ANTONELLA RAMPINO, La Stampa 25/10/2010, pagina 7, 25 ottobre 2010
I costituzionalisti “Non si può usare l’immunità all’infinito” - Era il 1938, l’Italia con la guerra d’Etiopia s’era inoltrata nell’avventura coloniale, e Benito Mussolini decise di autoproclamarsi Primo Maresciallo dell’Impero
I costituzionalisti “Non si può usare l’immunità all’infinito” - Era il 1938, l’Italia con la guerra d’Etiopia s’era inoltrata nell’avventura coloniale, e Benito Mussolini decise di autoproclamarsi Primo Maresciallo dell’Impero. Detto fatto, Montecitorio varò la carica. Per il duce, e però anche per il re, perché poi la suprema rappresentanza militare spettava a Vittorio Emanuele III. «Il quale si arrabbiò moltissimo, tanto che ci fu poi un ricorso al Consiglio di Stato». Il professor Giorgio Rebuffa, costituzionalista in cattedra a Genova, e che fu berlusconiano dell’aurea stagione cosiddetta «dei professori», strappa alla Storia il precedente perfetto, quello che meglio racconta nella continuità delle secolari vicende italiane quale sia la differenza, a oggi, delle due alte cariche: «Il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale monocratico, il presidente del Consiglio è invece un organo politico, e risponde al Parlamento. E’ per questo che Napolitano ha fatto benissimo a intervenire». Bloccando sul nascere quell’equiparazione contenuta nel progettando Lodo Alfano. Su questo punto, tutti i costituzionalisti sono d’accordo. «Non si possono mettere sullo stesso piano un organo di garanzia con un organo espressione della maggioranza», dice Stefano Ceccanti, che è anche parlamentare del Pd e che tra l’altro si provò a emendare in commissione il Lodo proprio su questo punto. Per non dire di Valerio Onida per il quale «il Capo dello Stato in quel provvedimento ci sta come una foglia di fico, e non bisognerebbe più chiamarlo Lodo Alfano, ma direttamente Lodo Berlusconi». Ma d’accordo tutti anche sul punto della retroattività, se cioè lo scudo debba riguardare anche reati commessi prima dell’assunzione della carica. Se lo scopo è «fermare il fumus persecutionis», osserva Augusto Barbera, «è chiaro che per tutelare la funzione vadano coinvolti anche i reati commessi prima». Ovvio anche per Onida, «pur essendo le immunità sempre discutibili, è però ovvio che si applichino per qualunque reato, e per qualunque procedimento, come era ai tempi dell’immunità parlamentare». A patto però, precisa Onida, «che l’improcedibilità sia temporanea». Perché se invece fosse possibile reiterare lo scudo, se lo si potesse alzare una, due, tre volte, anche nel caso per esempio di un presidente del Consiglio che poi decida di candidarsi capo dello Stato, come molti ritengono intenda fare proprio Berlusconi, è tutt’altra storia. «C’è il rischio che non si arrivi mai a un processo, che si finisca per farsi eleggere e rieleggere, e così chi attende giustizia non l’avrà mai», osserva Ceccanti. Un problema politico, soprattutto, oltre che costituzionale, tanto che i primi tre emendamenti in esame la prossima settimana al Senato sono proprio su questo punto, di Pd, Udc e Idv, per «impedire che Berlusconi salti da una carica all’altra solo per non farsi processare». Contrarissimo pure Onida: «Se si tratta della tutela di una funzione, si mira a salvaguardare una carica, una persona: reiterando, si rischia di prolungare l’immunità. Non è un dettaglio, perché di fatto si introduce un incentivo a farsi rieleggere». Anche Barbera ha dei dubbi, «è opinabile, e si tratta in ogni caso di una scelta politica. Sotto il profilo tecnico, occorrerebbe non rendere indefinita nel tempo l’immunità. Ma d’altro canto, se si sta preparando uno scudo per dare immunità di fronte al fumus persecutionis, senza la rielezione non si centra l’obiettivo». Durissimo il professor Rebuffa: «Piuttosto che reiterare l’immunità, dal punto di vista giuridico sarebbe molto meglio se l’alta carica in questione si desse alla latitanza: ogni sistema ha i suoi limiti, ogni potere i suoi bilanciamenti. Ma non se lo ricordano cosa capitò a Bill Clinton, quando Paula Jones lo citò per sexual arrassement? Disse che era il Presidente degli Stati Uniti, che aveva molto da fare, che era legittimamente impedito. Ma ci dovette andare, perché la Corte Suprema gli fece presente il caso di un certo Roosevelt che, citato in giudizio, nel 1944 si presentò nonostante fosse presidente, commander in chief, poliomielitico e pure malato di tumore». E a proposito, come finì tra Mussolini e Vittorio Emanuele III? «Finì che il re fece ricorso al Consiglio di Stato, e quell’eminente giurista che era Santi Romano addusse una scusa, per cavarsi d’impiccio disse di non poter entrare in una decisione che era stata presa in Parlamento. E il re andò su tutte le furie». Altri tempi, naturalmente. Perché quella, poi, era una dittatura.