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 2010  ottobre 27 Mercoledì calendario

(TELE)CRONACHE AFGHANE

In Afghanistan non vedi le mamme. Non è la prima cosa che ti colpisce, perché l’occhio e l’emozione sono rapiti dalle divise, dalle armi, dal rumore, dalla sabbia soffiata perennemente dai venti caldi. Poi, dopo qualche giorno, te ne rendi conto. Le donne i Talebani hanno provato a cancellarle. Il burqa per non guardarle, la segregazione per non vederle. Non ci può essere futuro per un Paese che non ascolta le madri che piangono i loro figli, che cercano di proteggerli, per quanto è possibile, da malattie e mine. Spesso inutilmente visto che per mortalità infantile l’Afghanistan è secondo solo alla Sierra Leone.
Per chi come me arriva la prima volta, senza nessuna esperienza di guerra, l’impressione è quella di una realtà aspra, seccata da trent’anni di guerra.
A Herat, nella regione ovest controllata dai militari italiani, è secco il paesaggio, dominato da immense distese di pietra e sabbia. È secco il clima, insopportabile per il caldo, per l’assenza di umidità che ti disidrata, per il vento che ti spinge in gola la sabbia e i virus della dissenteria che porta.
SEMBRA IL FILM "DUNE"
Sono magre, secche anche le facce degli uomini cotti dal sole e dal lavoro, da una vita passata a guardarsi intorno per evitare pericoli. Dicono che sia un Paese bellissimo, con valli stupende e montagne altissime. Può essere, ma la regione che ho visitato io è più simile ai paesaggi del film Dune. Tutto sembra ostile. Il nemico non puoi riconoscerlo, perché può essere uno di quelli che incontri per strada, il clima è ostico, non ci sono strade asfaltate, il mondo rurale sembra fermo al 900 dopo Cristo, in pieno Medioevo. Ogni tanto sembra non esserci speranza. E invece no. La speranza me l’hanno regalata proprio i ragazzi che ho conosciuto lì. Due settimane con le nostre truppe ti fanno capire molte cose.
Sono partito per farmi sorprendere e senza un’idea precisa in testa. Sono tornato dopo aver visto che non tutti i nostri giovani amano bighellonare davanti alle discoteche o fare a botte negli stadi. Di quelli si parla di più, perché fanno più impressione di questi ventenni che hanno deciso di arruolarsi. Certo sono militari, per definizione educati professionalmente e inquadrati, ma non è questo che traspare dai loro discorsi. Sono professionisti seri, ben addestrati, che ci tengono a spiegare una cosa soprattutto: loro credono che si possa cambiare, che il mondo, anche da lì, si possa contribuire a migliorarlo.
NON SOLO BATTAGLIE
E’ bene pensarci. Ogni volta che parliamo dell’inutilità della missione schiaffeggiamo il loro impegno.
Non è solo battaglia il nostro lavoro in Afghanistan, c’è molto di più.
L’esercito italiano e le forze della cooperazione collaborano con le Ong per cercare di ricostruire il Paese. Perchè questa non è una guerra da vincere a tutti i costi. Conta di più dare una spiegazione concreta, migliorare le condizioni di vita, riaprire le scuole. Ed è bellissimo vedere centinaia di bambine che tutte insieme entrano in classe. Con i Talebani avrebbero rischiato l’arresto, era un altro di quei divieti assurdi che volevano cancellare dal mondo la presenza femminile. E la speranza che porta.
LA PRUDENZA E’ D’OBBLIGO
Certo, poi ci sono anche le armi. Servono a difendersi contro un pericolo che è sempre presente. Te lo dicono subito appena, novellino, metti piede in una base militare.
"Qui il pericolo più grande è che se non succede qualcosa per qualche giorno, ti possa sentire al sicuro e abbassare la guardia". E invece, quando esci insieme ai nostri ragazzi sui mezzi blindati, ti accorgi che bisogna andare piano, fermarsi a controllare gli scoli d’acqua, le buche dell’asfalto, pacchi sospetti.
Perchè ogni cosa può nascondere un Ied (ordigno esplosivo artigianale), ogni volta puoi saltare per aria.
Ho parlato con molti capi villaggio. Di che nazionalità siano i soldati a loro interessa poco, purchè li riparino dalle angherie dei Talebani, dei banditi e dei commercianti d’oppio che puntano al mantenimento dello status quo perchè con il caos proliferano.
Sono uomini antichi, ma con il cellulare in mano. Li guardi negli occhi e non lli capisci, perchè è difficilissimo rompere l’armatura di diffidenza che si sono creati.
RAGAZZE IN GRIGIOVERDE
E comunque anche loro spesso si barcamenano, un pò con noi, un pò con gli altri. A seconda di come convenga. E sono uomini. Ho incontrato solo uomini. Per fortuna nel nostro esercito ci sono diverse ragazze. Sono fondamentali perchè solo loro possono mettersi in relazione con le donne del posto. Le consigliano, le aiutano. Certe volte provano anche a proteggerele, magari consigliando lo Shelter: una struttura costruita ad Herat come rifugio per le donne che vengono maltrattate in famiglia. Che sono moltissime, perché anche se la parte più violenta dell’interpretazione talebana della Sharia (la legge musulmana) non è più applicata dall’attuale governo, i diritti femminili continuano a essere calpestati.
LE ANTICHE TRADIZIONI
Ho sentito storie di donne cedute come schiave alla suocera, gettate dai tetti delle case perchè, ripudiate, non servivano più. O prestate, violentate. Molte tentano la via del suicidio: si cospargono il burqa di benzina e si danno fuoco. Non sono casi isolati, sono decine e decine ogni anno.
Nel rispetto delle tradizioni del Paese è su questo che bisogna agire, come i nostri stanno provando a fare. Perchè se in Afghanistan ricompariranno le donne con in braccio i figli da savare, ricomparirà anche la speranza. Che per adesso è testimoniata da una bacheca al centro della base di Herat. L’unica cosa illuminata in pieno coprifuoco. L’immagine di una madonna. Una donna. Un raggio di speranza per questo sfortunato Paese.