Gianni Dragoni, Il Sole 24 Ore 26/10/2010, 26 ottobre 2010
IL VOLO DEI DRONI PER BATTERE I TAGLI
La pace è finita per l’industria della difesa. Tre anni di recessione e pressione sui bilanci pubblici hanno messo alla prova le spese militari in tutto il mondo, che ammontano a circa 1.500 miliardi di dollari nel 2009, secondo l’autorevole Sipri di Stoccolma.
Ad eccezione dei paesi emergenti, in particolare Brasile, India, Cina, che destinano alle armi risorse in crescita impetuosa, nel 2011 ci sarà una generale contrazione. Negli Stati Uniti, il principale mercato della difesa, ci sarà un incremento di circa il 2% al netto dell’inflazione, con un budget di circa 708 miliardi di dollari. Questa somma gigantesca comprende, oltre agli acquisti (il procurement) di armanenti, aerei, blindati, navi, anche i costi per il personale e per le sanguinose guerre in Afghanistan e Iraq.
Ma anche negli Usa ci sono avvisaglie di riduzione degli investimenti per gli anni successivi e di rinvio di nuovi programmi. Qualche effetto c’è già quest’anno.
Il Pentagono vuole risparmiare 100 miliardi di dollari l’anno negli investimenti, cioè gli acquisti dalle industrie fornitrici, entro 5-6 anni. «È improprio dire che gli Usa hanno fatto tagli per 100 miliardi. Vogliono ottimizzare la spesa, ridurre i costi dei programmi. Ma i fondi restano gli stessi e, con il denaro risparmiato, il governo vuol comprare più cose», puntualizza Pier Francesco Guarguaglini, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, che ha discusso la questione con Ashton Carter, il sottosegretario Usa responsabile del piano di risparmi.
Dopo le vacche grasse degli otto anni di presidenza di George W. Bush, per l’industria delle armi la festa non è finita. Ma il cliente che ha di fronte è meno generoso.
Come reagisce l’industria a uno scenario più competitivo? Negli Stati Uniti i grandi gruppi, rafforzati dalle fusioni che hanno concentrato in cinque fornitori quello che 16 anni fa era disperso in 30 differenti società, si stanno già muovendo. C’è chi punta a rafforzarsi, chi vorrebbe dimagrire.
Northrop Grumman, che partecipa con Lockheed alla costruzione del cacciabombardiere «Joint strike fighter» F-35, vuole vendere la cantieristica navale, che vale 6 miliardi di dollari di giro d’affari, perché prevede una maggiore crescita in altri comparti: velivoli senza pilota (Uav), elettronica, sicurezza informatica e cyberspazio, logistica. Boeing, numero uno mondiale dell’aerospazio, ha reagito offrendosi di comprare tutta la Northrop. Se avesse successo, Boeing scavalcherebbe Lockheed come principale appaltatore della difesa, con 66 miliardi di dollari di ricavi nel settore, su 100 complessivi.
A Boeing interessano i velivoli senza pilota, i droni che sono la frontiera più avanzata della tecnologia militare. Northrop produce il Global Hawk. Gli altri non stanno a guardare. Tra i possibili obiettivi di operazioni Europa-Usa c’è Bae Systems, britannica nella bandiera, ma americana per due terzi dei ricavi. Bae è considerata un potenziale bersaglio di Boeing o Lockheed. Anche General Dynamics e L-3 potrebbero entrare in questo pirotecnico rimescolamento di carte.
In Europa i tagli alla difesa sono cominciati dal bilancio più ricco, quello della Gran Bretagna, che vale 38 miliardi di sterline nel 2010, circa 60 miliardi in dollari. La revisione annunciata dal premier David Cameron è stata più lieve delle aspettative, un calo limitato all’8% in quattro anni, per l’intervento del segretario alla Difesa Usa, Robert Gates.
I tagli però ci sono. Londra ridurrà i nuovi caccia F-35 rispetto ai 138 previsti, eliminerà la tranche 3B dell’Eurofighter, radierà gli Harrier a decollo verticale. Il governo inglese ha affrontato anche il problema chiave in Europa, quello di avere troppi soldati. Nei prossimi quattro anni la Gran Bretagna ridurraà del 10% i militari, 17mila in meno sui 175mila delle tre armi. Il taglio dovrebbe arrivare a 42mila entro il 2020.
Un confronto con gli Stati Uniti, secondo i dati pubblicati nel sito dell’Agenzia europea della Difesa (Eda) riferiti al 2008, evidenzia che i 26 paesi europei dell’Agenzia hanno una spesa complessiva di 200 miliardi di euro all’anno, meno della metà rispetto ai 466 miliardi negli Usa. In Europa però il costo del personale assorbe il 53,1% delle risorse, contro il 19,9% oltre Atlantico. Questo comprime le risorse per investimenti, spese di esercizio e manutenzione.
In Italia il problema della riduzione dei 184mila militari viene continuamente rimandato. I tagli agli investimenti per il 2011 sono stati contenuti a 300 milioni (-5% circa su un bilancio di circa 4,5 miliardi) ma dal 2012 si profila il rinvio di nuovi programmi e un peggioramento della situazione. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha deciso il taglio dei 25 Eurofighter della tranche 3B e rinviato l’acquisto delle 4 Fremm mancanti per completare le dieci necessarie alla Marina.
La restrizione di fondi in Europa spinge gli stati a collaborare di più, anche se gli sforzi sono ancora insufficienti. Francia e Gran Bretagna stanno ragionando su un’ampia collaborazione nella difesa, che comprende le testate nucleari, due portaerei in condominio, interoperabili, cioè utilizzabili sia dai caccia francesi Rafale sia dagli F-35 destinati alla Raf, l’unione in pool degli aerei da trasporto A400M.
L’ipotesi di due portaerei in condominio è un esempio dell’asse franco-inglese che si va formando e che potrebbe essere suggellato nell’incontro tra Cameron e il presidente francese, Nicolas Sarkozy, il mese prossimo. «Qualunque sia la conclusione, è importante che il tema sia affrontato dalle due principali potenze militari europee perché è impensabile costruire un’Europa della difesa senza il loro impegno diretto», ha commentato Michele Nones, direttore dell’area sicurezza e difesa dello Iai, sul Corriere della sera.
«Penso che anche l’Italia si debba muovere a livello europeo – rileva Guarguaglini – in particolare con l’Inghilterra abbiamo attività e programmi comuni. Abbiamo l’Eurofighter che è importantissimo, l’elicotteristica con l’Eh101. Sotto questi prodotti c’è un ruolo importante di Finmeccanica, sia nella costruzione degli elicotteri sia nell’avionica». La maggior collaborazione italo-inglese potrebbe estendersi alla Francia. «Bisogna che sia a livello politico sia militare ci sia maggiore scambio d’informazioni – dice il presidente di Finmeccanica –. Per le fregate Orizzonte il progetto era nato a tre, poi gli inglesi si sono sfilati ed è diventato un programma italo-francese. Nei velivoli senza pilota Italia e Gran Bretagna possono fare cose insieme».
In questo settore le risorse però sono disperse in troppi progetti. Alenia partecipa al Neuron francese, capofila Dassault, ma in Europa ci sono tanti altri programmi Uav sui quali i tentativi di coordinamento sono falliti. «L’Italia – secondo Guarguaglini – non ha niente in contrario a una collaborazione a tre in questo e in altri settori».