ANDREA MALAGUTI, La Stampa 26/10/2010, pagina 37, 26 ottobre 2010
La Nuova Zelanda in corteo per l’Hobbit - Per chiarire che cosa significherebbe per il Paese perdere The Hobbit, prequel cinematografico del Signore degli Anelli - miniera d’oro che ha portato nelle casse della Warner Bros tre miliardi di dollari e ha fruttato altrettanto in dvd e merchandising negli ultimi dieci anni - il primo ministro neozelandese, John Key, un signore che non ha alcuna tendenza al melodramma, ha usato una parola sola: «Disastro»
La Nuova Zelanda in corteo per l’Hobbit - Per chiarire che cosa significherebbe per il Paese perdere The Hobbit, prequel cinematografico del Signore degli Anelli - miniera d’oro che ha portato nelle casse della Warner Bros tre miliardi di dollari e ha fruttato altrettanto in dvd e merchandising negli ultimi dieci anni - il primo ministro neozelandese, John Key, un signore che non ha alcuna tendenza al melodramma, ha usato una parola sola: «Disastro». Così, rinunciando a un po’ della propria dignità nel tentativo di convincere gli americani a non abbandonare Wellington per Londra, dove gli studi di Harry Potter hanno steso gli striscioni di benvenuto, ha convocato i vertici della major hollywoodiana. Ha respirato a fondo e con l’epressione contrita ha offerto loro tutto quello che un politico con le spalle al muro può mettere sul tavolo: agevolazioni fiscali superiori al 15% e una revisione dell’employment relations act - un accordo sindacale che tutela i lavoratori - con annessa la garanzia che mai più uno sciopero avrebbe messo a rischio le riprese di un film da 700 milioni di dollari. «Vi basta per restare con noi?». Quelli, col pelo sullo stomaco di chi non si accontenta di una stretta di mano, hanno risposto con ambiguità. «Vediamo». Mentre prendevano il via trattative che dureranno almeno due giorni, fuori dalle sue finestre e più in generale nelle strade tra Auckland e Matamata, dove una gigantesca statua di Gollum anticipa l’ingresso in città, tremila dipendenti dell’industria cinematografica locale, accompagnati da migliaia di operatori turistici e sostenuti dai diecimila messaggi di solidarietà raccolti dal sito «Keep The Hobbit shoot in NZ», sfilavano con cartelli imploranti: «Non metteteci in ginocchio, siamo noi la Terra di Mezzo». Key, consapevole del disagio nazionale, si è affacciato al balcone limitandosi a dire: «Ci stiamo provando. Abbiamo il 50 per cento di possibilità di farcela». Meglio di sabato scorso, quando le possibilità sembravano zero. A innescare la voglia di fuga della Warner Bros e di sir Peter Jackson, regista a produttore della saga, era stato uno sciopero, appoggiato per altro da sir Ian McKellan, interprete di Gandalf, proclamato dalla Actors’ Equity spalleggiata dai sindacati australiani. Un braccio di ferro iniziato al via delle riprese e dopo un primo investimento da cento milioni. Le comparse - migliaia - avevano incrociato le braccia. «Vogliamo paghe più alte e pause pranzo più lunghe». Legittimo. La Warner Bros, che ha programmato l’uscita della prima parte del film nel 2012 e la seconda nel 2013, ha risposto: «Benissimo. Delocalizziamo». In che senso scusate? «Nel senso che andiamo via». Panico e retromarcia. Sciopero revocato. Non è bastato. Sir Peter Jackson ha giurato paterno di aver sempre considerato il cast del film una grande famiglia. «I sindacati hanno cercato di strapparci il cuore, ma proveremo a restare perché qui è nato tutto». D’altra parte l’immaginario collettivo di milioni di amanti della saga è incardinato alle distese incantate di Wellington. Come reagisce il pubblico se cambi il cielo sotto cui ha sognato? Mentre Peter Jackson blandiva le folle, sua moglie, Fran Walsh, rilasciava un’intervista in cui sottolineava che «i Leavesden Film Studios inglesi sarebbero perfetti per gli obiettivi del progetto». Un grande romanzo, insomma, con l’incipit identico a quello del libro di John Ronald Reuel Tolkien. «In un buco della terra viveva uno hobbit». Favoloso. Ma dove è finito adesso quel buco? E Lothlorien, terra degli Elfi? E Mordor, montagna degli orchi e del signore del male Sauron? Nello sgradevole gioco del «mors tua vita mea» che solo il denaro è in grado di produrre, i giornali del Regno Unito spiegavano ieri trionfanti che salvo colpi di scena la nuova Contea degli Hobbit sarà a metà strada tra la M25 e Watford, tra le mura della ex fabbrica della Rolls Royce che ha ospitato la scuola di magia e di stregoneria di Hogwarts. D’altra parte Tolkien era inglese e anche l’attore Martin Freeman, idolo della serie televisiva The Office e interprete di Bilbo Baggins giovane, è nato in Gran Bretagna. «La Terra di Mezzo torna a casa». Forse. In punto di morte Thorin Scudodiquercia, Re sotto la montagna, in quella che sembra l’epigrafe perfetta di questo scontro tra gli infelici nani del pianeta cinema, sussurra a Bilbo Baggins. «In te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente cortese. Coraggio e saggezza in giusta misura mischiati. Se un numero maggiore di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d’oro, questo sarebbe un mondo più lieto». Saggio e inascoltato.