JUAN CRUZ, la Repubblica 25/10/2010, 25 ottobre 2010
DALLA FAMIGLIA AI LIBRI, RITRATTO PRIVATO DI MARIO VARGAS LLOSA NELL´APPARTAMENTO DI NEW YORK: "È QUI CHE NASCE LA MIA LETTERATURA"
Questa è la storia di un ventennio, quello che va dal fallimento della sua carriera politica in Perù al successo del premio Nobel. È la storia di un uomo che si è sentito "abbandonato" dal suo popolo, cui ha dedicato il sacrificio di abbandonare la letteratura. È la storia di come un fallimento lo ha trasformato in un altro uomo. La scrittura è stata la sua rivincita sulla vita. La sua vendetta. Ed è la storia di come Mario Vargas Llosa e i suoi figli, nella loro residenza di New York, mettono a nudo i propri sentimenti nelle 48 ore successive alla conquista del massimo riconoscimento letterario del mondo.
Il giorno in cui ha vinto il Nobel per la Letteratura, qualcuno ha portato a Mario Vargas Llosa, a New York, dei dolci di Arequipa (Perù), dei guargüeros.
Era felice, era un premio per il Nobel. I guargüeros sono una sorta di cannoli ripieni; hanno l´aspetto di alcuni dolci italiani e sanno di dulce de leche. In quel sapore c´è la sua infanzia, Arequipa tutta intera.
Nell´ambiente bianchiccio dell´appartamento affittato in uno degli edifici più alti di Columbus Circus (New York), l´autore de Il pesce nell´acqua sembrava, in effetti, un pesce nell´acqua. In paradiso. Come da bambino, vezzeggiato, festeggiato. La sua infanzia finì quando aveva 11 anni e il padre, che credeva morto, rientrò nella sua vita. Molti anni dopo, quei dolci e il Nobel lo portano a quel paradiso perduto quando stava per solcare la soglia dell´adolescenza. Quei dolcetti, simili a quelli che gli faceva sua nonna, lo riportano oggi all´infanzia ormai lontana.
O forse non tanto lontana. Il Nobel, che ha 74 anni, conserva quegli anni incrostati nella memoria come il tempo in cui dovette abituarsi quasi a tutto. Fu allora che scoprì l´amore soffocante per sua madre, assimilò che non aveva un padre, che stava in cielo o non era mai esistito, e scoprì la letteratura in due libri che circolavano nella grande casa dell´enorme famiglia in cui crebbe.
In quel libro, Il pesce nell´acqua, si racconta la storia senza la quale è improbabile che uno possa farsi un´idea esatta di chi sia davvero quest´uomo che molti amano e altri crocifiggono.
Quelli che lo crocifiggono credono che sia un reazionario che cambiò rotta e tradì le idee di sinistra degli anni Sessanta in cui ogni rivoluzione trovava il suo posto; quelli che continuano ad amarlo, o già lo amavano negli anni Sessanta e hanno compreso la sua evoluzione, o semplicemente lo hanno letto e sanno che su questa letteratura ora confermata dal Nobel non valgono i luoghi comuni mescolati con le ideologie.
Gli svedesi dell´Accademia, che sembrava non volessero accettare il fatto che Vargas Llosa è uno dei grandi scrittori mondiali, finalmente gli hanno concesso il Nobel e sono anche stati molto espliciti sulle ragioni per cui se lo è meritato: per essere stato capace di raccontare la cartografia (questo hanno detto, cartografia) del potere per mostrarne le miserie e anche per esprimere la lotta, la rivolta dell´uomo per la libertà.
La parola cartografia ha divertito molto Vargas Llosa, ma il resto degli argomenti lo ha veramente emozionato. Ha commentato, davanti a un gruppo di amici riuniti in un chiassoso ristorante italiano di New York: «Che diranno i miei critici!». Rimarranno ammutoliti. «Macché! Chi è rimasto ammutolito sono io».
