Andrea Galli, Corriere della Sera 23/10/2010, 23 ottobre 2010
NEL DORMITORIO DEI DISPERATI UNO SU CINQUE E’ UN PAPA’ SEPARATO —
Dai su muoviti, dicono, che sono già le sei di sera, apre la mensa; insomma, «ci lasci andare?». Voi mettete d’accordo la Curia e la Lega, l’arcivescovo Tettamanzi parla spesso di voi, il capogruppo padano in Comune Salvini anche: siete una categoria per cui tutti si battono, lo sapete? «E che cambia, devo lavorare per mantenere quella tr... di mia moglie che non mi fa vedere i figli. Tu sei sposato? Sì? Tornassi indietro, nemmeno se mi pagano...».
Il tipo ha su una tuta da benzinaio, sopra l’orecchio tiene appoggiata una mezza sigaretta. Passa un ragazzo alto alto, di colore, passa un vecchietto che parla e ride da solo, passa un po’ di gente varia, stralunata, acciaccata, affamata, ma lui niente, li lascia andare. Poi ne arrivano cinque. Si salutano, abbracciano, riconoscono. Infatti sono uguali. Italiani, sui quaranta, separati. Nel dormitorio al Gratosoglio, l’altra sera, su 240 presenti c’erano 53 divorziati.
Il dormitorio è in fondo, alla periferia sud. Il Gratosoglio aveva problemi già di suo e da prima. «Criminalità», «gli adolescenti sbandati», «le occupazioni delle case popolari» e, certo, ci mancherebbe «i negher», gli stranieri. All’inizio i residenti, gli italiani, si erano ribellati. Tutto ’sto schifo e ci mandate pure i disperati? E’ bastato poco, per ricredersi, accettare, sorvolare. E’ bastato vedere qualcuno del posto senza soldi andare in mensa, qualcuno senza compagnia fare una scappatina la sera, qualche divorziato mettersi in coda, aspettare, entrare, uscire l’indomani.
«Qui vengono alla fine, quando crollano. I primi mesi dormono sulle macchine, da amici, sul posto di lavoro. Naturalmente non dura. In macchina fa freddo, gli amici si stancano, al lavoro ti scoprono» dice padre Clemente. Padre Clemente dirige il dormitorio e partecipa ai primi colloqui con gli ospiti. Perché il matrimonio è finito? «Corna». Cosa le chiedono? «Aiutarli a stare coi figli». E lei? «Al massimo posso mandarli in mansarda». Le mansarde, a differenza delle camerate, hanno due letti appena, hanno aria e colori da stanza normale. In linea di massima, qui, si tende a mettere i separati. Dice uno: «E’ una cosa di testa. Se stai mischiato con i barboni, dici "oddio tra poco finisco così, questione di giorni...". Se invece restiamo fra noi ci parliamo, ascoltiamo, ci facciamo forza».
La battaglia, la resistenza pura, la semplice identità di gruppo? Cos’è che li unisce? Hanno delle colpe ed è sempre colpa di altro, delle altre. Parliamo al telefono con quattro separati, i nomi ci vengono dati da associazioni che aiutano i divorziati, associazioni in aumento, organizzate, con siti Internet, comparsate in televisione. I quattro, dicevamo. Raccontano grosso modo di innamoramenti e amanti, del matrimonio che dopo il primo figlio è peggiorato, di mogli cattive, di suocere ignobili, di «dovevamo convivere prima di sposarci così capivamo...», e adesso di nottate balorde «a supplicare qualche prostituta di farci lo sconto, per un po’ di sesso, così sono ridotto, giuro».
Al dormitorio i separati sono seguiti da un’assistente sociale, giovane e brava. A Milano, il Comune, con l’assessore alle Politiche sociali Mariolina Moioli, sta pensando a nuove iniziative; ha già aperto una casa per papà divorziati, in un appartamento requisito alla malavita. Quel Salvini si chiama Matteo, è separato, ha 36 anni, e di sé ha detto: «Sono fortunato: mio figlio lo vedo regolarmente e poi ho un ottimo stipendio». Quanto all’arcivescovo Tettamanzi, nelle omelie ha chiesto per i divorziati una cosa in particolare: «Più interesse».
Proprio ieri una sentenza della Cassazione ha sancito che il giudice può intervenire multando il genitore indisciplinato che, contravvenendo alle regole fissate dall’affidamento condiviso, mantiene un «comportamento inadempiente» nei confronti del figlio. I figli, come no. Dice un separato: «Il mio non lo incontro mai in questo posto. Gli faccio vedere il padre diventato un barbone? No, grazie». E dove allora? «Va bene tutto». Sentiamo elencare parcheggi, centri commerciali, la stazione a contare i treni e, quando i piccoli si stancano, in aeroporto a contare gli aerei.
Andrea Galli