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 2010  ottobre 25 Lunedì calendario

LA SFIDA DI MONFERINO UN MANAGER STILE FIAT PER LA SANITÀ PIEMONTESE QUASI QUARANT’ANNI DI LAVORO IN GIRO PER IL MONDO A PRESIDIARE PEZZI STRATEGICI DELL’IMPERO DEL LINGOTTO E ADESSO IL SALTO NEL SETTORE PUBBLICO


Dalla Fiat di Sergio Marchionne alla Regione Piemonte di Roberto Cota. Dal privato al pubblico, passaggio ardito e inusuale le cui chiavi di lettura portano in direzioni diverse, compresa quella forse la più credibile della scelta personale di un manager che ha individuato nella difficile partita della sanità un modo per chiudere una lunga carriera. Fatto sta che Paolo Monferino, sessantaquattro anni a dicembre, ha deciso di lasciarsi alle spalle l’ultimo ruolo in casa Fiat, quello di amministratore delegato di Iveco, per andare a fare il direttore generale della sanità in Piemonte: dal sessanta al settanta per cento del bilancio regionale ma con tante trappole in un mondo non facile da tenere sotto controllo.
Poi c’è chi dice che ha giocato d’anticipo evitando la pensione dorata e meritata conseguente anche allo spin off cioè allo spacchettamento del Gruppo del Lingotto e alla nascita di Fiat Industrial in cui finirà la sua Iveco assieme a Cnh, altra società da lui "frequentata" nella sua lunga militanza sotto le bandiere del Lingotto. E c’è chi insinua maliziosamente che ha scelto di "mettersi in proprio" sottraendosi al ritmo massacrante imposto da Marchionne a botte di board convocati nei fine settimana e negli angoli opposti del globo, levatacce, ferie ridotte all’osso tra un volo aereo e l’altro. Né si può escludere l’ipotesi che gli sia stato prospettato un ruolo diverso da quelli da lui assolti in passato con in più l’additivo di poter incassare personalmente il successo (o di rischiare altrettanto personalmente l’insuccesso).
Qualcuno potrebbe trovarci anche la spiegazione della decisione di un novarese che sceglie un novarese. Perché Monferino è originario, come Cota, di quel Piemonte orientale che pende più dalla parte della Lombardia che da quella del Piemonte. La Lega al posto del Pd? Ma in questo Monferino non c’entra.
Il Monferino che emerge dagli archivi dei giornali è un manager che parla di trattori e di camion. Se ha delle simpatie politiche, e deve averle com’è giusto che sia, non le ha mai fatte trapelare, perché il ruolo non glielo imponeva e perché forse lui non ha mai pensato che fosse importante e utile farlo. La scelta stupisce anche per questo, per la contiguità con la politica che il presidente Cota ha provato a stemperare parlando di una "valutazione sulla base dei meriti" indiscutibili e comprovati dal curriculum dell’ingegner Monferino e della garanzia che trattandosi di un manager proveniente da un settore completamente diverso dalla sanità non avrà occasioni di favorire gli amici. E già questo sembra più difficile e non certo per la propensione dell’interessato a coltivare clientele di cui non saprebbe che farsene non dovendo riscuotere la contropartita politica o più esattamente partitica.
Paolo Monferino è un manager a tutto tondo, di quelli che difficilmente si possono immaginare in un altro ruolo. Alle spalle ha una carriera tutta targata Fiat: trentasette anni di servizio ininterrotto, sempre nello stesso gruppo industriale, perché il sapere e l’esperienza non si devono disperdere in migrazioni da una società all’altra ma si coltivano nel culto di una "monogamia" aziendale che è l’esatto opposto della mobilità innalzata al rango di eccellenza professionale a colpi di stock option. La Fiat è stata per quasi quattro decenni la sua "casa".
Non ha mai pensato di lasciarla, salvo quella volta che, in aperto conflitto con Giuseppe Morchio, il predecessore di Marchionne che provò a imporsi presidente della Fiat davanti al feretro di Umberto Agnelli, aveva deciso di mandarlo a quel paese e di andrsene sbattendo la porta. Ma poi ci ripensò perché ad uscire dalla Fiat fu Morchio. E non c’era più il problema di parlare e confrontarsi con un capo che lui non stimava.
