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 2010  ottobre 23 Sabato calendario

UN PEZZO ALLA VOLTA INSEGNAVA DIOR

Tocca rassegnarsi. Quando la passione per l’animalier comincia a dilagare, non trova più argini. Inesorabile, dalla borsa passa alle scarpe, dalla camicetta al vestito. E mescola i colori, leopardo su fondo turchese, maculato su rosa, tigrato su giallo, accostandoli pazzamente l’uno all’altro. Aiuto, è il momento di fermarsi. Anche se Jean Cocteau sosteneva che «la moda è l’accettazione del ridicolo». Meglio non inoltrarsi troppo lungo questa strada pericolosa, sempre in bilico tra tocco eccentrico e sensualità da panterona. L’animal print è bello, quando è poco. Giusto un tocco, che può essere la sciarpa o la cintura, accessori più tradizionali, oppure i mocassini e perfino gli stivali sportivi, che sono il dettaglio forte di stagione. Già il cappotto o qualsiasi capo importante è difficile da indossare con disinvoltura. Christian Dior nel suo «Petit Dictionnaire de la Mode» sostiene che il leopardato, per esempio, è adatto alle donne piuttosto sofisticate. «Se amate semplicità e freschezza, fatene a meno» aggiunge con tutta la competenza del caso. Perché era stato lui a lanciare questa esotica fantasia fin dalla sua prima sfilata del febbraio 1947. Per di più Dior ottenne di poter disporre in esclusiva di questo stampato, che battezzò Jungle, dalle grandi seterie lionesi Bianchini Férier. Lo fece stampare su crêpe e mussolina, probabilmente ispirato dal lieve foulard a disegni pantera che Mitzah Bricard, sua musa e collaboratrice, portava spesso annodato al polso per nascondere, diceva, una piccola cicatrice. Naturalmente mademoiselle Bricard indossava spesso anche un mantello di leopardo autentico, che suggerì nel 1955 a Dior l’idea di realizzare uno stampato simile per un impermeabile. Nei colori fulvi della natura, però, niente pink o affini. E soprattutto, un pezzo solo per volta.
Giusi Ferrè