Lauretta Coz, Corriere della Sera 23/10/2010, 23 ottobre 2010
TRA QUERCE E ULIVI MILLENARI. UN RIFUGIO PER FARE MUSICA
«Questa, nella campagna di Berchidda, in Sardegna, è la casa che sento più mia». Paolo Fresu è il più famoso jazzista italiano a livello internazionale. Gira il mondo da quando aveva diciotto anni. Più di duecento concerti ogni anno. Quattro case, una nel verde delle colline intorno a Bologna, una nel centro storico della città con affreschi cinquecenteschi sulle pareti, una a Parigi, dove ha vissuto quasi vent’anni, e questa nel Logudoro, in Sardegna. «Amo arredare le mie case. Lo spazio vuoto, da sistemare, è rinfrescante, è come scrivere un brano musicale».
Tutti, in questo paese nel cuore della Sardegna pastorale e agricola, hanno un pezzo di terra, una vigna, una casa in campagna. «Conosco di questa terra ogni pianta, ogni sasso. A questo luogo ho dedicato la mia nuova etichetta discografica, Tuk Music, da Tucconi, il mio luogo del cuore. È il nome della vigna nel paese di Berchidda dove ho trascorso l’infanzia». Nel verde sbucano grandi massi di granito. «Nel campo del mio vicino c’è un sasso che qui chiamano Su Nodu de S’Omine, il nodo dell’uomo». Sembra il viso di una persona. «Quando ero piccolo intorno a quel masso, con quel viso abbozzato, creavo mille storie».
Paolo Fresu sente profondamente la sua «sardità», ha una passione per tutte le tradizioni dell’isola. «Non penso che l’insularità sia una barriera. Sono per la condivisione, e questa "sarditudine" che potrebbe sembrare una diversità emarginante, diventa positiva se condivisa. Nella globalizzazione la diversità, intesa come appartenenza, è la vera forza del mondo contemporaneo, a patto di condividerla con tutti. La mia casa è quindi anche un luogo di incontro, di scrittori, artisti, musicisti, una casa come laboratorio creativo». Dal 1988 Fresu ha coinvolto tutto il paese di Berchidda nel progetto di Time in Jazz, un festival che si svolge in estate e coinvolge altri quindici paesi del Logudoro. «Il festival è una mia creatura, ci penso tutto l’anno e girando per il mondo raccolgo idee, suoni, pensieri, che poi mi danno lo stimolo per creare il programma. Non è più la tromba che suono, ma un altro strumento. La cosa più bella e più preziosa è quello che il Festival lascia nell’immaginazione degli abitanti di Burchidda, un paese di tremila anime che per una settimana si sentono al centro del mondo».
C’e un grande palco nella piazza principale del paese per le esibizioni più importanti alla sera, ma sono 40/50 i concerti che si svolgono durante il Festival. È un modo per scoprire le bellezze dell’interno dell’isola. Magari sentendo un concerto in una piccola chiesa di campagna alla sei del mattino o sotto i dodici metri di chioma dell’ulivo di Luras che di anni ne ha quattromila. «Anche se quello di quest’anno rischia di essere stato l’ultimo Festival. La Regione Sardegna ci ha tagliato drasticamente i finanziamenti, con una discriminazione economica inspiegabile rispetto ad altre manifestazioni simili. Ogni anno — continua Fresu — tutte le case del paese venivano coinvolte, anche la mia, per dare ospitalità a chi veniva da lontano, o anche per organizzare una cena tipica sarda. Mi piace far festa. Per questo mi sono voluto sposare qui. Circa duemila invitati. Anzi per come si usa in Sardegna, non si invita, uno sa che c’è un matrimonio e va. Una volta le feste duravano anche una settimana, fra musica, bevute e balli».
L’interno della casa rispecchia la personalità di Paolo Fresu e di sua moglie, anche lei musicista. «Ci siamo incontrati al Dams di Bologna. Mi ero iscritto a Etnomusicologia, ma ho dato un solo esame, troppi impegni di lavoro. Ma lì ho conosciuto Sonia, violoncellista classica. Anche lei sarda, di Alghero». Nella loro casa tanti ricordi di viaggio, il soggiorno ruota intorno al pianoforte e al grande camino. Su un tavolino una raccolta di tutti i bocchini di tromba cambiati negli anni. Alle pareti opere di artisti sardi si mischiano a lavori di artigianato. Quadri di Francesco del Casino, l’artista che ha dato vita ai murales di Orgosolo. Una scultura di Pinuccio Sciola, famoso per le sue «pietre sonore», un affresco di Salvatore Rava. In bacheca una raccolta di coltelli di Santu Lussurgiu, e appeso un Mamuthone ad honorem, premio ricevuto a Mamoiada. Sulla mensola i libri di Salvatore Niffoi, scrittore della Barbagia.
Una casa vissuta. Nella tenuta ci sono anche sei purosangue, cavalli anglo-arabi-sardi, la passione di Andrea, il bambino di Paolo Fresu. E naturalmente ulivi millenari e immense querce. «Come la grande quercia all’inizio del giardino che da bambino era diventata la mia casa. Salivo con la scala, avevo costruito un rifugio tutto mio sull’albero. Da sempre, qui, è la natura a dominare, ed è bello così».
Lauretta Coz