ALBERTO MATTIOLI, La Stampa 25/10/2010, pagina 43, 25 ottobre 2010
Tocca andare in Corea per risentire Mefistofele - L’operoinomane non poteva certo perdere la «prima» coreana del Mefistofele di Boito alla Kno, la Korea National Opera di Seul (Corea del Sud, ovvio: a Nord incombono altri diavoli)
Tocca andare in Corea per risentire Mefistofele - L’operoinomane non poteva certo perdere la «prima» coreana del Mefistofele di Boito alla Kno, la Korea National Opera di Seul (Corea del Sud, ovvio: a Nord incombono altri diavoli). Se non altro, per la curiosità di vedere come reagisce un pubblico distante otto fusi orari a un’opera in Italia assai fuori moda, biasimata come monumento dell’ultrakitsch più pompieristico con un accanimento perfino eccessivo per i suoi (de)meriti. Bene: la notizia è che ai coreani piace anche il Mefistofele e piace molto, ennesima conferma che l’opera continua a essere il principale biglietto da visita della cultura italiana nel resto del mondo (e continuerà a esserlo anche quando, prossimamente, in Italia non la si farà più). Qui Boito ha avuto tre recite al Seul Arts Center, dove peraltro negli intervalli ci si ristora al «caffè Bellini» e al «Puccini bar»: le ultime due con alterne fortune al botteghino (un forno venerdì, sala piena sabato: sono i misteri della vita sociale coreana) ma esito egualmente trionfale. Italiani gli artefici dello spettacolo. E qui chapeau al regista torinese Davide Livermore e alla sua squadra. Sarebbe stato probabilmente più facile confezionare la solita zeffirellata formato esportazione. Invece Livermore firma una regia «vera», di quelle che, paradossalmente, hanno vita molto più difficile in Italia che qui. Ovviamente, l’ambientazione è contemporanea, le grullerie della domenica di Pasqua si svolgono nel metro di Seul (con relative pubblicità della «Heaven Insurance», chiamare 666-MEF), il «matto galoppo» dei giovanetti festanti è la breakdance, Margherita porta a spasso la mamma in carrozzella da brava figlia badante e la libreria di Faust crolla come le sue certezze quando Mefistofele attacca «Son lo spirito che nega». Quanto al sabba infernale, i mimi con enormi attributi alla Rocco Siffredi (tanto per restare al «made in Italy» più apprezzato) fanno quel che generalmente si fa nei sabba infernali, con i coreani, pudichi come tutti gli orientali, indecisi fra il divertimento e l’imbarazzo. Le gag funzionano benissimo. Però Livermore non commette l’errore peggiore che si può fare con quest’opera e che infatti si fa spesso: non prenderla sul serio, forse per reazione a quanto Boito prendeva sul serio se stesso. In realtà, in questa regia Faust e Mefistofele sono solo due facce dello stesso uomo e la scelta di Faust di vivere fino in fondo ogni esperienza diventa così una rivendicazione di libertà e di laicità: temi su cui, come si vede, non c’è proprio nulla da ridere. Spettacolo bellissimo, da importazione. Da riportare in Italia sarebbe anche il giovin direttore, Ottavio Marino, uno di quei nostri musicisti talentuosi che il lavoro se lo devono andare a cercare all’estero. Coro e orchestra sono coreani, decisamente attendibili, e coreana è pure la compagnia: finalmente si capisce dove vanno a finire gli innumerevoli orientali che studiano canto in Italia. Rim Sae Kyung, Margherita, ha una notevolissima voce usata anche con perizia, e Park Sung Kyu è il classico tenore non fascinoso ma affidabile. In generale, i locali sono ben preparati e un po’ inerti: non è questione né di dizione né di pronuncia (parlano tutti benissimo l’italiano) ma proprio di accento. Cartina di tornasole, il Mefistofele di Francesco Ellero d’Artegna, basso di lungo corso capace, lui sì, di dare sapore e colore ai narcisismi di Boito. Degli applausi si è detto. Il «general director» della Kno è una direttoressa molto simpatica, So Young Lee. Spiega che la compagnia esiste dal ’62, è finanziata in parte dal ministero della Cultura e in parte dagli sponsor privati, ha una trentina di dipendenti di cui la metà a termine e quest’anno fa una stagione di undici titoli, di cui quattro novità coreane e cinque prime locali (oltre a Boito, Idomeneo, Orfeo e Euridice, Lulu e L’enfant et les sortilèges per i bambini). La tivù pubblica riprende e ritrasmette. Le racconto le tristezze italiane, ribatte: «Sì, la crisi c’è anche qui, ma andiamo avanti. Possiamo solo migliorare e vogliamo farlo». Beati loro.