Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 23/10/2010, 23 ottobre 2010
TENERE A DIETA I BILANCI PER RIDURRE GLI SPRECHI
Nella risposta a un lettore lei ha precisato che debito e deficit hanno significato differente e ha fatto l’esempio della Francia. Francamente non so quale sia la differenza e inoltre mi farebbe piacere conoscere da lei i «numeri» relativi al nostro Paese.
Alessandro Franceschi
Siena
Non ci sono più soldi per nessuno: perché? Dove finiscono, con un debito che aumenta giorno dopo giorno? Siamo noi, cittadini votanti, gli azionisti di questo Stato allo sfascio. E allora sarebbe giusto che ce ne venisse dato conto! Un bel prospetto con entrate e uscite, chiaramente dettagliate, leggibili e comprensibili a tutti. Non abbiamo forse il diritto di essere informati, visto che siamo singolarmente sempre più poveri?
Marcella Ercolani
marcella.ercolani@tiscali.it
Cari lettori, una risposta alla prima domanda può forse chiarire i termini della questione sollevata nella seconda. Il debito pubblico è la somma totale dei prestiti contratti dal governo centrale soprattutto con la emissione di obbligazioni sul mercato nazionale e internazionale. Quello dell’Italia si aggira intorno al 118% del prodotto nazionale lordo e i creditori sono per il 50% banche e cittadini italiani: una circostanza che lo rende meno minaccioso di quanto sia là dove i creditori sono prevalentemente stranieri. Sui debiti, naturalmente, occorre pagare gli interessi. Il servizio del debito che affligge il bilancio italiano ammonta ogni anno a circa 80 miliardi di euro.
Il deficit di bilancio, invece, è rappresentato dall’eccesso di passività sull’attivo dei conti pubblici e si verifica generalmente quando le pubbliche amministrazioni spendono più di quanto lo Stato incassi con il gettito fiscale. In Italia oggi il deficit si aggira intorno al 6% del Pil.
La lettura del bilancio dello Stato non è semplice. Se un giornale destinato al grande pubblico decidesse di stamparlo per intero, il documento occuperebbe parecchie pagine e sarebbe per la maggior parte dei lettori completamente indecifrabile. Per la sua comprensione, dunque, dipendiamo tutti dalle analisi degli esperti, veri o presunti, che leggono talora il bilancio con gli occhiali deformanti delle loro preferenze ideologiche e delle loro posizioni politiche. Personalmente mi limito a constatare che le variazioni del debito pubblico italiano, dopo l’inizio della crisi, sono state molto più modeste di quelle della maggioranza dei Paesi dell’Unione e che l’Italia, quindi, ha «tenuto». Ma occorre pagare gli interessi del debito ed è comprensibile che un Paese indebitato come il nostro non voglia lanciare al mondo segnali negativi. Quanto alla soppressione di molte spese, ricordo che gli italiani giustamente lamentano gli sprechi delle pubbliche amministrazioni e che i governi, dopo avere promesso di ridurle, preferiscono non pestare i piedi di coloro che sono indirettamente interessati alla loro conservazione. Tremonti taglia i bilanci perché vuole che i singoli ministeri si assumano la responsabilità di sopprimere tutto ciò che è inutile, voluttuario o clientelare. Non mi sembra una cattiva idea.
Sergio Romano