Non è muto, no di certo; si è risvegliato da quei quattordici minuti di incertezza. Credeva che fosse uno scherzo, come quello che fecero molti anni fa ad Alberto Moravia, ma quattordici minuti dopo gli giunge la conferma: è premio Nobel per la Letteratura del 2010. Sua figlia Morgana, 36 anni, fotografa, ha vissuto l´evento a Lima, con le due figlie e il marito, Stefan; suo figlio, Gonzalo, 43 anni, diplomatico, funzionario internazionale inviato ora dall´ACNUR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) a Santo Domingo, lo ha vissuto in viaggio verso Haiti, e Álvaro, il giornalista, 44 anni, ha sentito la notizia «stupefatto, paralizzato e poi felice» nella casa di Washington dove abita con sua moglie Susana e i suoi tre figli. (...)
«È strano», diceva Álvaro, e lo diceva anche l´interessato stesso, Mario Vargas Llosa, «molta gente è d´accordo nel dire che sono passati vent´anni da quando mio padre si è meritato il Nobel. Vent´anni». Forse, ha concesso il figlio maggiore, perché a quel tempo Mario ebbe la sua grande sconfitta politica e da allora in poi fu solo uno scrittore. La sua opera fino ad allora, indubbiamente, meritava già il riconoscimento, commentiamo noi. «Sì, ma se fosse diventato presidente», aggiunge Álvaro Vargas Llosa, «mio padre non avrebbe mai ottenuto il Nobel».
Quindi, è vero che Dio andò a fargli visita quando avvenne quella sconfitta. Sì, questa è l´opinione di Morgana. Ed è l´opinione di tutta la famiglia, che d´altra parte si coinvolse moltissimo in quella campagna elettorale che tante gioie e dolori diede ai Vargas, e perfino a Mario, che a volte sembra immune alla natura dei disastri.
Ma quella volta, quando perse le elezioni contro un candidato, Alberto Fujimori, che poi avrebbe sovvertito l´ordine democratico, insanguinato il paese, rubato, eccetera, Vargas Llosa cadde vittima di un decadimento di cui fummo testimoni. Arrivò a Parigi, poco dopo il disastro; era dimagrito di circa venti chili, la sua magrezza era la magrezza degli sconfitti. Suo figlio Álvaro, che seguì la campagna sempre accanto a lui, ricorda quel momento come un istante di stupore. Vargas Llosa, l´attuale Nobel, poteva finire su un piatto o l´altro della bilancia; il suo equilibrio, tuttavia, lo aiutò a superare il primo ostacolo veramente serio della sua traiettoria. Quello del padre (che lo mise in un collegio militare, che considerava «roba da effeminati» la sua passione per la scrittura, il suo carattere dittatoriale) era già stato deglutito dalla memoria. Ma questo era nuovo; perdere così, ricorda Álvaro, fu una tragedia.
Come sempre, anche di fronte al disprezzo del padre, che era un disprezzo del destino, Mario Vargas Llosa, dice suo figlio, «lo salvò la letteratura». Durante la campagna, leggeva «Quevedo e Góngora, ogni mattina», e poi usciva a fare comizi, «a promettere un Perù migliore per i suoi cittadini». Quando perse, «si ritenne tradito da un popolo al quale aveva dedicato il sacrificio di abbandonare la letteratura», e quella delusione gli fece male. Finché non si rialzò di nuovo. Dice Álvaro: «Credo che scrivere quel libro, Il pesce nell´acqua, lo abbia salvato. Lui era solito conservare le sue esperienze per un certo tempo, come in La città e i cani, Conversazione nella "Catedral" o La casa verde; le deglutiva, e poi sono lì presenti, molti dei viaggi e delle esperienze delle sue storie sono i suoi stessi viaggi o le sue esperienze».
