Alessandro Ursic, La Stampa 27/10/2010, Carlo Grande, La Stampa 27/2010, 27 ottobre 2010
SUMATRA
L’allarme tsunami era rientrato poco dopo la potente scossa di magnitudo 7,7, lunedì sera. Ma le autorità indonesiane hanno abbassando la guardia troppo presto: il maremoto, conseguenza del sisma che si era verificato al largo dell’isola di Sumatra lunedì sera, ha causato almeno 108 morti e 500 feriti, spazzando una decina di villaggi sulle isole Mentawai, un paradiso dei surfisti. E a questo disastro nell’arcipelago si è aggiunta da ieri sera l’eruzione del vulcano Merapi nell’isola di Giava, oltre un migliaio di chilometri più a Est, che ha già causato le prime vittime.
Le devastazioni della scossa di lunedì - a 78 chilometri dalla costa - sono diventate evidenti solo ieri, a mano a mano che i soccorritori raggiungevano le zone più colpite delle Mentawai, una catena di isole scarsamente abitate, che corre parallela alla costa Ovest di Sumatra, dove l’onda è arrivata più smorzata. Le isole North Pagai, South Pagai e Sipura hanno subito l’impatto maggiore, nelle prime ore del mattino. Onde alte tre metri si sono abbattute sui villaggi costieri portandosi via centinaia di persone, e penetrando sulla terraferma per 600 metri.
Al momento non si registrano vittime straniere, e la Farnesina assicura che non ci sono italiani coinvolti; in un primo momento una decina di surfisti australiani erano stati dati per dispersi, ma è poi emerso che sono sopravvissuti al naufragio del loro battello. Un altro australiano, la cui barca è stata risucchiata al largo per 200 metri, ha raccontato in tv di un «rumore tuonante» e poi di un «muro bianco che si è abbattuto su di noi».
Descrivendo i danni sul sito SurfAid, il personale di un’agenzia per surfisti di North Pagai ha riferito che tutte le strutture sono distrutte. Forti venti e onde tuttora impetuose ostacolano il lavoro dei soccorritori nelle zone colpite, ed è probabile che il bilancio delle vittime aumenterà ancora.
Mentre il Paese si rendeva conto delle dimensioni del disastro, iniziava l’eruzione del vulcano Merapi, in una zona densamente popolata nella parte centrale di Giava. Dal cratere della «montagna di fuoco» - il significato del nome in giavanese - tre esplosioni hanno sparato lapilli e cenere fino a un chilometro e mezzo di altezza, provocando scene di panico nell’area. Il sito Detik.com riferisce di 13 morti - tra cui un bimbo di tre mesi deceduto per complicazioni respiratorie - e altrettanti ustionati dalla lava, che ha iniziato a riversarsi su un lato della montagna, cui i giavanesi porgono regolarmente offerte, per «placarne gli spiriti». Il Merapi è uno dei più attivi tra i 76 vulcani indonesiani: l’ultima eruzione risale al 2006, con due vittime.
Nei giorni scorsi le autorità avevano già disposto l’evacuazione di 19 mila residenti dalle pendici, anche se molti si sono rifiutati di lasciare le proprie case per paura dei saccheggi. Ma ora il timore più grande è quello di un’esplosione in caso di cedimento improvviso del «tappo» di lava che si è formato vicino al cratere, per colpa dell’enorme pressione accumulata. «Speriamo che la rilasci lentamente - ha dichiarato il vulcanologo Surono -. Siamo di fronte a un’eruzione potenzialmente enorme», in un’area che conta un milione di abitanti. La più potente del Merapi mai registrata si verificò nel 1930, con 1300 vittime.
Dopo il devastante tsunami del 26 dicembre 2004 - che causò 168 mila morti nel Paese - l’Indonesia ha contato una quindicina di tragedie naturali con un centinaio di morti, a causa di una collocazione geografica particolarmente sfortunata. Il Paese si estende infatti lungo la «Cintura di fuoco del Pacifico», un cerchio di 40 mila chilometri lungo il quale corrono diverse faglie sismiche e si alzano alcuni tra i più temuti vulcani al mondo. Una ricetta per frequenti disastri: l’ultimo maremoto e l’eruzione della «montagna di fuoco», lo sanno gli stessi indonesiani, non saranno gli ultimi.
