Edoardo Narduzzi, ItaliaOggi 23/10/2010, 23 ottobre 2010
TROPPA OFFERTA, ORA IL VINO COSTA MENO DELL’ACQUA
La notizia è passata quasi inosservata pur essendo ricca di significati economici. In Nuova Zelanda, paese del nuovo mondo enologico ricco di terra vitabile, il prezzo di un bicchiere di vino è ora meno costoso di un equivalente consumo di acqua minerale. Nella terra dei kiwi l’eccesso prolungato di produzione vinicola ha fatto scendere il prezzo di un bicchiere di vino a l’equivalente di 33 centesimi di euro, mentre acquistare una bottiglia d’acqua da un quarto costa 36 centesimi. Soltanto un quarto di latte costa ancora meno del vino, 23 centesimi di euro. L’aggiustamento da eccesso di offerta parte dal nuovo mondo e vedremo dove arriverà. Del resto la produzione di uve da vino è da sempre strutturalmente superiore alla domanda globale per il loro consumo annuale. Quando esiste un disequilibrio tra domanda e offerta sono possibili soltanto tre aggiustamenti: ridurre la produzione così da evitare contrazioni nel prezzo medio; accettare un calo del prezzo medio, lasciando invariato il quantitativo prodotto; riconvertire in utilizzi nella produzione di beni alternativi che registrano una domanda crescente di consumo parte dell’eccesso di produzione. Nel caso del vino gli spumanti oppure gli alcolici. Non si tratta comunque di un aggiustamento facile, perché i produttori sono molteplici e sparsi un po’ ovunque nel mondo e perché i mercati nazionali sono ancora molto «autoctoni», nel senso che i francesi o gli italiani, ad esempio, tendono a consumare il loro vino quindi rendono meno agevole un clearing globale del prezzo. Nella sostanza il mercato della produzione e del consumo del vino è soltanto sulla carta integrato e mondiale, nella sostanza è molto di più la sommatoria di tanti singoli mercati nazionali. Ciò significa che l’aggiustamento dell’eccesso di produzione deve soprattutto avvenire nei singoli mercati domestici. Così si spiega anche perché l’effetto discesa sul prezzo medio si registra prima proprio in quei paesi, come la Nuova Zelanda, che hanno un mercato interno di consumo di vino di gran lunga più piccolo della produzione annuale, quest’ultima in gran parte dedicata all’esportazione. E lo stesso si registra per Australia e Cile. È però abbastanza ovvio che un eccesso strutturale di produzione prima o poi coinvolgerà anche i prezzi del vecchio mondo enologico. Anche i consumatori europei se saranno messi davanti alla opportunità di scegliere tra una bottiglia australiana a forte sconto e un prodotto locale più costoso forse saranno, nel corso del tempo, sempre più tentati dall’effetto prezzo. Certo oggi questo effetto da prezzo unico globale del vino è ancora reso difficile dai costi di trasporto, dalla diversità delle imposte nazionali ed anche dai gusti dei consumatori. Ma è altrettanto vero che negli ultimi anni abbiamo assistito agli effetti sui prezzi medi di altri generi di consumo di massa travolti dall’effetto deflativo prodotto dalle fabbriche asiatiche. Questo fatto ha reso molto più opportunista e attento al prezzo il consumatore contemporaneo rispetto a quanto non accadesse nel novecento. Significa che produrre e commercializzare vino nel corso del ventunesimo secolo sarà un’attività molto più sofisticata e difficile di quanto non lo sia stato finora. L’enologia ora è davvero globale e partecipa a pieno titolo al fenomeno del «mondo piatto», del globo economico reso uniforme dall’azione delle forze mondiali di domanda e offerta.