Noi dobbiamo tutelare soprattutto i nostri», sventola la bandiera verde padano Andrea Dara, capogruppo della Lega in Comune.
Il fatto è che il poco che gira dell’economia, si muove perché gli extracomunitari ci mettono il sudore. Alla Barilla come alla Golden Lady, alla Nestlé come nelle mille fabbrichette del metalmeccanico o dell’alta tecnologia. Per non parlare delle società di trasporti che hanno arruolato valanghe di autisti serbi. «C’è la crisi. La paghiamo noi», giura Zia arrivato dal Pakistan un anno e otto mesi fa con un mestiere tra le dita, ago e filo per lavori di fino. «Guarda che noi per lavorare lavoriamo più degli italiani», la spara grossa il marocchino Karim, occhiali griffati, giubbotto scuro, il pomeriggio al bar come sempre. «Noi lavoriamo perché siamo gli unici che prendono 5 euro l’ora per lavare piatti, dalle otto di sera alle due di notte».
Gli imprenditori si dividono in due categorie. Quelli che preferiscono gli italiani perché sono più affidabili. Quelli che vogliono solo gli stranieri perché costano meno. «E’ la legge della domanda e dell’offerta. Ma di politiche sociali non se ne parla. Tutto sulle nostre spalle», spiega Sandra Gobatto dell’associazione Equatore, un bel po’ di sportelli per rendere possibile la convivenza. «Razzismo non ce n’è tanto. Due mondi separati al massimo». Ci si incontra in fabbrica. Nemmeno nel quartiere, ché gli stranieri sono tutti qui al «Cinque continenti» o al «Primo Maggio», dove raccontano che pure le cantine sono state trasformate in alloggi. «Ma chi vuoi che vada a vedere. Lì non si passa né di giorno né di sera», dicono al bar della via Toscanini dove stanno tirando su la nuova moschea: quella vecchia è diventata un circolo Arci, il circolo Arci color El Yaraa. Il barista Assan vende anche l’immagine: «Qui si vive bene. Sono a Castiglione da 30 anni. Gli italiani non si lamentano». Mohamed col giubbotto marrone vende di tutto: «Che ti serve? Cocaina? Fumo? A me gli italiani mi cercano».
Di coppie miste non se ne vede una. Jasmine, 19 anni, indiana dice che sta chiusa in casa e basta: «Non c’è lavoro. Non c’è niente. Stiamo tra di noi». Nel prato spelacchiato in mezzo ai «Cinque continenti» c’è un mondo intero. Una fila di panchine colorate. Una poltrona sventrata. Un palo abbattuto. Il Phone center è strapieno. Adì che è arrivato dal Marocco un anno fa ha le mani in tasca e dice che il mondo finisce qui: «Lavoravo in fabbrica. Mi hanno mandato via per la crisi. Sto qui e guardo quelli che passano. C’è gente che non parla una parola di italiano. C’è gente che non è mai uscita dal quartiere».
Fabio Poletti
4 DOMANDE A
Anna Italia, responsabile del settore Immigrazione del Censis. Stranieri come sostegno del welfare?
«Senza dubbio, e i dati lo dimostrano. Ma la cosa su cui vorrei si riflettesse è che gli immigrati sono anche una immensa risorsa di capitale umano: un milione di loro è costituito da minorenni (un quinto del totale) e di questi 670 mila sono nelle nostre scuole e crescono come italiani a tutti gli effetti».
Che cosa vuol dire, in prospettiva?
«Che quelli di seconda generazione ragionano come tutti gli altri italiani: vogliono studiare, fare lavori differenti rispetto a quelli dei loro padri, evolvere come persone, investire, creare occupazione anziché cercarla. Sognano e vivono da italiani, quali sono di fatto anche se non ancora di diritto. E sono un fattore di crescita forte e motivato ad emergere».
Ma tra qualche anno diventeranno anche loro un costo sociale?
«Intanto consentono ai nostri connazionali di prendere la pensione. Poi, ovviamente, questa spetterà anche a loro a un bel momento, ma data la giovane età media questo problema è spostato molto in avanti».
E’ la fine dell’equivalenza immigrato-emarginato?
«E’ presto per dirlo. Però ci sono due fattori che muovono in questa direzione: il primo è che sta crescendo l’imprenditoria gestita da immigrati. Il secondo è che nelle nostre scuole, insieme ad alcune situazioni di difficoltà, stanno emergendo tra i giovani stranieri anche grandi talenti. E questo apre importanti prospettive sia agli interessati sia al paese se sarà in grado di valorizzare queste risorse umane».
R. Mas.