Ma questa volta, ammette Álvaro, «mio padre decise di prendere la strada di mezzo e scrivere quelle memorie, da una parte la memoria politica, dall´altra la memoria dell´infanzia. Due storie, due momenti di grande felicità e poi di grande fallimento. Ne ebbe il coraggio». Ne uscì "un altro uomo". Lo dice anche il padre. Seduto in uno dei suoi ristoranti preferiti di New York, dove non ci sono guargüeros ma hamburger, Mario Vargas Llosa ricorda quella frustrazione che, vent´anni dopo, non gli oscura più il volto, un volto felice per la recente conquista del Nobel.
«Lavorai molto», dice Mario, «per un progetto che mi sembrava buono. E la sconfitta fu una grande delusione». Ma tornò alle sue cose, «a ciò che mi stimolava di più». Scrisse Il pesce nell´acqua: «Perché volevo togliermi di dosso quell´esperienza». «Uno scrittore ha il vantaggio di poter trasformare un fallimento in materia letteraria, e questo è un sollievo. La scrittura è una vendetta, una rivincita sulla vita».
Tornò, dunque, «alla solita routine», e prese un ritmo inarrestabile. In questi vent´anni, quelli che vanno dal fallimento al successo (i due impostori di cui parla Rudyard Kipling, Nobel anche lui, nella sua poesia If), ha scritto romanzi allegri, romanzi tristi, ha scritto saggi letterari e politici, ha fatto giornalismo, viaggi, ha tenuto conferenze, si è cacciato in pasticci monumentali (come quando fece arrabbiare il suo amico Octavio Paz, definendo il Messico del PRI una dittatura perfetta), ha affrontato il luogo comune del suo conservatorismo (ripetuto soprattutto, come nel noto aneddoto, da quelli che con i suoi libri fanno come Sofia Mazagatos [ex Miss Spagna]: non li leggono, ma li giudicano) e, in definitiva, ha vissuto gli alti e bassi di qualsiasi esistenza «con l´entusiasmo e la gioia di chi sa che la vita merita di essere vissuta».
Per fare tutto questo è stato necessario «mantenersi in forma, viaggiare, in Palestina, Iraq, Afghanistan, sono dovuto andare in Congo, nel Rio delle Amazzoni, nel Pacifico alla ricerca di Gauguin. La verità è che non sono mai stato fermo. E non ho intenzione di fermarmi», dice Mario Vargas Llosa, «finché avrò entusiasmo e curiosità e mi funzionerà la testa, che per ora credo continui a funzionare. La vecchiaia non mi spaventa finché potrò continuare a viaggiare. Mi avvicino alla morte senza pensarci, senza temerla. Finché lavoro, mi sento invulnerabile». (...)
I tempi sono cambiati; quel 1990 della sconfitta ha lasciato il posto a questo nuovo momento della vita. Ma un po´ di rancore, qualche regolamento di conti sarà rimasto in un angolo, gli ho chiesto in quel ristorante tipicamente americano dove mangia un tipico hamburger, a mezzogiorno. Non sente come l´espressione di una sua vendetta il fatto che Fujimori sia in prigione?
No, niente affatto. «Non fu Fujimori a sconfiggermi, ma la maggioranza degli elettori peruviani. Non l´ho mai attaccato finché ha mantenuto la democrazia ma, evidentemente, ha rotto le regole del sistema grazie al quale era andato al potere e ora sconta la pena per i reati che ha commesso. Non ho mai avuto la tentazione di augurargli una fine del genere, né fa parte del mio carattere il regolamento di conti. Sono molto soddisfatto, comunque, della giusta condanna».
In questo tempo, in questi vent´anni che attraversano la sua vita dal fallimento al trionfo, ha scritto romanzi in cui il sesso si alterna all´avventura e altri, come La festa del caprone, o l´ultimo, El sueño del celta, in cui si avventura per i sentieri della cattiveria, e anche se vi interviene come colui che racconta, il narratore che esplora la strada per presentare la storia come se usasse uno specchio, è evidente che vuole trasferirvi l´impegno morale che c´è dietro a tutta la sua opera di questa natura. «La descrizione della cattiveria», dice, «obbliga a una presa di coscienza morale. Se non fermiamo in tempo la capacità di distruzione dell´essere umano, il risultato è l´orrore; è avvenuto in passato e oggi la democrazia frena quell´orrore. È per me un tema ossessivo negli ultimi anni. Ed è un tema ricorrente; c´è in Congo, in quest´ultimo romanzo, c´è in Amazzonia, ne La guerra della fine del mondo, c´è nella follia terrorista de Il caporale Lituma sulle Ande e c´è, indubbiamente, nei due romanzi che dicevi. Ma c´è anche nel mio giornalismo; guarda quello che ho fatto in Iraq, in Palestina, in Afghanistan».
