ENRICO MARTINET, La Stampa 26/10/2010, pagina 23, 26 ottobre 2010
La parete segreta del Rosa - L’alpinismo lontano degli 8.000, delle vette senza nome delle catene più alte della Terra, sembrava l’ultima frontiera possibile
La parete segreta del Rosa - L’alpinismo lontano degli 8.000, delle vette senza nome delle catene più alte della Terra, sembrava l’ultima frontiera possibile. Le Alpi erano relegate alle scalate ripetute, o a qualche variante fantasiosa. Ma è accaduto l’imprevedibile: la scoperta di un itinerario di quasi mille metri di parete vergine sul Monte Rosa da parte di tre alpinisti, Giovanni Pagnoncelli, di Premosello di Domodossola, Daniele Nardi di Sezze Romano in provincia di Latina e la guida alpina valdostana Ferdinando Rollando, di Ollomont. La «via» che non t’aspetti è un grande canale che regge il contrafforte nord orientale del massiccio di roccia e ghiaccio. Sale in vetta allo Jägerhorn, 3970 metri, dal tormentato ghiacciaio del Fillar. E così il mondo si capovolge: le Alpi più conosciute svelano i luoghi dell’avventura, dell’esplorazione, l’essenza dell’alpinismo. Il massiccio del Rosa fu scavalcato del XIII secolo dai Walser: un viaggio verso una «terra promessa» che trovarono sul versante meridionale di pascoli e campi. E alla fine del Settecento furono cacciatori e contrabbandieri a scoprire l’alpinismo utile. Quello «inutile» della scoperta cominciò poco dopo. Da allora sui versanti dei 34 chilometri di estensione del Rosa vennero aperte oltre 700 «vie». Ma una è rimasta fino ai nostri giorni: la Nord-Est dello Jägerhorn, il lato di una piramide imperfetta, schiacciata contro la cresta della Nordend, il Quattromila più a Nord del massiccio. Si vede da Macugnaga con grande evidenza: il paese Walser ai piedi della parete più himalayana delle Alpi, la Est. Parete di cui s’innamorò un alpinista solitario e bizzarro, un musicista-scrittore, Ettore Zapparoli, che dopo aver aperto «vie» ritenute allora impossibili, morì nel 1951 nella sua ultima impresa. A guardare lo Jägerhorn con l’idea di scovare un itinerario di salita è stato Giovanni Pagnoncelli mentre «andava su e giù con le piccozze sul ghiacciaio Belvedere», come ricorda la guida Rollando. E si è immaginato una goccia d’acqua che scendeva dalla vetta sul ghiacciaio di Fillar: «Una lacrima di ghiaccio da risalire». Tre giorni fa con i suoi due compagni era sulla cima dopo aver inseguito quella «lacrima» di 950 metri fatta di stretti canali di ghiaccio (90 gradi di pendenza), poderosi diedri verticali di roccia, ventagli di neve indurita dal vento e dal gelo tra i 60 e i 70 gradi. Dodici ore di salita che i tre hanno classificato TD+, cioè ancor più di molto difficile. E l’hanno chiamata «Direttissima». Non è un caso, è un richiamo all’alpinismo fra le due guerre mondiali quando i «re dell’arrampicata» cercano non soltanto le vie più logiche per salire sulle vette, ma quelle che non offrono scappatoie. Fu così che la storia alpinistica ebbe una grande evoluzione sia tecnica sia di pensiero. La Nord-Est del Jägerhorn non è una «via» limite. «E’ una grande classica - spiega Rollando - che non so come, né perché non è mai stata fatta. Almeno, così risulta dalle testimonianze locali e dalle relazioni in cui compaiono in libri quali “La guida dei monti d’Italia” edita dal Club alpino e dal Touring Club». Sembra un paradosso, ma i tre hanno fatto parlare della loro impresa per essere stati recuperati dall’elicottero del soccorso alpino di Macugnaga. Investiti da una corrente fredda (15 gradi sottozero) mentre salivano, si sono svegliati dopo una notte trascorsa vicino alla cima nel bivacco Città di Gallarate, con le dita dei piedi insensibili. E hanno pensato al peggio: principio di congelamento. Di qui la chiamata di soccorso. I medici hanno poi spiegato che si trattava di «nervi addormentati dal freddo», cioè una parestesia e non un congelamento. Nessun danno. La firma dei tre sulla parete è una vite da ghiaccio piantata nella parte centrale della Direttissima. Il commento dell’himalaysta Nardi: «Via meravigliosa».I tre «salitori» della Nord-Est della Jägerhorn non avevamo mai arrampicato insieme. L’ideatore della via è l’unico non professionista. Si chiama Giovanni Pagnoncelli, ha 35 anni, vive a Colloro, frazione di Premosello, vicino a Domodossola. Vende sci e attrezzatura di montagna per una grande azienda. Conosce il Rosa come le sue tasche. I professionisti sono Daniele Nardi, 34 anni, di Sezze Romano (Latina) e Ferdinando Rollando. Dopo aver salito alcuni Ottomila si sta dedicando alle grandi pareti inviolate di Himalaya e Karakorum. Rollando ha 48 anni, vive a Ollomont in Valle d’Aosta ai piedi del Grand Combin. E’ guida alpina. 4Hans Kammerlander, himalaysta in cerca di «vie nuove», sta girando la Germania con le foto delle sue imprese mentre ne prepara un’altra in Antartide. Qual è il senso di scovare pareti inviolate e aprire nuove vie? «Il senso stesso dell’alpinismo è fatto di esplorazione. All’inizio si cercavano le vie più evidenti, poi con i passi avanti della tecnica e grazie alla fantasia degli alpinisti si sono cercati pareti sempre più nascoste e difficili. La via mai salita è l’essenza dell’arrampicata». E come si affronta? «Con gli occhi. Guardi una montagna e individui l’tinerario, lo cerchi nelle fotografie, lo osservi con il binocolo. Non hai altro studio da fare perché lassù non c’è mai stato nessuno, quindi non ti resta che scegliere il materiale giusto, calcolare i tempi e provare». Vie che si possono ripetere? «Sì, certo, ma è un’altra cosa. Se ripeti, sai già che cosa ti aspetta: non esplori più, conosci il punto più difficile. Anche dal punto di vista psicologico affronti la parete con più sicurezza. A meno che non sia una via di grande pericolo, sotto frane o valanghe. Allora vale una volta sola, la prima, poi non ha senso rischiare la vita, meglio cercarne un’altra, quella è comunque nella storia». Si cercano vie nuove anche per la fama, no? «E’ fra le motivazioni, soprattutto di un professionista. Tuttavia non è la vera spinta. Lo fai perché sei così, un cercatore d’ignoto, lo fai per la vita e per la passione dell’alpinismo»./