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 2010  ottobre 26 Martedì calendario

LE COMICHE INIZIALI

Gianfranco Fini ha fatto il suo primo vero tour elettorale nel Nord Italia. E ha scoperto l’acqua calda: i suoi elettori sono cambiati. Non sono più di destra, ma di sinistra. Un po’ dipietristi, un po’ sinistri a tutto tondo. Non vanno ad ascoltare Fini per sentirgli raccontare il sostegno a Silvio Berlusconi e al suo governo. Anzi, basta una battuta lealista e piovono i primi fischi. Fini, che per una vita ha invidiato Umberto Bossi per la sua capacità di cogliere al volo umori e sentimenti della folla, non ha voluto essere da meno. Ha sentito l’aria che tirava e ha cominciato subito a bersagliare il vecchio alleato: «Il lodo Alfano? Così non va. Processo breve? Non se ne parla. Riforma della giustizia? Mi sa che qui faccio una bella crisi di governo».
Gianfranco si è lanciato a capofitto, grattando la pancia del pubblico. Un po’ avventato, perché il test era così minuscolo da non potere essere preso sul serio nemmeno dal sondaggista più sgarrupato.
Mattinata con un gruppo di studenti a Rovigo e intervista a una tv locale per assaporare gli umori del Nord Est. Pomeriggio a Milano. Prima qualche incontro privato: l’ex sindaco Gabriele Albertini, che non si è sbilanciato, e l’ex assessore Tiziana Maiolo pronta a fare armi e bagagli verso la nuova avventura. Poi l’incontro di cartello, quello con il pubblico. Le cronache hanno descritto una sorta di bagno di folla. Perfino all’Ansa è partita un po’ la mano: “Parte l’assalto alla città del predellino”. Con tanto di descrizione di folle oceaniche riunite al Teatro Derby vicino a piazza San Babila.
Un salotto per pochi intimi
Nelle stesse cronache si stila un lungo elenco di vip finiani in trasferta, con aggiunta di qualche consigliere comunale o municipale del luogo. In tutto un centinaio. Il resto era proprio folla inneggiante. Anche se si chiama Derby però il teatro è assai lontano dalla capienza dello stadio di San Siro. La capienza è di 445 posti, 306 in platea e 139 in galleria. Tolti i vip davvero pochini, inutili perfino per un sondaggio. Ma è l’unico mistero che resta sui Fini boys: il numero. Assai più chiari umori della pancia e desideri di vendetta. Sufficienti ad avere impressionato il nuovo leader e a determinare il tabellino di marcia del governo nelle prossime settimane.
Certo, dopo avere tuonato contro la “macchina del fango” che ha turbato la serenità dei Tullianos, dopo avere messo in prima fila a gridare “legalità” Fabio Granata, dopo avere fatto salire sul suo predellino tutti i falchi possibili umiliando le colombe del gruppo, dopo avere cavalcato l’anticlericalismo su tutti i temi etici, dopo avere rispolverato dall’archivio personale di Fausto Bertinotti come unica proposta di politica economica quella di tassare le rendite finanziarie, Fini si è risvegliato un mattino scoprendo che i suoi fans non sono più di centro-destra. Sono proprio di sinistra. Una sinistra variopinta: vendo liana sui temi etici, bertinottiana su quelli economici, dipietrista sulla legalità. Unita da un solo grido: «Tira giù Berlusconi».
Tra Zapatero e Robespierre
Sono i nuovi azionisti di Futuro e Libertà, e il leader non può non tenerne conto. Certo, fa una certa impressione questa trasformazione dell’ex fascista, dell’erede di Giorgio Almirante, in questo strano mix fra Zapatero, Robespierre e Che Guevara. Fatto sta che il cittadino e compagno Gianfranco Fini in questo nuovo abito non può più coabitare con Berlusconi. Perché la sua folla (fosse anche il drappello del teatro Derby) non vuole brioches per prendere tempo, ma la testa di Silvio sulla ghigliottina. È per questo che da qualche tempo i finiani non snocciolano più come fossero corone di un rosario le litanie sulla fedeltà al voto degli italiani del 2008.
Di quella fedeltà hanno ben compreso possono tranquillamente impipparsene. Chi ha creduto nel PdL in larga, larghissima parte, avrà pure da lamentarsi per gli scarsi successi di governo, ma
considera Fini ormai un avversario politico, e probabilmente passeranno anni prima che possa riconcedergli una chance.
Perfino fra i duri e puri che l’avrebbero seguito almeno per la nostalgia dei tempi che insieme furono, ha scottato non poco la piccolezza mostrata nella vicenda della casa di Montecarlo. A incitare Fini sono altri. Come tifo da stadio non sono sicuramente pochi. E pochi non sono in effetti quelli che vedono in Fini il boia ideale di Berlusconi.
Quanti resteranno con il killer?
Il dubbio è uno solo: una volta compiuto il delitto, quanti resteranno con lui? Domanda che un po’ euforici per il momento i nuovi colonnelli finiani non si pongono nemmeno. Sono convinti di avere una sorta di assicurazione sulla vita grazie a quella ghigliottina. Zac, giù la testa di Berlusconi. E loro in prima fila di un governo tecnico che da tempo pensavano con Giulio Tremonti alla guida. Ma dopo le intemerate di Report e di Milena Gabbanelli sul ministro dell’Economia, l’ipotesi è ormai da scartare. Più facile un esecutivo Zagrebelsky o giù di lì, spacciato come tecnico per fare la legge elettorale. E se anche questa ciambella non riuscisse con il buco, ecco già lì Italo Bocchino a profetizzare l’armata Brancaleone elettorale. Si scioglie prima? Bene, tutti insieme contro il nemico. Fini a braccetto con Vendola, Bersani e Di Pietro. E se non hanno voglia di scomparire nello scontro finale, anche Casini e Rutelli. Bocchino di solito le spara un po’ prima del dovuto, ma la breve storia dei finiani ha già mostrato che spesso ci azzecca. Preparate i colli per la ghigliottina. I boia stanno già scaldandosi le mani.