Mimmo Candito, La Stampa 27/10/2010, 27 ottobre 2010
I DUE VOLTI DEL CONSIGLIERE
Quando gli ponevi delle domande, l’impressione più netta che ne ricavavi era che - garbatamente, certo - ti stesse però menando per il naso. Non che dicesse fanfaluche e menzogne, nel linguaggio che comunque la diplomazia concede agli incontri internazionali, ma, insomma, che fossero più le cose che taceva piuttosto che le parole che con qualche mimesi ti raccontava.
Il consigliere del dittatore
Naturalmente, questo faceva parte del ruolo che lui s’è trovato a svolgere per più di vent’anni, quello della faccia buona del regime crudele di Saddam. E questo tacere piuttosto che dire gli era stato insegnato dal difficile compito del sopravvivere che deve imparare rapidamente chiunque si trovi alla corte dei despoti, ancor più quando ferocemente sanguinari com’è stato il lungo regno di Saddam Hussein. Ma Aziz non va ricordato come un fantoccio servile delle politiche di potenza che s’andavano disegnando tra il Tigri e l’Eufrate, portavoce ed esecutore di decisioni cui non dava alcun contributo; per quello che si sa di come andavano le cose all’interno del Consiglio del Comando Rivoluzionario baathista (il vero governo di Baghdad), lui ha avuto un ruolo autentico di consigliere affidabile del Raìss, pur in una gestione assolutamente monocratica del potere, tanto che un giorno Saddam tirò fuori una pistola e ammazzò un «ministro», lì, davanti agli occhi sgranati degli altri «ministri», e senza che nessuno osasse più che respirare muto, soltanto perché di quel disgraziato fatto fuori a bruciapelo s’erano detti sussurri di un qualche contrasto con le decisioni del gran capo.
Un cristiano tra i musulmani
Nella corte del Consiglio del Comando, a sedere accanto a Saddam c’erano quasi esclusivamente i suoi «parenti» di Tikrit, cugini e cognati e nipoti di quel polveroso angolo della Mesopotania che sta a Nord della capitale e dove festoni agghindati ricordavano lungo le strade quanto grande e magnifico fosse l’uomo che lì era nato. Aziz era invece uno dei pochi a non venire da Tikrit ma dalle lontane terre turbolente del Kurdistan, ed era comunque il solo a non essere musulmano: due condizioni che il Raìss aveva imparato presto a sfruttare a vantaggio della propria immagine pubblica, come sapiente compensazione della storia clanica del suo potere. Un potere certamente assoluto e dove, però, Aziz s’era trovato un comodo strapuntino, per quella sua singolare abilità di essere e mostrarsi diverso dallo stile cupo del saddamismo, e quindi di potersi servire credibilmente di questa sua diversità per ridurre in termini diplomatici e di apertura al dialogo tutte le ruvide formulazioni che Saddam dettava alla propria politica di potenza. Il progetto del Raìss era di fare dell’Iraq il nuovo gendarme del Golfo, una volta che Khomeini aveva scacciato da Teheran l’uomo degli americani, lo Shah Reza Pahlavi, e per quella sua ambizione aveva lanciato nell’80 l’invasione militare dell’Iran; il gioco poteva riuscire soltanto se Usa e Urss non fossero intervenuti a imbrogliare le carte: e toccò a Tareq Aziz convincere i due Grandi delle buone ragioni del suo capo, prima andando ripetutamente a Mosca a tener buono Breznev con colossali acquisti di armi d’ogni tipo e, poi, convincendo Washington a riprendere le relazioni diplomatiche con Baghdad (e a dare al Raìss assistenza militare e perfino i gas) perché fermare l’espansionismo khomeinista era vitale per difendere gli interessi dell’Occidente nel Golfo del petrolio.
Il tessitore di trame complesse
Non diverso fu poi il suo compito nelle altre due guerre del Golfo: in quella del ’90-91 fu in viaggio fino quasi all’attacco americano, tessendo e intrecciando fili d’una possibile soluzione diplomatica con Gorbaciov e con James Baker e, in un ultimo disperato tentativo, perfino con Giovanni Paolo II; e in quest’altra guerra, quella del 2003, dopo che la gestione trasversale d’una politica di appeasement tentata al tempo di Clinton era stata accantonata da Bush, si servì con ogni spregiudicatezza della manovra del oil-for-food per guadagnarsi alleanze che potessero frenare il piano ultimativo di Washington (ci finirono dentro, o comunque così parve, anche Chirac e Butros-Ghali, e anche Formigoni, e il capo degli ispettori dell’Onu, Ekeus: «Aziz arrivò a offrirmi 2 milioni di dollari, per aggiustare il mio Rapporto sulle armi di distruzione di massa»).
Di Tareq Aziz si è detto anche - dopo la fine della guerra - ch’era stato un informatore dei Servizi britannici; ma allo stesso modo, di Saddam s’era detto che è stato un agente della Cia. Se sia stato vero, bisogna ammettere che non pare avergli giovato, né all’uno né all’altro.