Nato a Novara nel 1946, Monferino sta nello stereotipo del manager Fiat, di quello vecchia maniera capace però di adattarsi ai mutamenti e di passare attraverso le più svariate bufere aziendali fino a entrare nel gruppo ristretto dell’ultimo vertice del Lingotto, quello che con Marchionne ha portato l’azienda fuori dalla crisi. Laurea in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino e ingresso nel 1973 nella Fiat: si occupa inizialmente di progettazione e realizzazione di impianti siderurgici e poi di approvvigionamenti. E’ un trentacinquenne quando cominciano le sue peregrinazioni nell’universo internazionale del gruppo appena uscito dai turbolenti anni Settanta, la Fiat di Cesare Romiti.
Nel 1981 va alla guida della funzione Central Procurement di FiatAllis, società che ha sede a Chicago, Illinois, e che è nata dalla joint venture tra la Fiat e il gruppo americano Allis Chalmers. Di FiatAllis assume prima la responsabilità operativa della sussidiaria latinoamericana con sede in Brasile e poi dell’intera società. Nel 1987 diventa direttore generale di Fiat Agri, società per la costruzione di macchine agricole del gruppo Fiat. Quello delle macchine agricole è un mondo che padroneggia: e non è facile perché a livello internazionale incrocia spesso con problemi industriali e commerciali diversi, dalle Americhe alla Cina, passando per l’Europa. Quando nel 1991 la Fiat acquista l’americana New Holland e crea la Case New Holland, viene nominato executive vice president della nuova società e dalla sede di Londra pilota strategie e sviluppo aziendale.
Nella Fiat della seconda metà degli anni Novanta, quella di Paolo Fresco e Paolo Cantarella, Monferino approda ai vertici con responsabilità sempre più importanti come quelle di vicepresidente esecutivo del Gruppo per la componentistica e le attività diversificate che vogliono dire Magneti Marelli, Teksid, Comau Pico, Fiat Avio, Fiat Ferroviaria, Centro ricerche Fiat e Fiat Engineering. Nel 2000 torna a Chicago, ancora alle macchine agricole come chief executive della Case New Holland. Poi il cambio di rotta e la nuova passione, questa volta per i camion, al vertice dell’Iveco. E’ il 2005 e la Fiat è entrata da poco nell’era Marchionne. I camion sono il terzo braccio della corporate del Lingotto dopo l’auto e le macchine agricole e per costruzioni.
I diversi rimpasti della squadra di Marchionne non lo toccano. Governa indisturbato in Lungostura Lazio sull’impero dei camion e produce risultati. Conosce il mestiere e rispetta le regole, in questo più sabaudo torinese che novarese. E torinese è anche nelle abitudini: apprezza con sobrietà la cucina e i vini piemontesi. Quando deve scegliersi un hobby non si allontana né da Torino né dalla casa madre: nel suo garage ci sono una Lancia Delta serie speciale, una Ferrari e qualche altro pezzo di pregio.
In sintonia con questa passione ha partecipato a qualche Millemiglia. Sposato e padre di due figli, non fa vita mondana, non frequenta salotti. Del resto, con la vita che ha sinora fatto in giro per il mondo, non gli sarebbe stato facile.
Dal mondo a Torino. Curiosa svolta la sua. Alla soglia della pensione non aspetta la medaglia di uno o più posti in consigli di amministrazione, che sicuramente gli verrà conferita e in parte è già avvenuto, ma scarta e gioca una carta a sorpresa, andando a esplorare un mondo sinora a lui sconosciuto. A Marchionne ha lasciato i risultati di un 2010 che, dopo il terribile tonfo della crisi, hanno visto la sua Iveco tributaria, assieme a CNH, dei conti del terzo trimestre 2010, che l’ad del Lingotto ha definito eccellenti anche grazie a Iveco.
Non ha aspettato che la nascita di Fiat Industrial lo portasse verso la deriva della pensione e si è "inventato" manager pubblico. Dopo la lunga esperienza in Fiat non dovrebbe essergli difficile governare la sanità regionale. E’ passato in situazioni più complicate e ha messo assieme bilanci più corposi e impegnativi di quello che dovrà far quadrare adesso. Ma la navigazione nel mare del settore pubblico è sempre una scommessa.