CONCHITA SANNINO, la Repubblica 23/10/2010, 23 ottobre 2010
articolo + 3 foto - "PIETRE SUL PARABREZZA, URLA E INSULTI OGNI GIORNO RISCHIAMO IL LINCIAGGIO" - TERZIGNO - «Quell´enorme pietra mi spacca il parabrezzi, la pioggia di vetri mi salta sulle gambe e in faccia, mentre arrivano gli insulti, poi le urla e le mani dei rivoltosi
articolo + 3 foto - "PIETRE SUL PARABREZZA, URLA E INSULTI OGNI GIORNO RISCHIAMO IL LINCIAGGIO" - TERZIGNO - «Quell´enorme pietra mi spacca il parabrezzi, la pioggia di vetri mi salta sulle gambe e in faccia, mentre arrivano gli insulti, poi le urla e le mani dei rivoltosi. Picchiano sul mio camion ormai vuoti di immondizia, poi dentro. Erano assatanati». Ora che possono raccontarlo, cominciano tutti così i loro racconti. E dopo lo choc, c´è la rabbia. In alcuni, il panico di rimettere piede in quelle contrade. Salvatore, Gaetano, Ciro, Antonio. Per loro, gli autisti degli autocompattatori bruciati o danneggiati, per i "reduci" muti della guerriglia esplosa ai piedi del Vesuvio, l´odio ha gli occhi di quegli sconosciuti con gli sciarponi sulla bocca. Ha la forma di un masso di pietra lavica vesuviana che ti arriva addosso, quando la polizia non basta più o ha troppi fronti accesi, e intorno inveiscono "fuoco, merda!", e tu sei solo al volante di un camion dell´immondizia mentre sotto agitano le molotov. Sono quelli che hanno rischiato la vita, nel miglior caso il linciaggio, «per milleduecento euro al mese più gli straordinari che riusciamo a fare». E raccontano un lungo giorno di terrore: prima in pellegrinaggio lungo le larghe e segrete vie di accesso in attesa di poter scaricare nell´odiata discarica Sari, poi in attesa in quello stesso impianto per altre ore prima di poter uscire con adeguata scorta di polizia o carabinieri. Infine, quando la rivolta prende il sopravvento, com´è accaduto giovedì scorso, pedine predilette della guerriglia urbana. Chi trascinato a terra e costretto a chiedere «non fatemi male», chi determinato ad accelerare a qualunque costo pur con il piede sfasciato da una colluttazione, chi costretto a fuggire nei campi, «guardandomi alle spalle continuamente». Come un latitante. Salvatore Baldini, 51 anni e 4 figli, vive a Somma Vesuviana, un paese in fondo "cugino" di quelli scesi sul piede di guerra, dista una manciata di chilometri dall´epicentro dei roghi. «Non so se riuscirò più a tornare a lavorare in quelle condizioni. Giovedì ho visto la morte con gli occhi. Prima un paio di massi che spaccano tutto, poi mi trovo con questa gente nell´abitacolo, i vetri tutti addosso, loro che mi strappavano al volante, ma ho accelerato, volevo salvare la pelle, e certo, pure il mezzo. Potevo sbattere io o far male a loro, ma ero terrorizzato, dovevo scappare». Gaetano Negri, 50 anni, 3 figli, di Secondigliano. «Mi hanno sfondato i vetri, volevo bruciare tutto, Non so come ho fatto a saltar egiù, a chiedere aiuto, a scappare, Giuro sull´anima di mia madre che me la sono vista brutta. Non pensavo di portare a casa la pelle». E ora però non fatemi parlare, mi torna di nuovo il panico, l´angoscia». Sono i feriti cuscinetto, sono le vittime di "mezzo" che i bilanci ufficiali degli scontri a Terzigno neanche elencano. Quelli che in ospedale se possono non ci vanno. Fanno gli autisti dell´Asìa, azienda di raccolta del Comune di Napoli, opuure di altre società. Anche Ciro Esposito, 52 anni, 5 figli e 2 nipoti, fa fatica a ricordare, a parlarne. «Le pietre hanno rotto tutto, ho sentito la puzza di benzina incendiata che si avvicinava, mi sono trovato a terra con questi energumeni addosso e non so con qualche forza, per quale protezione di santo sono riuscito a liberarmi e a correre, ho fatto chilometri, ho strappato i pantaloni, poi mi ha accolto in casa una brava famiglia», ricostruisce. «Anzi, ringrazietli pe rfavore. Quel ragazzo forse si chiamava Salvatore, mi ha portato in casa, la sua famiglia mi ha dato delle medicine perché avevo un mal di testa che mi scoppiavano le tempie. All´inizio ero terrorizzato, non mi fidavo, temevo che cacciassero fuori le mazze, poi ho visto che erano umani. Mi sono affacciato un attimo da casa loro, il mio camion bruciava, ho chiesto dove poter scappare, quel ragazzo mi ha indicato una stradina. E ho corso, sono scappato via, ma dopo essermi liberato del mio gilet-mantellina con sopra il nome dell´azienda per cui lavoro, avevo il panico che mi riconoscessero come autista dei compattatori lungo le vie della guerriglia. Ho fatto chilometri e chilometri. Dopo circa un´ora ho visto un santuario. Era Pompei. Ero salvo». Antonio Piscopo, invece, ha avuto la testa rotta da una pietra. Sta a casa, distrutto . «Non fatemi parlare, sto male».