Francesco Battistini, Corriere della Sera 23/10/2010, 23 ottobre 2010
ALIK, LO SCACCHISTA EBREO CHE HA SCONFITTO L’IRAN —
L’ultimo avversario è uno studente palestinese di Gerusalemme. Sono le cinque e mezza del mattino, alba di sfida sulla piazza Rabin, e il ragazzino è concentratissimo: arrocchi, inchiodature, infilate, le ha già tentate tutte. Non gli resta che una disperata difesa dei suoi neri. Il re e un povero solitario pedone, contro lo strapotere bianco del re, dell’alfiere, della torre, di due pedoni e soprattutto del campione. Lo studente ha solo un vantaggio: è ancora fresco, s’è appena seduto alla scacchiera. Il campione, Alik Gershon, gran maestro israeliano, quella freschezza non ce l’ha: sta giocando da diciannove ore, non più di cinque secondi per ogni mossa, ha fatto 40 chilometri saltando da un tavolo all’altro della piazza, è all’avversario consecutivo numero 523. E combatte col sonno, coi capogiri, con l’orologio, col Guinness dei primati. Ma siccome è un campione, appunto, il finale è rapido. Segnato. Alik ha fretta di spazzare. D6 in D7. Scaccomatto: ragazzino, hai perso; Ahmadinejad, sei fatto.
Scacco al raìs. Aveva un bel dire Berlusconi, ieri, quando sperava sulla stampa tedesca «che Israel e non deci da d’attaccare l’Iran»: Israele ha già mosso , l’Iran ha già perso. Addio al record mondiale delle partite in simultanea: Alik, 30 anni, un immigrato ucraino arrivato bambino dall’impronunciabile cittadina di Dnipropetrovsk, nel segno della stella di David leva la corona proprio a un rivale di Teheran. Un trionfo: quel tale Morteza Mahjub, nell’agosto 2009 e in 18 ore, aveva vinto 397 partite, pareggiandone 90 e perdendone solo 13? Dopo un po’ di mesi, ecco questo Alik che ne cancella la citazione dal libro sacro dei primati e nell’alba di Tel Aviv batte 454 avversari, perde 11 volte, fa patta in 58 partite. Per regolamento, l’israeliano doveva schiantare almeno l’80 per cento dei 543 sfidanti, perlopiù russofoni come lui, pure un bambino di sette anni: il gran maestro è arrivato all’86 per cento. «Spero che le future guerre con l’Iran possano essere tutte così pacifiche», è la dichiarazione finale dell’esausto Alik: «Mi sono allenato correndo e nuotando molto. Non so se essere più contento del record o del fatto d’averlo tolto agl’iraniani. Il piacere è doppio anche perché, il gioco degli scacchi, l’hanno inventato loro».
Vero: scacco è la traduzione di scià, il re, e scacco matto in persiano è scià maat (morte del re). I retorici paragoni della stampa si sprecano: è come se l’astronauta di «2001 Odissea nello spazio» vincesse col supercomputer, è come se il cavaliere Block del «Settimo sigillo» adescasse la morte... In Israele, gli scacchi sono una cosa serissima: su sette milioni e mezzo d’israeliani, il 15 per cento parla russo. E dai russi immigrati negli ultimi vent’anni arriva tanta passione del pedone: vicecampione del mondo nel 2003 e nel 2005, al Paese non mancano gli emuli di Alik Gershon. Nella sfida di piazza Rabin, tra gli avversari c’era anche Natan Sharansky, storico dissidente sovietico che giocò pure con Kasparov e ora è presidente dell’Agenzia ebraica: «Gli scacchi — dice — sono un’utile scuola di strategia».
Di sfide politiche all’ultimo cavallo (chi non ricorda Fischer contro Spasskij?) è ricca la storia. In settembre, a Minsk, s’è sfiorato l’incidente diplomatico quando gli scacchisti yemeniti ed egiziani stavano per sedersi a giocare con gl’intoccabili, spesso imbattibili israeliani. Queste battaglie simboliche, qui, passano anche per la variante del Guinness dei primati: ci si batte per il più grande hummus del mondo (che da anni oppone Israele e Libano), per il maggior numero d’aquiloni contemporaneamente in volo (tremila, a Gaza), per la kefiah più larga (tessuta dai palestinesi di Ramallah)... E’ la continuazione della guerra con altri mezzi. Diceva Goethe che gli scacchi sono il paradigma dell’intelligenza: fra Iran e Israele, chissà che tanta sapienza non funzioni pure su un altro scacchiere.
Francesco Battistini