L´inferno in ogni angolo. E il paradiso? Ha ritrovato, Mario, il paradiso? L´autore de Il paradiso è altrove, il romanzo in cui Gauguin si rigira come un incubo a volte piacevole, è consapevole che quel paradiso in cui era vezzeggiato, amato, viziato da tutta la famiglia, «finché arrivò suo padre», non tornerà mai più. «Non c´è quel paradiso nella vita reale». Ma averlo perso «non dovette essere nemmeno una tragedia». «Grazie a questo», prosegue, «grazie al fatto che mio padre mi mise in un collegio militare, grazie al fatto che mi impedì, a volte con accanimento, di essere uno scrittore, ho avuto un´esperienza che mi ha dato l´opportunità di scrivere con un grande materiale letterario. Se non fosse successo, probabilmente non sarei stato uno scrittore. Sì, scrivere è un piacere, ti permette di uscire da qualsiasi circostanza terribile, ti porta a difenderti da qualsiasi avversità. In questo senso scrivere "è il mio paradiso"».
E il paradiso è la famiglia. Ho chiesto a Morgana Vargas Llosa che significato ha per il padre la figura di Patricia, la madre. «È la compagna inseparabile senza la quale mio padre non sarebbe nulla». Dice Morgana che suo padre non sa il numero di telefono di casa, non sa nemmeno il suo indirizzo, non è capace di cambiare una lampadina, ignora totalmente come si fa partire una lavatrice e non ha mai fritto un uovo. (...)
Poco dopo ho afferrato al volo quello che Mario diceva a dei giornalisti francesi: «Non conosco il mio indirizzo e-mail, non rispondo mai al telefono quando suona, non so usare un cellulare. E ricordo solo il primo numero che avemmo quando ci sposammo, 45 anni fa: 46 40 60».
Come non presentare, in questa sfilza di visioni familiari del Nobel Vargas, Carmen Balcells, la matriarca di diverse generazioni di autori e in modo particolare la matriarca di Mario. Una volta, Carmen Balcells lo sollevò dalla sedia dei sui lavori forzati a Londra e lo mise a scrivere. Lo fece sedere, per così dire, in paradiso. Quel paradiso ebbe un´interruzione che avrebbe potuto essere eterna, quando fu troppo sedotto dalla politica. Da quel fallimento, si rialzò un uomo diverso. I figli pensano che quel pezzo di paradiso nel quale ora abita con il trofeo del Nobel per la Letteratura non sarebbe stato possibile se Patricia non ci fosse stata, permettendo ai sogni dello scrittore di trasformarsi nella scrittura insistente che ora la Svezia gli premia.
Il sabato successivo alla concessione del Nobel, Vargas ha detto alla sua agente, Carmen Balcells, alla radio peruviana: «Come hai fatto a sedurre i venti giurati dell´Accademia svedese!». Con lo stesso umorismo, la matriarca degli autori del boom (García Márquez, Donoso, Carlos Fuentes, Vargas Llosa, Cortázar) ha esclamato: «Ho le mie risorse!».
Sanno entrambi che non è vero. La chiave di questo paradiso ce l´ha il genio che Carmen seppe intravedere e di cui Patricia si è presa cura come ci si prende cura di un figlio, di un nipote, di un marito o di un sogno. Come la nonna si prendeva cura della ricetta dei guargüeros, l´indimenticabile sapore del paradiso.
© El País / El País semanal
(Traduzione di Luis E. Moriones)