Massimo Sideri, Sette n.42 21/10/2010, 21 ottobre 2010
ANCHE L’ITALIA VUOLE VIVERE WI-FI
Non c’è social network o blog che non abbia intercettato l’argomento: libero Wi-Fi contro quel decreto Pisanu che, all’indomani degli attentati di Madrid e Londra nel 2005, ne aveva, a scopi antiterroristici, burocratizzato l’accesso. Con il risultato che il rassicurante ovale bianco e nero con la scritta "Wi-Fi", simbolo dell’indipendenza digitale da sovrastrutture di accesso, da noi non occhieggia all’ingresso di bar, trattorie e ristoranti. Abbiamo solo un settimo degli hotspot della Francia: 4 mila e rotti contro gli oltre 30 mila d’Oltralpe. Parigi è Parigi, si potrebbe dire. Ma Milano, Roma e Napoli, per seguire la direttrice del Freccia Rossa, devono proprio restare all’età della pietra? Sul web libero c’è anche chi ha profetizzato la caduta del governo Berlusconi. Sciocchezze, ça va sans dire. Ma intanto, oltre ai firmatari bipartisan - si va da Paolo Gentiloni (Pd) e Linda Lanzilotta (Api) a Luca Barbareschi (Fli) e Roberto Rao (Udc) - della proposta di legge di "abrogazione" dell’articolo 7 del decreto Pisanu che in sostanza impone l’identificazione di ogni singolo utente che accede alla rete (con tanto di obbligo di "schedatura" con fotocopia del documento, da parte dell’esercente che offre la porta senza fili al web), la politica sta intercettando il tam tam digitale, scendendo in campo tramite blog.
LIBERI DAL CAVETTO
Sul sito di Pier Ferdinando Casini l’argomento è il tema caldo della settimana. Ormai è un lessico di appartenenza globale: fermati e collegati. Qui puoi. Dove il qui è ovunque, tranne che in Italia. Perché la popolare tecnologia wireless che permette di navigare senza il rischio di inciampare ogni secondo in fili, cavi e cavetti (che peraltro uno dovrebbe anche portare sempre in tasca... comodo no?) è libera anche in Paesi molto più caldi nella mappa della geopolitica internazionale come Usa e Israele. Che certo non prendono sottogamba l’antiterrorismo. Insomma, la validità di queste norme ai fini della sacrosanta sicurezza pubblica è tutta da dimostrare. Anzi, dubitare è più che lecito a questo punto anche se gli scenari da cyber war o cyber crime, rilanciati anche dall’ Economist, sono ormai usciti dai romanzi di fantascienza per piombare nelle nostre vite: l’attacco alla centrale nucleare in Iran tramite il virus di nuova generazione Stuxnet era il segnale che gli esperti si attendevano per dichiarare una nuova era di scontri sul web. Ma non è stato certo sferrato da un hotspot pubblico.
COME Al TEMPI DI NEANDERTHAL
Il decreto Pisanu, per lo meno, spiega come quel popolo giovane e tecnologico che si può incontrare con il proprio iPad, il tablet o il computer portatile in tutte le caffetterie delle grandi capitali europee da noi non si è sviluppato. Quasi fossimo una tribù di Neanderthal digitali. Intendiamoci. Il decreto non ha la colpa di tutto. Il "digital divide" esiste e i dati sull’arretratezza in tema di banda larga, computer e accessi al web anche dalle case degli italiani segnalano ancora una discreta resistenza alla rete. Ma certamente l’obbligo per chi volesse aprire una porta al web di presentarsi in questura per avere la licenza non aiuta. Alleggerire sembra la parola d’ordine. E proprio questa settimana si è tenuto alla Camera un question time di Rao sull’argomento.
SCARSO SVILUPPO TECNOLOGICO
Ma come mai su un tema così caldo non si sentono le voci degli operatori telefonici? Alla recente buchmesse di Francoforte l’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, è stato onesto dicendo che, fatta salva la valenza politica del tema, più connessioni ci sono e meglio è per chi fa questo lavoro. Eppure la realtà è che il tema è abbastanza "neutrale" per loro come per i competitori Anzi, a conti fatti, potrebbe anche essere meglio così.
In Italia a offrire i servizi di hotspot pubblico sono soprattutto provider locali. Telecom aveva iniziato a fornire qualche accesso ma in realtà ha più o meno abbandonato il campo abbastanza velocemente, complici le restrizioni del Wi-Fi e lo scarso sviluppo che la tecnologia wireless ha avuto. Ma tutto questo non è stato senza conseguenze economiche.
Prima di tutto quella che doveva essere la porta di accesso democratica al web si è trasformata, di fatto, in un servizio in quasi monopolio. Nella sostanza gli unici che si lanciano nell’offerta della connettività senza fili sono coloro che già "schedano" i propri utenti: come gli hotel e gli alberghi. O come Trenitalia che sta lanciando proprio adesso un servizio di connessione nelle classi business del Freccia Rossa dopo una sperimentazione con Telecom
Per i costi, la sostanziale assenza di spinte concorrenziali non può che aver avuto un effetto positivo, ma a vantaggio di chi vende il servizio e non certo dell’utente.
Tanto per dire: in molti alberghi del centro di Londra, la British Telecom ha occupato le caselle costringendo di fatto a un livellamento del prezzo del servizio.
CONNESSIONI SOLO PER UN’ÉLITE
Ma non c’è solo questo: non dobbiamo dimenticare che se in Italia i computer e gli accessi in rete latitano, telefonini e smartphone di certo non mancano. L’accesso al web si fa sempre di più attraverso la rete mobile. Tablet e iPad funzionano anche da noi, solo che lo fanno grazie a una sim aiways on. Senza un contratto con un operatore non c’è meraviglia tecnologica che non si trasformi - come fosse caduta sotto lo sguardo della Medusa - in un blocco di pietra inerme e senza funzioni. Il traffico dati costa. E il pericolo dell’assenza di hotspot pubblici è che si vada sempre di più verso una versione anomala ed elitaria della connessione alla rete, con un popolo di serie A che si può permettere contratti mobili multipli e oggetti del desiderio tecnologico sempre più raffinati. E un popolo di serie B per cui, nel 2010, l’esperienza della navigazione, l’accesso alle news, ai filmati e all’entertainment scevro da vincoli di palinsesto, resta un gesto lontano dalla vita quotidiana e dai bisogni di ogni giorno. Alla fine, a contare (anche qui) potrebbe essere il voto della Lega. Il popolo del Carroccio magari vorrà dei cartelli su caffè, ristoranti e librerie con le istruzioni di accesso anche in dialetto locale. Ma questa volta potrebbe valerne la pena.