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 2010  ottobre 25 Lunedì calendario

NEW YORK, LA ROCCAFORTE PROGRESSISTA SEDOTTA DALLE SIRENE DEL TEA PARTY

Saint Vincent, l´unico ospedale nel West Side di Manhattan sotto la 59esima strada, curava in media 50.000 pazienti all´anno da 160 anni. Nella sua lunga storia i reparti del Saint Vincent ospitarono i naufraghi sopravvissuti al disastro del Titanic, i primi malati di Aids, alcune vittime dell´11 settembre. Da pochi mesi l´ospedale non c´è più: un miliardo di debiti, chiuso per bancarotta. Ha licenziato 3.500 dipendenti, e lasciato duecentomila abitanti di Manhattan privi di un presidio sanitario nel loro quartiere. Potrebbe essere il primo di una serie.
Il Saint Vincent è stato definito "la Lehman Brothers" della sanità: un crac che ne preannuncia altri, malgrado la riforma sanitaria di Barack Obama. Ma di questa vicenda così grave per il benessere dei newyorchesi non v´è traccia nei dibattiti pre-elettorali tra i candidati di questa città. Nei comizi e negli spot pubblicitari dei politici in tv è impossibile trovare cenni anche a un altro problema, evocato da Thomas Friedman sul New York Times: «Dove sono finiti i grandi progetti di infrastrutture per uscire dalla crisi, il New Deal di Obama? Dov´è l´alta velocità? Quei soldi sono serviti a rifare l´impianto d´illuminazione della stazione ferroviaria di New York: così possiamo vedere meglio lo sfascio e la decrepitudine dei nostri treni».
È forte la disillusione, a otto giorni dalle elezioni legislative di mid-term. Al partito democratico il voto costerà quasi sicuramente la maggioranza alla Camera, e può spostare a destra anche il Senato. Perfino qui a New York, il maxi-Stato che assieme alla California diede la più ampia maggioranza a Obama nel 2008 (il 60%), stavolta i democratici sono in difficoltà. Su 29 collegi di deputati che sono in palio il 2 novembre in questo Stato, ben sette potrebbero scivolare in mano ai repubblicani. Roccaforte progressista, New York non è affatto al riparo dall´ondata dell´anti-politica che in tutta l´America ha la sua punta avanzata nel Tea Party. «Per noi democratici - dice il candidato vicegovernatore Robert Duffy, in corsa insieme ad Andrew Cuomo - è essenziale convincere i nostri a uscire di casa il 2 novembre». Gli altri, la destra, non avranno questo problema. Certo una ragione è la disparità di mezzi finanziari: da quando a gennaio la Corte suprema ha tolto ogni limite ai finanziamenti privati delle campagne elettorali, i poteri forti della grande industria e di Wall Street inondano di denaro i candidati repubblicani. Ma i soldi non spiegano tutto. Alla povertà di mezzi i democratici ne aggiungono una che si sono fabbricati in casa: la povertà di idee, di spinte al cambiamento, di ricambio nel personale politico. «La più brutta e stupida campagna elettorale nella storia di questo Stato», la definisce il columnist politico del New York Magazine, Chris Smith.
Il decadimento del partito di Obama in questa città è ben rappresentato, paradossalmente, da uno dei pochi candidati sicuri di vincere. È Charles Rangel, deputato di lungo corso, notabile della sinistra afroamericana. Pluri-inquisito, accusato di corruzione, nepotismo, frodi di ogni genere, Rangel non corre rischi il 2 novembre. Il suo metodo collaudato, che consiste nel distribuire favori clientelari ai vari clan democratici di Harlem, gli consentirà di salvare il seggio anche stavolta. Il vecchio Rangel è talmente inattaccabile che i repubblicani hanno candidato contro di lui un novellino: Michel Faulkner, 53 anni, ex campione di football che oggi fa il pastore protestante. Lui confessa: «Mi accontenterò di un piazzamento onorevole, proprio come il 7 novembre quando correrò la maratona di New York». I capi del partito democratico sono riusciti a fissare al 15 novembre, due settimane dopo il voto, il dibattito alla Camera sui 13 capi d´accusa della giustizia federale contro Rangel. Queste furbizie possono salvare un seggio prezioso, ma si riflettono negativamente sull´immagine del partito di Obama negli altri collegi di New York e d´America.
Così s´infiltra anche qui la rabbia del Tea Party. Che potrebbe regalare alla destra un altro collegio newyorchese controllato dai democratici: il 13esimo distretto congressuale, che include Staten Island e un pezzo di Brooklyn. Qui l´uomo nuovo è il repubblicano Michael Grimm. 40 anni, ex marine decorato al valore per le sue gesta nella prima guerra del Golfo, poi agente dell´Fbi. Ascoltare Grimm, non a caso esaltato dalla zarina del Tea Party Sarah Palin, rivela gli umori che si agitano nella pancia di una middle class furibonda. «Non sono mai stato in politica - dice Grimm - e non mi vergogno di dire che mi ha sempre fatto schifo. Sono stufo dei politici di carriera. Ho deciso di scendere in campo quando ho visto che Obama cerca di imporci il socialismo europeo, e Nancy Pelosi che demonizza Wall Street. Allora ho detto: basta, questa non è l´America per la quale io ho rischiato la vita in guerra». Grimm sta conquistando consensi insperati tra lavoratori e ceti medio-bassi, in un collegio dove il suo rivale democratico Michael MacMahon vinse col 61% nel 2008.
«Se il mio avversario dice nei comizi che io non ho le p…., che cosa rispondo, che lui è un buco di c….?». Questo sfogo sboccato di Andrew Cuomo, candidato democratico all´elezione di governatore di New York, la dice lunga sul livello del confronto. Cuomo dovrebbe farcela il 2 novembre, anche se un recente sondaggio della Quinnipiac University ha ridotto il suo vantaggio da venti a sei punti percentuali. In questa battaglia tutta giocata fra italoamericani, Cuomo ha la fortuna di essersi trovato contro un avversario più che modesto. Carl Paladino fa notizia soprattutto per gli insulti, l´omofobia, la minaccia di usare violenza fisica contro gli avversari, la passione per i siti porno più estremi («accoppiamenti tra donne e cavalli», secondo la denuncia di un suo collaboratore). È un groviglio di contraddizioni: critica la spesa facile dei politici ma la sua società immobiliare si è procurata generose esenzioni fiscali. Non ha alcun senso della misura: «La riforma sanitaria di Obama - dice - è un assalto alla Costituzione più grave dell´attacco alle Torri gemelle». Insomma un candidato ideale per Cuomo, rampollo di una dinastia politica che ha studiato fin da bambino tutti i meccanismi di una campagna elettorale. Anche troppo: Cuomo ha passato le ultime settimane a collezionare appoggi tra i sindacati dei dipendenti statali e tutti i notabili della politica incluso il "sindaco storico" Edward Koch. Anche lui, pur sicuro di vincere, contribuisce a rafforzare l´equazione del Tea Party: «partito democratico uguale élite, establishment». Eppure Cuomo ammette che «New York rischia la bancarotta, come negli anni Settanta, e si salverà solo con una mobilitazione eccezionale di energie e di sacrifici». Una tale emergenza richiederà uno scatto d´innovazione, non solo la furbizia del politico di mestiere che esaspera il popolo di destra.