Paul Krugman, Il Sole 24 Ore 23/10/2010, 23 ottobre 2010
L’AMERICA È IN DECLINO MA NON È L’ANTICA ROMA
Gli Stati Uniti non sono l’antica Roma: noi non siamo romani, né loro erano americani. In un articolo uscito il 2 ottobre sul New York Times, Thomas Friedman cita un passo della Condizione dell’uomo di Lewis Mumford, un libro che parla del declino dell’Impero romano e dei suoi parallelismi con gli Stati Uniti di oggi.
Friedman racconta che gli si gelò il sangue quando lesse che nella Roma antica «tutti quanti puntavano alla sicurezza, ma nessuno accettava di prendersi delle responsabilità. Era evidente che ciò che mancava, molto prima che le invasioni barbariche facessero il loro lavoro, molto prima che i problemi economici diventassero seri, era una spinta interna. La vita a Roma era ormai un’imitazione della vita, un semplice trascinarsi. Sicurezza era la parola d’ordine, come se la vita conoscesse qualche altra forma di stabilità se non quella che passa attraverso il continuo cambiamento, o un’altra forma di sicurezza se non quella che passa attraverso il desiderio costante di correre dei rischi».
Questo paragone è una traslazione ricorrente e non ho nulla da ridire sull’utilizzo che ne fa Friedman. Ma penso che dovremmo essere consapevoli del fatto che la società romana era molto diversa da qualunque suo equivalente moderno. Quando si usa il declino dell’Impero romano per ricavarne una morale, non si prende quasi mai in considerazione la realtà dei tempi antichi.
Per combinazione, ho letto da poco il libro di Adrian Goldsworthy, How Rome Fell: Death of a Superpower, e quello che ho davvero apprezzato è stato il rifiuto di rileggere in chiave moderna la Roma antica e le sue preoccupazioni.
La tesi di fondo di Goldsworthy è che furono le guerre civili a far cadere l’Impero, che la forza di Roma venne fiaccata da una serie infinita di ribellioni di comandanti locali che cercavano di impadronirsi del potere. I l punto cruciale della questione è che queste guerre civili non avevano nulla a che fare con l’ideologia o il nazionalismo, o qualsiasi altra cosa potremmo essere tentati di proiettare sugli antichi; era una questione di pura e semplice ambizione personale.
Ma se è così, come fece l’Impero romano ad avere una sua età dell’oro? In parte per caso - una serie di imperatori in gamba, ad esempio hanno molto contribuito - e in parte perché molti imperatori senza figli adottarono come loro eredi uomini competenti.
Ma la stabilità dipendeva anche in gran parte (ed è qui che Goldsworthy nel suo libro se ne infischia bellamente del politicamente corretto e sceglie di vedere quel mondo così com’era) dall’assenza di meritocrazia ai vertici.
Finché a contendersi il potere erano solamente le antiche famiglie senatoriali ricche e privilegiate, i giochi di potere erano abbastanza limitati e stabili.
Quando l’aristocrazia ereditaria perse definitivamente il suo ruolo, apparentemente inutile, la società romana diventò un micidiale caos senza regole.
Dunque possiamo tracciare delle analogie tra l’Impero romano e gli Stati Uniti?
Vedo delle somiglianze sul piano dell’asprezza della battaglia politica e del declino della vecchia classe dirigente. Ma se noi americani siamo in declino - e lo siamo, eccome se lo siamo! - lo siamo a modo nostro, non a modo dei Romani.
(Traduzione di Fabio Galimberti)