Andrea Noto, Corriere della Serra 23/10/2010, 23 ottobre 2010
GARIBALDI? ERA IL FRATELLO DI SANTA ROSALIA
Nell’affermazione del mito di Garibaldi la spedizione dei Mille del 1860 rappresentò il momento della sua piena e più compiuta realizzazione (…) Considerato sotto una luce fortemente sacrale e soprannaturale, gli vennero attribuiti poteri pressoché divini, fu fatto oggetto di preghiere sul modello del Pater Noster, in suo onore si coniarono catechismi che lo esaltavano come un novello redentore e arrivò perfino a essere ritenuto fratello di Santa Rosalia, che si diceva lo proteggesse deviando miracolosamente le pallottole indirizzategli contro, e identificato con San Giorgio armato, San Michele Arcangelo e Gesù Cristo.
A partire dal 27 luglio 1860, data in cui il Condottiero fece il suo ingresso trionfale nel centro peloritano accolto dalle autorità e dalla popolazione esultante, l’interesse della comunità messinese non accennò ad affievolirsi: non a caso, tra i primi provvedimenti emanati, il ricostituito Consiglio Comunale stabilì il conferimento della cittadinanza onoraria al Liberatore il 15 agosto 1860 e il cambiamento di denominazione della via Ferdinanda in Garibaldi il 13 settembre dello stesso anno; il 25 agosto, poi, al pari di Palermo e Catania, cominciarono le pubblicazioni di un periodico locale intitolato emblematicamente Il Garibaldi.
A Messina, come nel resto d’Italia, il Generale divenne nei due decenni successivi all’unificazione un punto di riferimento politico costante cui si richiamava il composito e vasto fronte della sinistra postrisorgimentale, che andava dal garibaldinismo al radicalismo, dal «libero pensiero» all’anticlericalismo, dal mutualismo operaio alla Prima Internazionale (…) Al contempo, è estremamente significativo che una delle più importanti logge massoniche di Messina fosse stata denominata proprio Mazzini e Garibaldi.
Il 27 marzo 1882, a ventidue anni di distanza dal primo viaggio, il Nizzardo, ormai malato e settantacinquenne, tornò nuovamente nella città dello Stretto per poi recarsi a Palermo, alla celebrazione del VI centenario dei Vespri siciliani. Il suo sbarco al porto avvenne tra la commozione generale. Egli fu trasportato presso l’hotel Belle Vue, nel quale trascorse il suo breve soggiorno; il giorno stesso, prima di proseguire il suo tragitto, rivolse un’affettuosa lettera di commiato diretta «ai miei cari e fedeli Messinesi», che venne riportata per intero dalla Gazzetta di Messina del 28 marzo, importante giornale locale di estrazione moderata, in cui esaltando il Vespro, definito «il più grande eroismo di popolo» che avesse mai registrato «la storia del mondo», si doleva di non poter prolungare oltre il suo soggiorno «in seno a questa gloriosa popolazione» dove si sentiva «in famiglia» e si congedava con le tenere parole «vi lascio un saluto di cuore. Per la vita vostro» (…)
Alla notizia della morte del «Leone di Caprera» fu sospesa e rinviata la festa della Madonna della Lettera, patrona del centro peloritano, mentre il Consiglio Comunale, riunitosi straordinariamente il giorno 5, dedicò l’intera riunione, svoltasi dinanzi a un pubblico particolarmente numeroso, a stabilire delle degne onoranze: il 9 giugno fu previsto un corteo funebre cui parteciparono tutte le associazioni e la cittadinanza al completo che, partendo dal Palazzo Municipale, giunse fino al confine nord della via Garibaldi dove venne deposta una lapide in ricordo dell’entrata del Liberatore nel 1860 (…). I maggiori periodici peloritani del tempo (…) non mancarono di dedicare al ricordo di chi era ormai ritenuto un «padre della Nazione» svariati articoli celebrativi. La redazione de L’Aquila Latina, ad esempio, «col cuore trambasciato e la mente in confusione» affermava l’impossibilità di «patire un dolore più grande» e preferiva un sofferto silenzio a «qualunque amplificazione retorica»; nei numeri successivi, comunque, ne ripercorreva la leggendaria esistenza (…) descriveva la folle «corsa alle reliquie» da parte dei visitatori giunti in Sardegna, prendeva posizione contro l’ipotesi di cremazione del suo corpo, che andava preservato dalla decomposizione a beneficio di tutta l’umanità (…) La Gazzetta di Messina era dolente nel dover riferire «una nuova e grande sventura» ai danni della nazione, la perdita dell’uomo «in cui rivisse l’eroismo di tutti gli antichi e palpitò il cuore di tutti i martiri», richiamato al cielo da Dio in «apoteosi» e «gloria» (…)
