luisa grion, la Repubblica 23/10/2010, 23 ottobre 2010
KILL PIL IL METRO DEL BENESSERE SOTTO ACCUSA
Basta un numero per capire se un Paese sta bene o male, se la sua gente ha davanti a sé un buon futuro o se rischia invece di veder peggiorare la qualità della vita? Basta insomma il Pil per stabilire se davvero si cresce? A inventare l’ indice che misura il prodotto interno lordo - ovvero la ricchezza di una nazione, l’ insieme dei beni e servizi disponibili su un certo territorio - è stato, nel 1934, un economista statunitense, Simon Kuznets, premio Nobel. E la seducente immagine di un’ unica cifra che riassumesse in sé tutto quello che serve a misurare il benessere e - si pensava - la felicità di un popolo, ha dominato indisturbata tutti gli anni del dopoguerra e della ruggente crescita economica europeae americana. Fino a quando il tornado del ’ 68 ha soffiato anche sopra questa certezza. Sono almeno quarant’ anni, dunque, che ci si chiede se l’ indicatore Pil funziona oppure no. La conclusione di tanto dibattito è che come punto di partenza, il dato è sicuramente buono. Ma che non basta più a misurare il benessere di una società, perché la ricchezza di una nazione, oggi, non può più essere valutata solo in base alle "cose" che i suoi abitanti hanno o potrebbero comperare. Ad avere i primi dubbi in questione, non fu comunque un gruppo di studenti o di anarchici idealisti, ma Bob Kennedy, che nel 1968 scrisse: il Pil «misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Oggi, tuttavia, dopo oltre quarant’ anni di dibattito, non è ancora stata eleborata un’ alternativa condivisa. "Kill" Pil: "uccidere" il vecchio indice per sostituirlo con uno più adatto, quantomeno affiancarlo con qualcosa che lo renda più credibile, che vada al di là di una logica strettamente economica. Se ne parla tanto, anche in Italia. L’ università Orientale di Napoli, per esempio, sta lavorando al progetto triennale Oasi (Orientare le risorse, Aiutare a capire, Stimolare ad agire, Ispirare il cambiamento). Aldo Masullo, professore emerito di Filosofia morale se ne occupa in particolare per gli aspetti etici e morali. L’ obiettivo, spiega, «è fornire chiavi per interpretare il rinnovamento, che c’ è, anche se viene vissuto con disattenzione». E il suo compito, precisa, «è quello di far prendere coscienza che questa grande prospettiva economica cheè la globalizzazione deve essere letta attraverso una prospettiva di universalità, ovvero di dimensione culturale e morale». Se ci si vuole limitare comunque agli indici, grande esperto italiano in materia è Enrico Giovannini, economista e presidente dell’ Istat che, nel 2008, fu chiamato dal presidente francese Sarkozy a far parte della commissione coordinata dal premio Nobel Joseph Stiglitz e incaricata di trovare un modo per calcolare la performance economica del Paese e il suo progresso sociale. I lavori non si chiusero con l’ invenzione di una nuova formula magica, ma i componenti della commissione fecero notare che per misurare la qualità della vita di una popolazione bisogna tener conto di almeno sette parametri: salute, istruzione, ambiente, occupazione, benessere materiale, rapporti personali e partecipazione politica. Ma in concreto cosa c’ è oggi in alternativa al Pil? L’ unico indice universalente riconosciuto è l’ Isu, l’ indice di sviluppo umano usato dalle Nazioni Unite che proprio nel 2010 compie vent’ anni. Oltre al Pil tiene conto di altri due parametri: il livello di istruzione dei cittadini e la loro salute (misurata attraverso le statistiche sull’ aspettativa di vita). È ancora poco, dicono i più critici: l’ Isu è troppo sensibile, basta che un Paese faccia un piccolo passo avanti verso l’ alfabetizzazione per scalare troppi posti in classifica. Negli Stati Uniti sta invece prendendo piede una rete di indicatori (State of Usa) accessibili gratis on line e periodicamente aggiornati. Un sistema buono, ma piuttosto complesso. In Italia, una formula nuova la stanno sperimentando gli economisti "alternativi" dell’ associazione Sbilanciamoci che hanno inventato il Quars, indice della qualità regionale dello sviluppo: più che del prodotto lordo tiene conto dei costi ambientali e dei benefici, sostengono. Criteri che nel rapporto sul 2009 hanno fatto scivolare in basso la Lombardia e il Lazio, a vantaggio di Toscana, Marche e Umbria. Ma dove, come guardando al "vecchio" Pil, il Sud resta sempre in coda. NONSOLOSOLDI Bob Kennedy diceva: «Il Prodotto Interno Lordo misura tutto, salvo ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Ma un’ alternativa ancora non si trova