Domande e risposte
in ultima pagina«La gente non sa dove andare»
Hardimansyah, un funzionario del Dipartimento Pesca: «Quasi tutte le case del villaggio di Betu Monga sono state distrutte. Delle 200 persone che ci vivevano, ne sono state trovate solo 40, delle altre 160 non sappiamo nulla. I dispersi sono per lo più donne e bambini. Molte madri hanno raccontato di non essere riuscite a tenere stretti i loro bambini e l’onda se li è portati via. Un sacco di gente piange e non sa dove andare a dormire, l’80 per cento delle case è impraticabile e le scorte di cibo sono basse, quasi tutte le provviste sono andate perdute»«Aggrappati ai parabordi»
Rick Hallet, gestore di un noleggio barche: «Abbiamo sentito il ruggito dell’acqua, poi le onde hanno cominciato a sollevare una delle nostre barche ancorata nella baia. I passeggeri hanno afferrato tutto quello che poteva galleggiare, tavole da surf e parabordi, e con quelli si sono buttati in acqua. Sono stati spinti fino a 200 metri nell’entroterra, ma stando ben attaccati ai “salvagenti” e cercando di schivare gli alberi sono riusciti a non affogare. Quando l’onda li ha lasciati cadere a terra, si sono arrampicati sui rami più alti e lì sono rimasti anche due ore, finché l’acqua non si è ritirata».«Una forza ci spingeva in avanti»
Chris Love, skipper: «Ero in barca coi miei clienti, un gruppo di surfisti che avevano prenotato due settimane di crociera. La baia dove quella sera eravamo all’ancora, la Macaronis Bay, all’improvviso si è prosciugata, poi una forza immane ci ha spinto in avanti. Sono corso ad accendere i motori e sono riuscito a portare la barca fuori dal fronte dell’onda. Nessuno di noi ha dovuto buttarsi in acqua, ho portati tutti in salvo in un’altra baia. Ho sentito di altre barche in difficoltà, ma mi sembra che tutti i turisti siano riusciti ad arrivare a riva».«Una palla di fuoco sul tetto»
«L’onda perfetta» è il nome dell’agenzia di noleggio gestita da Jamie Gray: «Le nostre due barche, Midas e Freedom, ancorate nella Macaronis Bay, travolte dalle onde alte tre metri si sono scontrate e hanno preso fuoco. Una palla di fuoco ha perforato il tetto del nostro ufficio ed è piombata nel salone. Per fortuna eravamo già scappati. Le persone a bordo delle due barche sono riuscite a gettarsi in acqua e sono state catapultate nella giungla. Sono tutte vivi, hanno avuto solo qualche graffio e un po’ di stordimento per il fumo inalato».«I cellulari non prendevano»
Dave Jenkins, del noleggio SurfAid: «Per 21 ore nove surfisti australiani e un giapponese sono stati dati per dispersi, anche se tutti speravamo di ritrovarli. I loro cellulari suonavano a vuoto ma io sapevo che il loro skipper è un uomo molto esperto e conosce benissimo i posti. Certo, col passare del tempo e l’arrivo di notizie sempre più drammatiche abbiamo cominciato ad avere paura anche noi. Finalmente è arrivata la loro telefonata: erano finiti in una zona dove i cellulari non prendevano e non avevano neppure sentito l’onda dello tsunami».
29-9-2009
Samoa e Tonga
Prima un sisma di magnitudo 8 che scuote i villaggi delle Samoa americane e di Tonga, poi uno tsunami che fa 190 morti
17-7-2009
Isola di Giava
A un terremoto di 7,7 gradi che scuote l’isola indonesiana segue uno tsunami: 654 morti
CHE COS’È UN TSUNAMI (Domande e risposta a cura di Carlo Grande)
Ancora uno tsunami a Sumatra. Che cosa significa questo termine?
Tsunami è una parola giapponese che vuol dire onda di porto. I maremoti, o tsunami, sono una serie di onde di grande lunghezza d’onda prodotti da un violento spostamento della massa d’acqua oceanica, solitamente a causa di un terremoto (che ad esempio innalza un fondale), di attività vulcanica, di frane o persino impatti di meteoriti.
Quale forza può sviluppare?
