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 2010  ottobre 25 Lunedì calendario

Quegli intrecci tra mafia e Pd che Santoro & C. non raccontano- Le collusioni mafiose e il malaffare politico in Sicilia non incuriosiscono mai gli an­tiberlusconiani in servizio permanente effettivo quando c’è da dibattere su determina­te responsabilità penali e/o morali di personaggi del cen­trosinistra

Quegli intrecci tra mafia e Pd che Santoro & C. non raccontano- Le collusioni mafiose e il malaffare politico in Sicilia non incuriosiscono mai gli an­tiberlusconiani in servizio permanente effettivo quando c’è da dibattere su determina­te responsabilità penali e/o morali di personaggi del cen­trosinistra. A Report come ad Annozero , da Fazio o sul diva­no della Dandini, ossessiona­ti come sono da San Ciancimi­no jr e da tutto ciò che porta sempre e comunque a Manga­no e Dell’Utri (stranamente non più al governatore Lom­bardo che ora strizza l’occhio al Pd), difficilmente trovano spazio storie come quelle che raccontiamo oggi prendendo spunto dall’ennesimo j’accu­se l­anciato da un antiberlusco­niano doc come Giuseppe Ar­none, storico dirigente di Le­gambiente, politico di spicco del partito democratico agri­gentino. Da alcune settimane l’esponente «verde» del Pd ha dichiarato guerra all’unico candidato locale alla segreta­ria provinciale piddino, Emi­lio Messana, espressione del deputato Pd Angelo Capodi­casa, colui che, secondo Arno­ne, ha impedito che ci fosse «una barriera all’infiltrazione mafiosa e ai comportamenti mafiosi o para-mafiosi» den­tro il partito agrigentino. E l’ha dichiarata anche perché due dei più stretti collaborato­ri di Messana sono stati con­dannati per falso in atto pub­blico per aver falsificato delle firme nelle ultime elezioni re­gionali. L’esponente «verde» del Pd sottolinea come uno dei due condannati ha dichiarato che fu proprio Messana ad avalla­re l’operazione. Tutto ciò, at­tacca Arnone, non ha impedi­to al segretario regionale Giu­seppe Lupo, di appoggiare la candidatura di Messana. Non solo. Secondo Arnone è stato proprio Lupo a convincere gli scettici a cambiare idea. E fra questi si annoverano uomini della corrente dell’ex presi­dente dell’Antimafia, Giusep­pe Lumia, o veltroniani doc. Per rendere note le presun­te malefatte del Pd isolano, Ar­none sta girando l’isola con furgoni a cui ha appiccicato manifesti 6x3. In uno si rivol­ge a Bersani per dirgli che «Messana ha commesso reati e imbrogli su mandato dei suoi capi locali (…) ed è per questo che sono costretto a raccontare un contesto scelle­rato di imbrogli e ricatti, di vio­lazioni penali e di statuti (…)». In un altro poster Arno­ne, rivolto a Lupo, non le man­da a dire: «Caro Peppino, Mes­sana andrebbe espulso dal Pd. Non possiamo essere tan­to farisei da essere d’accordo con gli editoriali di Roberto Sa­viano sulle elezioni truccate e la democrazia violata quando i delinquenti sono berlusco­niani e garantire copertura e impunità quando le lordure, le illegalità e le collusioni so­no dei nostri dirigenti». Le accuse di Arnone sono devastanti: «Non posso tolle­rare che il mio partito stia nel­le mani di chi è aduso (…) a fornire copertura e a stipulare alleanze con soggetti che ruo­tano attorno al mondo della mafia». Secondo Arnone, Di Benedetto e Capodicasa sono vicinissimi a Calogero Gueli, ex sindaco di Campobello di Licata, condannato in primo grado a 3 anni per 416 bis (as­solto in appello) insieme al fi­glio Vladimiro. Fatti gravissi­mi, quelli denunciati da Arno­ne. Fatti preceduti negli anni da rivelazioni esplosive sui presunti rapporti fra Cosa No­stra e uomini del Pci-Pds-Ds condensate nel libro «chi ha tradito Pio La Torre?», dove se la prendeva prima col senato­re Vladimiro Crisafulli (posi­zione archiviata) filmato dal Ros mentre parlava col boss di Enna, Raffaele Bevilacqua, eppoi con il deputato del Pd Angelo Capodicasa che a det­ta di Arnone aveva fra i colla­boratori Stella Capizzi, mo­glie di Antonino Fontana, l’ex vicesindaco comunista di Vil­labate citato dal quel pentito Campanella che trovò invece spazio in tv per le sue accuse all’ex governatore Totò Cuffa­ro. E chissà che un giorno, in prima serata, qualcuno si de­dichi al filone rosso della ma­fia e del malaffare siciliano partendo, ad esempio, da quel che disse Giovanni Bru­sca al processo Dell’Utri sulle stragi («la sinistra sapeva») op­pure approfondisca il tema del proprietario del covo di Totò Riina a Palermo: un co­munista figlio di comunista, Giuseppe Montalbano, figlio dell’omonimo deputato Pci degli anni ’50.Poi si potrebbe­ro rispolverare le rivelazioni del pentito Campanella sul centro commerciale di Villa­bate, di cui era investitore Car­lo Caracciolo (vedi Repubbli­ca ) o anche il tema mafia/co­op rosse, o addirittura affron­tare la «pista interna» al Pci nell’omicidio di Pio La Torre; e magari incuriosirsi per le ge­sta dello «stalliere di Alcamo» Filippo Di Maria, mafioso fida­to di mafiosi, factotum-giardi­niere- autista del senatore del Pd Nino Papania. Solo per di­re dei primi casi che ci vengo­no a mente. Se dovesse servi­re ( ma tanto non serve) offria­mo gratis la nostra consulen­za.