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 2010  ottobre 27 Mercoledì calendario

CONDANNATO A MORTE

ROMA - Condanna a morte per impiccagione. A 74 anni, l’uomo che tenne le relazioni con Washington durante il decennio di guerra Iran-Iraq, il vice di Saddam di casa nelle Cancellerie occidentali, e che nel 2003 rientrò dall’estero a Baghdad nonostante l’offerta di asilo di Chirac «perché il mio popolo sta per essere bombardato», è stato colpito dalla sentenza capitale. «Tareq Aziz è sotto uno shock violento», ha fatto sapere dalla Giordania uno dei suoi avvocati, mentre un altro, l’italiano Mario Lanna, accusa: «Se verrà eseguita la condanna a morte sarà per impedire che vengano dette verità scomode, come temono gli iracheni e gli americani».
La condanna infatti - subito giudicata «inaccettabile» dal capo della diplomazia dell’Ue Catherine Ashton e per l’Italia da Giorgio Napolitano e Franco Frattini che da Pechino hanno fatto sapere che sosterranno l’azione dell’Ue - non era attesa. Solo poche settimane prima Aziz, che pure nel 2009 era stato condannato a 15 anni per la vicenda dell’uccisione di 42 «bazarì», era stato assolto dalle accuse di «persecuzione religiosa» per la repressione che i baathisti compirono nel 1999 contro gli sciiti. La sentenza capitale è stata emessa ieri mattina dall’Alta Corte di Baghdad «per aver cercato di eliminare i partiti religiosi, in particolare sciiti, prima del 2003», ovvero prima della guerra in Iraq, al fine di instaurare il dominio assoluto del Baath, il partito di Saddam.
Ed è questo elemento, la contraddizione tra la recente assoluzione e la condanna a morte di ieri per aver preso parte a una campagna di repressione contro gli esponenti del partito Dawa, una forza sciita, che poi è il partito dell’attuale premier Nouri Al Maliki, a far dire al figlio di Tareq Aziz, Ziyad, che «si tratta di una vendetta per quanto avvenuto in passato nel Paese. Mio padre non ha nulla a che fare con l’attività repressiva svolta negli anni ‘80 nei confronti dei partiti religiosi. Lui, semmai, è stato vittima del partito sciita al-Dawa», e questo perché Aziz nel 1980 subì un attentato, rimanendo ferito, che fu attribuito proprio agli sciiti.
In un’intervista ad Al-Arabiya però Ziyad Aziz solleva un argomento assai più scottante: «La condanna a morte di mio padre conferma che i documenti pubblicati da Wikileaks dicono il vero su quanto avvenuto in Iraq negli ultimi anni». Come dire che la sentenza capitale è una vendetta sciita su un alto esponente del passato regime, come dire che i documenti dai dossier del Pentagono svelati da Julian Assange testimoniano le repressioni attuate dopo la fine dell’ultima guerra in Iraq dagli sciiti sulle altre minoranze religiose: sunniti, e cristiani. «Obama ha lasciato l’Iraq in balìa dei lupi» disse Tareq Aziz, che è un caldeo di rito nestoriano, nell’ultima intervista, l’agosto scorso al quotidiano inglese Guardian. E i lupi cui si riferiva avevano casa a Teheran, dove recentemente Al Maliki si è recato per chiedere consiglio ad Ahmadinejad sulla formazione del nuovo governo di Baghdad, un rompicapo che non si riesce a risolvere da mesi e mesi.
Fonti diplomatiche occidentali in Iraq danno della condanna di Tareq Aziz una lettura proprio in questa chiave: una reazione ai dossier di Wikileaks, una prova di forza di Al Maliki di certo non sgradita, forse persino suggerita da Teheran. Ma una prova di forza che rischia di destabilizzare ulteriormente l’Iraq. «Eravamo certi che questo atto violento non ci sarebbe stato, eravamo certi che Aziz sarebbe rimasto in carcere magari con condanne durissime, questa invece è una sentenza a freddo contro uno dei gruppi che esce sconfitto dalla guerra» dice Gianguido Folloni che, da sodale di Francesco Cossiga, provò a verificare la fattibilità della progettata visita di Papa Wojtyla a Baghdad, negli anni dell’embargo e dello spazio aereo chiuso dagli anglo-americani. Il «gruppo» di cui parla è quello cristiano: dalla Comunità di Sant’Egidio, vera e propria diplomazia parallela a quella italiana e vaticana, il portavoce Marazziti diceva che Tareq Aziz «è una figura drammatica che sconta le contraddizioni dell’Occidente che prima ha supportato il regime di Saddam e poi lo ha demonizzato». Roberto Formigoni, altro grande frequentatore dell’Iraq saddamita, incappato nell’affaire oil-for-food, esorta a «ribellarsi, Aziz ha sempre svolto un ruolo di pacificazione». Il Senato metterà ai voti una mozione contro la condanna, cui sta lavorando Emma Bonino. In Senato, da sempre, in favore di Tareq Aziz e contro la guerra in Iraq si è schierato Giulio Andreotti.