La forza distruttiva di uno tsunami è data dall’altezza della colonna d’acqua sollevata, perciò un terremoto nell’oceano può essere molto pericoloso, perché può sollevare e spostare tutta l’acqua presente al di sopra del fondale (ad esempio di tre o quattromila metri), anche se solo di pochi centimetri. Questa enorme massa d’acqua, spostandosi in prossimità delle coste, trova un fondale sempre più basso e perciò tende a sollevarsi. Nessuna barriera portuale è in grado di contrastare una tale onda.
In cosa differiscono le sue onde da quelle marine «normali»?
Nell’oceano profondo le normali onde marine, create dal vento, muovono solo le masse d’acqua superficiali, senza coinvolgere i fondali. In genere hanno un’altezza di poche decine di centimetri e si infrangono sulle barriere portuali.
Che caratteristiche hanno le onde dello tsunami?
La lunghezza d’onda è uno dei fattori che contraddistinguono i maremoti: rispetto alle normali onde marine, negli tsunami la lunghezza delle onde è molto maggiore e può superare anche i 200 km. Man mano che la profondità del mare diminuisce, anche la lunghezza d’onda diminuisce e l’altezza dello tsunami aumenta. Si può formare un muro d’acqua alto anche decine di metri che ha un forte potere distruttivo.
A quale velocità viaggia l’onda dello tsunami?
Dove l’oceano è ad esempio profondo quattromila metri, l’onda del maremoto si muove a circa 700 chilometri l’ora, cioè alla velocità a cui viaggia un aereo.
Quanto a lungo viaggia?
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che alcuni tsunami del passato (che hanno colpito le coste giapponesi) potrebbero essere stati generati addirittura da terremoti verificatisi lungo la costa occidentale del Nordamerica (California e Canada). Gli tsunami avrebbero attraversato tutto l’Oceano Pacifico.
Cosa si può fare contro uno tsunami?
Molte città sul Pacifico, soprattutto in Giappone ma anche nelle Hawaii, hanno sistemi di allarme e procedure di evacuazione; la calamità può essere «predetta» da vari istituti di sismologia in varie parti del mondo. Però al momento non esistono modelli affidabili in grado di correlare il verificarsi di un evento sismico alla generazione di uno tsunami. Occorrerebbero misurazioni del livello marino tramite sistemi posizionati sul fondo, trasmettendo in tempo reale i dati.
Quanto in anticipo si può prevedere?
Uno tsunami può essere segnalato da un improvviso ritiro delle acque marine seguito da una serie di onde o, nel caso peggiore, appare come un muro d’acqua che si alza dal mare con rapidità crescente e dimensioni sempre più imponenti. Il modo in cui si presenta dipende dal tipo di costa. Vista l’alta velocità di propagazione degli tsunami e volendo disporre di almeno un’ora di preavviso, servirebbero piattaforme a mille chilometri dalla costa. Naturalmente la sorgente tsunami-genica dovrà essere a una distanza maggiore: se fosse troppo vicina alla costa non si farebbe in tempo.
Quali sono gli effetti dello tsunami?
Molto gravi. Lo tsunami di Sumatra del 26 dicembre 2004, che ha investito l’Oceano Indiano, ha provocato quasi 290 mila morti. Inoltre bisogna considerare i danni al territorio e al mare stesso. Gli habitat marini vengono inquinati dalle sostanze in cui si imbattono le onde, una volta raggiunte le coste, sostanze che si mescolano all’acqua salata e devastano le forme di vita animali e vegetali. Per non parlare dei danni che il sale delle acque provoca una volta che è stato colpito l’interno: il terreno diventa sterile.
Anche l’Italia potrebbe essere a rischio tsunami?
Qualcuno ritiene di sì: nel Tirreno si trova il Marsili che con un diametro di 45 km è il vulcano sottomarino più grande d’Europa. Un piccolo terremoto o l’inizio di un’attività eruttiva potrebbe provocare lo smottamento di una serie di frane lungo i pendii e questo genererebbe uno tsunami. Preoccupa anche un vulcano sottomarino al largo dell’Isola Ferdinandea: nel marzo 2004 un terremoto del terzo grado della scala Richter, avvenuto nei suoi pressi, ha generato uno tsunami di piccole dimensioni che ha raggiunto le coste della Sicilia.