Nel corso degli anni successivi, diversi gruppi politici si proclamarono suoi eredi e cercarono di recuperare, a volte anche strumentalmente, il suo lascito etico, civile e politico (…) Dopo la caduta della Comune di Parigi, che aveva contribuito a sostenere e difendere personalmente, Garibaldi entrò a far parte della Prima Internazionale, per la quale, nel settembre del 1872, coniò il celebre slogan: «L’Internazionale è il sole dell’avvenire che abbaglia e che l’oscurantismo e il privilegio vorrebbe precipitare nella tomba», spinto dalla volontà di influire in modo considerevole sui destini dell’associazione (…)
Il gruppo socialista messinese, caratterizzato frequentemente da una notevole conflittualità interna e contraddistinto sin dalle origini da influenze varie di tipo mazziniano, radicale e anarchico, nutrì nei suoi confronti un vero e proprio culto, ritenendolo sostanzialmente quasi esente da colpe o errori, e si proclamò suo legittimo successore. Attraverso gli articoli di alcuni importanti periodici locali editi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, L’Avvenire Sociale, Il Proletario, Il Riscatto e Il Vespro, è possibile seguire l’itinerario di tale dedizione verso il Liberatore (…) L’approdo nell’«isola santa», l’11 maggio 1860, era salutato con particolare calore da Nicolò Petrina, redattore capo de Il Vespro di Messina, in un suo pezzo del 1888: il «Cincinnato moderno», che «correva dopo le sue vittorie per evitare i trionfi che i popoli liberati gli preparavano», e i Mille, che alla Sicilia «gentile e forte» volgevano «un pensiero d’amore e di libertà», osservavano dal mare tempestoso «l’Etna in fiamme, l’Etna che vomitava fuoco sui tiranni della terra dei Vespri» e, accolti dal popolo marsalese, decisero spontaneamente di versare il proprio sangue nella lotta contro dei nemici numerosi e «armati fino ai denti», trovando ad aiutarli «eroi nella Sicilia tutta dove sotto ogni zolla di terra giace sepolto un martire della libertà» (…) Garibaldi, inoltre, veniva ritenuto il trait d’union tra la gloriosa età risorgimentale e quella altrettanto luminosa della ventura era socialista per essere stato tra i primi a comprenderne il valore straordinario, fungendo da esempio e sprone per la rivoluzione sociale dei diseredati della terra, seppure molti garibaldini, non rispettando «il testamento politico» del loro capo, fossero rimasti, invece, legati al vecchio partito democratico e fermi «nella contemplazione della camicia rossa, gloriosa, ma, ormai insufficiente alle roventi, nuove, incalzanti questioni del pane quotidiano»(...)
La rivoluzione era giudicata «latente», imminente e pressoché «inevitabile» dallo stesso Generale (...) in virtù della presenza all’interno dello Stato italiano di un’esigua parte di privilegiati, i conservatori, che vivendo «nella agiatezza e nelle lussurie» e non volendo modificare un siffatto sistema di «marciume», responsabile di impoverire gran parte della popolazione, sedevano «perennemente nel cumulo di un vulcano», dalla cui esplosione avrebbero finito con l’essere inghiottiti «nelle latebre della terra» (…) Nel 1907, per il centenario della nascita, la Gazzetta di Messina e delle Calabrie rievocava alcuni episodi avventurosi della vita del Nizzardo e il 4 luglio commemorava solennemente, al pari del «mondo intero», «l’eroe dalla camicia rossa», «l’eroe della libertà vera al di sopra di ogni scuola e di ogni partito», capace di compiere «la più grande epopea storica dei tempi moderni» (…)
Estratto dal saggio «Il mito di Garibaldi nella stampa messinese» contenuto nel libro «Garibaldi Mille volte, Mille vite» a cura di Luigi Continiello - AM&D Edizioni - Cagliari 2010
Andrea Noto