Marco Dal Fior, Corriere della Sera 26/10/2010, 26 ottobre 2010
MANASSERO, IL RAGAZZO TUTTO GOLF, SPAGHETTI E TV
Appena arrivato a casa, a Verona, ha abbracciato mamma Francesca, disfatto le valigie e spento il cellulare. Poi si è accoccolato sul divano davanti alla tv. C’era il Milan, non poteva disertare. Matteo Manassero, il ragazzino che a 17 anni e 188 giorni ha vinto il suo primo titolo sul European Tour di golf, il giocatore più giovane ad aver mai centrato un obiettivo del genere, resta con i piedi per terra. Non cambia abitudini né amici: l’iPod con le canzoni di Ligabue, le spaghettate al rientro dalle trasferte («Niente sughi strampalati, meglio una bella pasta al pomodoro»), lo sport in tv («Soprattutto il calcio, ma anche il tennis non è male») e quello giocato («Non rinuncio mai a una partita con gli amici. Gioco in difesa, ho piedi scarsi, ma tanta grinta»), con le ragazze una pausa di riflessione, adesso che la storia con Anna, coetanea golfista di Treviso, si è arenata. Un ragazzo come quelli che affollano le scuole superiori. Quasi sorpreso di tanto interesse nei suoi confronti. Anche se, confessa, domenica sui green di Valencia ha vissuto una delle due giornate più belle della sua vita.
«L’altra è stata lo scorso anno all’Open, quando Tom Watson mi ha fatto i complimenti per il tredicesimo posto. Lì ho toccato il cielo con un dito».
Ma il suo idolo non era Ballesteros?
«È sempre lui. Ma non capita tutti i giorni che una leggenda del golf come Tom Watson si complimenti con te dopo 18 buche giocate da avversari».
È lì che ha capito che i sogni del piccolo Matteo — quello che a 3 anni sgambettava in campo pratica con i bastoni di plastica dietro a papà Roberto e in tv guardava le cassette di Costantino Rocca invece dei cartoni animati — stavano per realizzarsi?
«Il sogno era giocare sul tour. Alla vittoria non ci avevo pensato, non era il mio obiettivo. Il traguardo quest’anno era di piazzarmi nei primi 125 giocatori europei per ottenere il diritto di partecipare nella prossima stagione a quasi tutti i tornei. Adesso sono 49°, prenderò parte alla grande finale di Dubai e, ovviamente, sono felicissimo. Ma è stato abbastanza inaspettato».
Certo che adesso l’asticella si alza: quali sono i prossimi obiettivi?
«Giocare bene come sto facendo ora, regolare e costante, con grande fiducia nei miei mezzi. Poi è chiaro che mi piacerebbe entrare nei primi 50 al mondo, vincere almeno un Major e partecipare alla Ryder Cup. Ma questi sono i traguardi di ogni golfista. Gli obiettivi sono un’altra cosa».
Molti suoi navigati colleghi ricorrono allo psicologo per tenere a bada lo stress e mantenere quella fiducia di cui lei parlava. Lo fa anche lei?
«No, la fiducia non si inventa, arriva solo con i risultati. Bisogna lavorare sodo, affinare la tecnica, migliorare i punti deboli».
Anche Matteo Manassero ha punti deboli?
«Il putt. Quando arrivi in green e devi imbucare, ci sono giornate in cui tutto sembra facile, e altre nelle quali la buca pare stregata. In Spagna mi è andato tutto bene. In altre occasioni i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative. Per questo bisogna lavorare e migliorare, cercando di togliere ogni spazio al caso».
Anche a scuola? La quarta scientifico da privatista non deve essere una passeggiata per uno che spende buona parte delle sue giornate su un campo da golf.
«Continuo a studiare e per il momento non incontro grandi difficoltà a far andare d’accordo il Matteo allievo con il Matteo professionista. A fine anno ci saranno gli esami e probabilmente lì sarà un po’ più dura».
Come sul green con il putter in mano?
«A scuola è più semplice. Se hai fatto quello che dovevi, hai studiato e ripassato, l’esame lo passi di sicuro. Un colpo da golf è sempre più aleatorio: l’errore, l’imperfezione, il rimbalzo beffardo della pallina sono sempre dietro l’angolo. Che tu abbia fatto il tuo dovere o no».
Marco Dal Fior