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 2010  ottobre 25 Lunedì calendario

L’AZZARDO DELLA SPIRALE PROTEZIONISTICA

Il primo a porre l’attenzione sul pericolo di "guerre monetarie" fu Luigi Luzzatti, studioso, riformatore sociale e primo ministro (1910-11).

La crisi bancaria del 1907 lo aveva convinto che, in assenza di forte cooperazione internazionale, politiche monetarie scoordinate tendono a trasformarsi in gare al ribasso, ad aggarvare gli squilibri che vorrebbero risolvere sino a spostarsi dal terreno valutario a quello della guerra doganale. Le sue idee ebbero buona risonanza, ma non sortirono alcun risultato concreto.

A cento anni di distanza, Mervyn King, governatore della Banca d’Inghilterra, avverte che tensioni sui tassi di cambio possono degenerare nel protezionismo, «conducendoci, come negli anni Trenta, a un disastroso crollo dell’attività economica in tutto il mondo».

Ancora una volta, dunque, viene evocata la Grande crisi per antonomasia per esorcizzare l’abisso nel quale potremmo cadere e suggerire i modi per evitarlo.

Nel settembre 1931, l’Inghilterra ruppe le catene che avviluppavano il mondo in una spirale di deflazione, uscendo dal sistema di cambi fissi ancorati all’oro. La svalutazione consentì un rilancio delle esportazioni e permise l’adozione di politiche monetarie espansive che rilanciarono la domanda interna. Scelta giusta per il Regno Unito, che fu tra i primi paesi a riprendersi dalla crisi.

Molti paesi, anzitutto quelli del Commonwealth, seguirono l’esempio inglese (Londra tuttavia non permise una svalutazione della rupia indiana, con grave danno all’economia di quel paese, danno che le élites indiane non perdonarono alla potenza coloniale, rendendole più determinate a ottenere l’indipendenza).

I vantaggi della svalutazione furono solo in parte ottenuti a danno dei paesi che rimasero nel sistema dei cambi fissi, ma governi e opinoni pubbliche di questi ultimi attribuirono alla "perfida Albione" le cause dei propri mali: caduta del reddito, disoccupazione, deflazione. Vennero chieste ovunque contromisure.

Non fu di aiuto il fatto che, nel 1932, la stessa Inghilterra introducesse, per la prima volta dal 1846, una propria tariffa doganale. Il richiamo alle armi fu generale.

Nel 1930 gli Stati Uniti avevano alzato i dazi doganali (lo Smoot Hawley Act). Si trattò di un provvedimento relativamente blando, che produsse danni limitati. Il grande danno fu provocato dalla "guerra valutaria" aperta dall’Inghilterra.

Alcuni paesi - il Giappone nel 1932 e gli Stati Uniti l’anno successivo - svalutarono a propria volta le rispettive monete, aprendo una gara al ribasso che fece naufragare il coordinamento delle politiche monetarie tentato in una Conferenza monetaria (il G-20 di allora) convocata a Londra nel 1933.

I paesi che, per motivi interni, rifiutarono di svalutare scelsero la strada del protezionismo. Tanto più distruttivo quanto attuato con una miriade di misure "innovative": dazi, limiti quantitativi all’imporazione, divieti, controllo sui movimenti internazionali di capitale, accordi di baratto (clearing) e altre diavolerie.

Quando, tra il 1935 e il 1936, i più ostinati fautori del gold standard, tra i quali l’Italia, si decisero per la svalutazione, a causa delle guerre valutarie e di quelle tariffarie da esse provocate, il commercio internazionale era ancora inferiore del 15% rispetto al 1929.

Nel 2007-2008 avevamo temuto il peggio. La caduta del commercio internazionale era stata più forte di quella verificatasi nei primi dodici mesi della Grande crisi. Politiche monetarie e fiscali aggressive e una forte dose di cooperazione internazionale hanno fatto sì che la ripresa arrivasse molto prima che negli anni Trenta. Con tutti i limiti che conosciamo, le "lezioni" della Grande crisi sono state finora imparate e il mondo ha evitato una catastrofe simile a quella di allora.

Ma la ripresa è fragile. La lentezza della crescita, in Europa e negli Stati Uniti, frustra le speranze, influisce sugli umori degli elettori. Rende più difficile cooperare per il coordinamento delle politiche monetarie. Europa e Stati Uniti non si muovono più all’unisono. Mervyn King ha ragione di suonare l’allarme.

L’aumento del tasso di sconto in Cina è, finalmente, un buon segnale. Lo spettro degli anni Trenta deve essere esorcizzato. Le opinioni pubbliche dei paesi economicamente più forti chiedano ai governi di tornare allo spirito cooperativo del 2008.